Dal governo

Risk, una legge complicata e contraddittoria

di Roberto Polillo

La legge sulla sicurezza delle cure e responsabilità sanitaria appena approvata e accolta, come prevedibile, con favore dalle principali OOSS della dirigenza medica, rimane un provvedimento confuso, di dubbia efficacia e per certi versi di difficile applicazione.
La novella non solo mette il cittadino in uno stato di debolezza, ma soprattutto, causa la sua intrinseca ambiguità, non risolve i due principali problemi che interessano la categoria: l'esclusione della punibilità del professionista e il passaggio dal rapporto contrattuale a quello extracontrattuale nella relazione con il paziente, con quel che ne consegue. Vediamo perché.
Per quanto riguarda la punibilità, l'esclusione introdotta dalla legge non riguarda né la negligenza né la imprudenza ma viene limitata alla sola imperizia e solo nel caso in cui ci sia stato il rispetto delle raccomandazioni e delle buone pratiche (articolo 6 comma 2).

Rimane dunque punibile il medico che, indipendentemente dal grado di colpa ( non esistendo più la colpa lieve prevista dalla legge Balduzzi e ora abrogata) abbia avuto un comportamento imprudente (agire senza le opportune cautele o con avventatezza) o negligente ( trascuratezza; disaccortezza; disattenzione; poca sollecitudine).

Non è invece punibile il medico che abbia mostrato imperizia (difetto di abilità tecnica o di preparazione richiesta nell'esercizio di una determinata attività), ma che abbia tuttavia seguito i precetti previsti da linee guida e buone pratiche. Quella prevista dal legislatore è dunque una condizione di “ perizia imperita”; una sorta di ossimero di difficile concretizzazione. Le linee guida e le buone pratiche infatti disciplinano anche le regole tecniche e procedurali adeguate alle condizioni cliniche per le quali sono elaborate e pertanto una condotta perita in quanto rispettosa delle stesse, non può di certo essere imperita.
Per fare un esempio concreto se nell'esecuzione di un test in vivo per la diagnostica da allergia a farmaci il professionista segue le linee guida che riportano indicazioni e modalità di esecuzione a partire dalla concentrazioni degli allergeni da testare, la loro applicazione rende impossibile (salvo clamorosi errori) che la condotta possa essere imperita. Il tutto è poi aggravato dal fatto che in ogni caso l'intervento del medico deve essere adeguato al concreto caso trattato e che pertanto anche il salvagente delle linee guida e buone pratiche è in realtà un' arma spuntata.

La norma ha un doppio difetto
È contraddittoria nella sua costruzione intrinseca e mostra un campo applicativo estremamente limitato.
Per quanto riguarda il secondo aspetto della relazione medico –paziente ( articolo 7 comma 3) , l'esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile (responsabilità extracontrattuale) non sempre e comunque (per garantire un'effettiva protezione), ma solo a condizione che non abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente; nel quale ultimo caso rientra nella responsabilità contrattuale con obbligo di dimostrare che il proprio comportamento è stato corretto e con tempi di prescrizione raddoppiati a 10 anni.
Ora poiché è nota la tendenza della Corte di Cassazione a ritenere che il rapporto medico/paziente abbia caratteristiche assimilabili a quello del contratto sociale, sarà arduo dimostrare, in molti casi, che l'esercente non abbia un tale tipo di obbligazione con il paziente. Anche in questo secondo caso dunque lo scudo protettivo offerto dalla legge risulta totalmente inadeguato.
Rimane dunque come ultima speranza che il paziente si rivolga contro la struttura, come quasi sempre avviene, e non contro il sanitario.
Queste due criticità rendono la legge di scarsa utilità nei confronti dell'esercente la professione e ancor meno potranno risolvere il problema della medicina difensiva.


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