Dal governo

Demenze, tutto il peso sulle spalle delle donne

di Lucilla Vazza

Ogni tre secondi nel mondo a qualcuno viene diagnosticata una forma di demenza. E in due casi su tre si tratta di donne. Ma non è tutto. Perché nella stragrande maggioranza dei casi (oltre il 70% nei paesi a basso reddito) al fianco dei malati ci sarà una donna, che si farà carico dell’assistenza vuoi perché moglie, figlia, nipote. Vuoi perché le badanti, le assistenti sono quasi sempre donne. Il peso della malattia ricade, continua a ricadere, sulle (forti) spalle femminili. Perché è così che funziona, soprattutto nei paesi più poveri. Ma a che prezzo? La stima di tutto ciò che implicano le demenze e il richiamo a rispondere alla sfida globale che queste malattie impongono nella vita delle donne sono contenute nel report presentato oggi dalla Global Alzheimer's and Dementia Action Alliance (Gadaa).

«Il rapporto nasce per perseguire il nostro obiettivo primario di migliorare sempre di più la qualità di vita di malati e familiari, è necessario considerare l'impatto che la demenza ha sulle donne», ha spiegato Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia. «Le donne sono coinvolte nella demenza come persone che maggiormente ne vengono colpite, come familiari che assistono il proprio caro, come badanti per il supporto in casa dei malati. E garantiscono un'assistenza a domicilio che in Italia, ma anche in tutto il mondo, è sottostimata. La prevalenza, il peso dell'assistenza, lo stigma e la gravità della malattia colpiscono sproporzionatamente le donne: la demenza è una questione delle donne che non si può più ignorare».

Donne e demenze: tra rinunce e paure
Dedicarsi alla cura degli altri comporta inevitabilmente delle rinunce e delle problematiche di vario genere. Le donne impegnate per anni nella cura di persone ammalate rinunciano in parte alle proprie esigenze, sono costrette in tanti casi a smettere di lavorare. Una questione annosa e da sempre connaturata al ruolo che la società ha imposto alle donne nella vita in famiglia ma non solo. E poi ci sono le pazienti, le donne che sviluppano le demenze, Alzheimer innanzitutto (il 60% del totale), ma non solo. Che davanti alla prospettiva di una lunga e inevitabile convivenza con patologie invalidanti, sono vulnerabili e si sentono esposte al cosiddetto “triplo rischio”, come lo hanno definito gli esperti. Discriminate cioè a causa del genere, dell'età, della condizione medica. Per questo, oggi 8 marzo è la giornata giusta per ricordare che quando si parla di medicina di genere non si tratta di qualcosa di astratto. Le ricerche sulle demenze hanno da tempo individuato l’esigenza di un filone rosa. Di prsopettiva di cure personalizzate ed è necessario che i governi prendano atto che l’emergenza demenze è in drammatica crescita, in proporzionale e inevitabile rapporto con l’allungamento delle prospettive di vita. Nel 2030 le persone affette da demenze arriveranno a 76 milioni, numero destinato a triplicarsi nel 2050 superando i 131 milioni. Con costi sociali ed economici a cui far fronte. Oggi in media la stima dei costi globali delle demenze toccano gli 818 miliardi di dollari, e presto cresceranno fino a mille miliardi di dollari (un trilione).

In Italia si stima che la demenza colpisca oggi 1,2 milioni di persone (che diventeranno 1,6 nel 2030 e 2,3 nel 2050). I costi totali oggi ammontano a 37,6 miliardi di euro.

Come reagire se, come sottolinea Marc Wortmann, direttore esecutivo di Adi (Age International e Dementia Alliance International) mancano ricerche e soluzioni basate sul genere? «Le risposte che considerano il ruolo del genere arrivano soprattutto dalle strategie nazionali di lotta alla demenza sviluppata dalle organizzazioni non governative. L'assenza di chiare prospettive di genere sottolinea l'importanza vitale della collaborazione tra le Ong che si occupano delle donne, gli specialisti delle demenze e i governi per integrare la parità di genere nelle future azioni». Molto si può fare subito in termini di prevenzione, ma anche di “resilienza”, ossia di reazione e resistenza attiva rispetto alla malattia. Ma si tratta di strategie che vanno pianificate e messe in pratica in maniera sistematica e con una regìa istituzionale in una prospettiva di genere e con risorse sufficienti.



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