Dal governo

Ticket, povertà e commissari inutili. Le sfide che non aspettano

di Ettore Jorio (Università della Calabria)

S
24 Esclusivo per Sanità24

Ho letto della volontà della ministra Lorenzin di occuparsi finalmente di chi sta peggio. Di quegli undici milioni di cittadini che rinunciano, causa gli esasperati ticket, ad accedere alla sanità pubblica. Un bel passo avanti nel godimento universale della salute, massacrata da scandali, maladministration e dal diritto negato a 30 milioni di italiani, nonostante le garanzie costituzionali. Per i residenti nelle regioni del sud, delle quali quattro commissariate (oltre al Lazio), l'accesso ad un servizio pubblico, rispettoso della dignità umana, è impresa impossibile o quasi. Una ragione, questa, che fa sì che le regioni con una sanità «più imprenditorializzata» fanno incetta di oltre un miliardo l'anno, drenandolo dalle regioni più povere. Basti pensare che solo la Calabria contribuisce a una siffatta perequazione al rovescio con circa 300 milioni di euro all'anno in favore di quel “pacco” di cui gode la Lombardia, che totalizza quasi 600 milioni di euro di mobilità attiva. Insomma, una sanità che divide il Paese in due/tre mondi, dei quali uno penalizzato a tal punto da non assicurare i diritti di cittadinanza ai meno abbienti.
Certo, i ticket differenziati per povertà potrebbero dare una mano ad attenuare questo inumano differenziale. Ma tutto questo da solo non risolve. Richiederà, infatti, tanto tempo per funzionare a regime. Vale comunque la pena provare, con la dovuta solerzia e le capacità da mettere in campo.
La ministra, che invero nell'ultimo periodo pare in via di miglioramento, dovrebbe impegnarsi un po' di più per passare alla storia. Dovrebbe partorire la riforma quater, funzionale a fare giustizia sociale nel Paese, quella che non è, tuttavia, nelle “canne” ideologiche della propria parte politica. Il tutto partendo dall'obiettivo di rendere il Paese interamente e egualitariamente destinatario dei diritti sociali. Dunque una sanità che sia un tutt'uno con l'assistenza sociale, gestita da un'agenzia della salute che superi l'attuale aziendalismo che è frutto della (non) sanità di oggi, piena di limiti e alla quale si accede per intercessione, specie nella parte più debole del Paese.
Dovrà farlo subito, cominciando a fare pulizia degli attuali commissariamenti con inutili e costosissimi advisor al seguito, che hanno prodotto, a fronte di un miglioramento dei conti, dei LEA da terzo mondo. Ciò nella logica che a tutelare la salute sono le prestazioni essenziali e non gli “assegni circolari”, sulla cui autenticità ci sarebbe anche tantissimo da dire.
Non solo. Dovrà mettere fine, e l'agenzificazione la aiuterà in tal senso, al triste gioco che fa sì che i manager della sanità siano sempre gli stessi, tanto da costituire il reale impedimento al cambiamento, e che consente che, trasferendo l'uno al posto dell'altro, si prendano in giro, violandoli, diritti, bilanci e LEA.
La attuale formazione della governance è, infatti, il grave problema che affligge la sanità italiana; essa è determinata da una politica non propriamente all'altezza, che designa manager che, nella maggior parte dei casi, sono i reali artefici di ciò che non funziona oggi. A tal proposito, le novità introdotte dal recente decreto legislativo attuativo della riforma Madia non sembrano né tali, né tampoco funzionali a cambiare la direzione, nel senso di rendere una sanità meno costosa e più votata al soddisfacimento dei fabbisogni sociali.
Del resto, con la concentrazione degli acquisti e i risultati pessimi in termini di prodotto sanitario, cosa ci rimane dell'azienda della salute?


© RIPRODUZIONE RISERVATA