Dal governo

Per sostenere il welfare vanno rivisti i criteri di esenzione

di Walter Ricciardi (presidente Istituto superiore di Sanità, direttore Osservatorio nazionale sulla salute - Università Cattolica)

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Il nostro Paese sta uscendo con molta difficoltà e lentezza dalla crisi economica, gli eventi di questi ultimi anni hanno reso evidente il fatto che tutte le conquiste in termini di benessere sociale ed economico non sono assicurate per sempre, ma vanno difese con la forza delle idee, gli strumenti della politica e conservate attraverso un atteggiamento proattivo da parte di tutti i cittadini e delle Istituzioni. Lo spettro della crisi economica passata e i nuovi scenari introdotti dalla globalizzazione economica hanno fatto vacillare molte certezze, tra le quali la sostenibilità del welfare e in particolare del sistema sanitario pubblico, minato dalla scarsità di risorse economiche e da una gestione spesso inefficiente.

Il tema dell’efficienza della spesa e del razionamento della gestione è stato al centro di tutte le riforme attuate a partire dal 1992 e concluse con il federalismo fiscale del 2001. Le prime riforme hanno agito sul decentramento dell’organizzazione sanitaria, attraverso l’aziendalizzazione, delle Asl e degli ospedali, e l’introduzione della responsabilità dei bilanci in capo ai direttori generali. Il processo di decentramento si è perfezionato con la riforma in senso federale della sanità, in ossequio al principio della sussidiarietà presente nella Costituzione italiana. L’intento del legislatore è stato quello di avvicinare il governo del sistema al cittadino, attraverso il potere legislativo concorrente tra Stato e Regioni in materia di sanità pubblica, individuare i Livelli essenziali di assistenza da erogare su tutto il territorio italiano, stabilire la coerenza tra risorse economiche regionali (entrate tributarie) e spesa sanitaria, infine, attivare il principio di solidarietà, mediante un fondo di perequazione per riequilibrare i differenziali economici tra le Regioni.

A circa quindici anni di distanza dalla riforma sul federalismo fiscale può essere utile tracciare alcuni bilanci. È innegabile che il nostro Ssn ha ottenuto risultati lusinghieri e può vantare evidenti miglioramenti delle condizioni di salute della popolazione. Altrettanto innegabili sono i suoi fallimenti: non è stata risolta la “questione Meridionale” e si sono acuiti i divari sociali.

Per citare solo alcuni numeri, nel 2015 la spesa sanitaria pro-capite si attesta, mediamente, a 1.838 euro, è molto più elevata nella Pa di Bolzano (2.255 euro) e decisamente inferiore nel Mezzogiorno, in particolare in Calabria i cui abitanti possono contare su 1.725 euro. Analizzando la dinamica di un indicatore di salute, quello della mortalità sotto i 70 anni di età, che unisce la sopravvivenza con l’efficacia delle cure, si osserva che i divari territoriali non solo sono persistenti, ma evidenziano un trend in crescita. Infatti, dal 1995 al 2013, rispetto al dato nazionale, si osserva che al Nord la mortalità sotto i 70 anni è in diminuzione in quasi tutte le Regioni; nelle Regioni del Centro si mantiene sotto il valore nazionale con un trend per lo più stazionario; nelle Regioni del Mezzogiorno il trend rispetto al dato nazionale è in sensibile aumento, facendo perdere ai cittadini di questa area del Paese i guadagni maturati nell’immediato dopoguerra del secondo conflitto mondiale.

Infine, per quanto riguarda gli squilibri sociali, nel 2013 nella classe di età 25-44 anni la prevalenza di malati cronici ammonta al 4 per cento, scende al 3,4 per cento tra i laureati e sale al 5,7 per cento nella popolazione con il livello di istruzione più basso.

Gran parte delle analisi e dei suggerimenti del Rapporto Osservasalute 2016 poggiano sulla constatazione, ormai più che consolidata, che l’invecchiamento della popolazione aumenterà inevitabilmente la prevalenza delle condizioni morbose di lunga durata e favorirà notevolmente negli anni la complessità dei bisogni di assistenza socio-sanitaria della popolazione. A fronte di questa dinamica gli autori auspicano il passaggio da una logica di tipo “prestazionale” a una logica di “presa in carico” dell’individuo. In questa prospettiva, sarà decisivo il ruolo dell’assistenza territoriale, da attuare attraverso l’implementazione di un efficace sistema basato sull’Assistenza primaria.

Un altro fattore decisivo per il futuro della nostra salute pubblica è rappresentato dalla prevenzione e dalla promozione di stili di vita salutari. Infatti i dati di incidenza di alcune patologie tumorali mettono in evidenza alcune criticità e prospettano un quadro preoccupante per il futuro in assenza di politiche efficaci. Dal 2003 al 2013 si è osservato un sensibile aumento dei tumori legati a patologie prevenibili, questo fa comprendere quanta strada vada ancora fatta per incrementare l’efficacia della prevenzione, sia per migliorare le condizioni di salute generale sia per conservare quanto di buono è stato già fatto in passato.

Infine, un elemento di preoccupazione da non trascurare è legato alla sostenibilità politica del nostro Servizio sanitario nazionale, poiché gli squilibri nell’allocazione delle risorse finanziarie e i persistenti divari sociali che lo caratterizzano non costituiscono solo un problema di natura esclusivamente etica. Un abbassamento della qualità dei servizi offerti potrebbe far vacillare il principio di solidarietà sul quale si è ispirato il nostro welfare, contrapponendo gli interessi delle fasce di popolazione insofferenti per la crescente pressione fiscale, a quelli delle fasce sociali più deboli che sperimentano peggiori condizioni di salute e difficoltà di accesso alle cure pubbliche. Per questi motivi sarebbe auspicabile rivedere i criteri di esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria e di accesso alle cure e intensificare gli sforzi per combattere l’elevata evasione fiscale che attanaglia il nostro Paese e mina la sostenibilità dell’intero sistema di welfare state.


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