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Corte dei conti: «L’Italia migliora sulla spesa ma perde sulle cure». Il Rapporto 2017 sul coordinamento della Finanza pubblica

di Barbara Gobbi

Bene lacapacità di perservare in quella “manutenzione continua” che negli ultimi anni «ha consentito di rispondere alle esigenze di riassorbimento di inefficienze e squilibri continuando a confrontarsi su nuove opportunità di cura ed esigenze». Ma ritardi e inefficienze pesano come un macigno, a guardare le cartine di tornasole dell’assistenza domiciliare agli anziani, ancora sotto-soglia in Campania, Lazio e Calabria e in ogni caso estremamente eterogenea nelle altre regioni che pure raggiungono la sufficienza.

Nel suo Rapporto 2017 sul coordinamento della Finanza pubblica - presidente Arturo Martucci di Scarficci - introdotto da Angelo Buscema, Presidente di coordinamento delle Sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei conti e illustrato dal Consigliere Enrico Flaccadoro, la Corte dei conti (sezioni riunite in sede di controllo) fa il punto sulla Sanità, «Tra efficienza e qualità dell’offerta». In un quadro, va premesso, in cui «Nonostante le incertezze iniziali, l’andamento dell’economia sembrerebbe avere segnato un’inversione di marcia verso un’espansione meno fragile e più qualitativa» e dove i magistrati contabili segnalano che «si è finalmente usciti da una fase di recessione protrattasi per otto anni».
La conferma arriva dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan: «I primi segnali dell’anno in corso - ha sottolineato intervenendo alla presentazione del Report - sono molto incoraggianti. L’economia italiana è in una fase di transizione verso una crescita più robusta e duratura».

Per la Sanità, si parte dal dato di crescita della spesa riportato nel preconsuntivo della Nota di aggiornamento del Def 2016: +1%. E dalla riduzione in media di 1,1 punti all’anno, in termini reali, delle risorse che l’Italia ha destinato alla Sanità. Un dato in controtendenza rispetto ai principali Paesi europei (nella sola Germania le risorse per la Sanità nello stesso periodo sono cresciute di 2 punti), che ovviamente si riflette sia sulla spesa pro capite (1.900 euro da noi, 2.600 euro in Francia e 3.400 in Germania) sia sul rapporto con il Pil: 9,1 per cento in Italia rispetto all’11% di Francia e Germania e al 9,9% della media europea).

Al miglioramento dei risultati economici e gestionali molto ha contribuito la stretta nelle Regioni in Piano di rientro: al diminuire delle perdite 2016, dai 944 milioni del 2015 agli 847 milioni dell’anno passato, le amministrazioni “controllate” hanno partecipato infatti con una riduzione delle perdite da 396 milioni del 2015 a 271 milioni. Le Regioni non in Piano confermano invece il risultato: il deficit complessivo si attesta sui 540 milioni di euro.
Ancora, rilevano dalla Corte dei conti: tra 2009 e 2016, considerando le coperture scontate nei conti economici (CE) e il gettito fiscale da incremento delle aliquote, le Regioni in Piano sono passate da una perdita di oltre un miliardo ad un avanzo di circa 750 milioni.

Tutto bene, quindi? No, come detto. Perché a ben guardare come poi l’offerta sanitaria si declina rispetto agli assistiti, le “insufficienze” si moltiplicano. Ancora gli anziani, e in barba al galoppante invecchiamento della popolazione, gravata per altro in Italia da un numero di anni vissuti in buona salute inferiore alla media europea (9,7 anni nel 2015): in molte Regioni in Piano gli anziani sono infatti scoperti non solo dal punto di vista delle cure a domicilio, ma anche sul fronte delle strutture residenziali per le fragilità in generale e degli hospice. Anche qui il divario Nord-Sud è drammatico: 4 anni in meno di speranza di vita senza limitazioni a 65 anni, nel Meridione d’Italia.
Ma le inefficienze, come detto, riguardano tutti. Questo il verdetto che si legge nella Sintesi al Rapporto: «sembra corretto ritenere che l’attuale struttura di assistenza sanitaria, anche ove al di sopra degli standard minimi richiesti, non sia sufficiente a rispondere ai bisogni di una popolazione sempre più anziana, affetta da cronicità e con oltre 2,5 milioni di non autosufficienti». La Corte cita esplicitamente il Piano nazionale cronicità, come possibile strumento di integrazione tra cure primarie e specialistiche, di promozione della continuità assistenziale e di modelli basati sul domicilio o in ogni caso sulla centralità del paziente.
La stretta sulla spesa rischia di compromettere i livelli di qualità anche quando si guarda agli effetti dei minori investimenti, che sono passati tra 2013 e 2016 a -38,3%: ne risentono - rilevano ancora i magistrati - strutture, aparecchiature, dispositivi e farmaci ad alto contenuto tecnologico. Oltre il 30% delle apparecchiature ancora in esercizio, si legge ancora nella Relazione, ha un’età superiore ai 10 anni e andrebbe sostituita. Anche perché macchinari efficienti riducono tempi d’attesa e di degenza. In ogni caso, la loro concentrazione in pochi nodi principali può essere «un inevitabile motore di mobilità regionale».
Ultimo, non certo in ordine d’importanza, il riferimento al taglio sul capitale umano, che ha «introdotto distorsioni che incidono sull’adeguatezza del servizio. Il blocco del turnover, ricordano dalla Corte, ha inciso sull’età media dei lavoratori Ssn, oggi particolarmente elevata e sulla possibilità di adeguare la composizione tra le figure professionali per rispondere, con un potenziamento delle professioni sanitarie, ai nuovi biosogni di cura della popolazione.

Dopo aver molto lavorato sul «riassorbimento degli equilibri strutturali», è su questo complesso di fragilità che bisogna lavorare,


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