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Welfare e Sanità: la svolta di Orlando. Verso le primarie del Pd di domenica

di red.san.

Investire in sanità «Si deve e si può. Quanto meno per sei buoni motivi: garantire la pinea esigibilità dei Lea, avere prestazioni uguali in tutta Italia, mettere al centro la persona, valorizzare il capitale umano del Ssn, incentivare la ricerca sanitaria pura e applicata, mettere in campo una nuova governance del farmaco e delle tecnologie».

Sono i punti di forza del programma «Welfare e Salute» presentato oggi a Roma, al Senato, da Andrea Orlando, candidato alla segreteria nazionale del Pd alle primarie di domenica. Già il razionale dell'analisi, spiega i motivi di sofferenza, di forza ma soprattutto anche di debolezza, del Ssn. Eccolo.

«Welfare e Sanità», il “razionale” di Orlando
La nostra sanità pubblica si è rivelata, in questi difficilissimi anni di crisi, un sistema complesso, gravato da inefficienze e sprechi ma resiliente, capace cioè di adattarsi alle forti restrizioni del finanziamento pubblico legate alle varie manovre di riequilibrio della finanza pubblica, nel rispetto di regole condivise a livello europeo.
A questo proposito è necessario sfatare alcuni falsi miti, come quello che vorrebbe la spesa sanitaria nel nostro Paese fuori controllo. Infatti tutti i dati ci dicono che:

- Il rapporto spesa sanitaria pubblica/Pil nell'anno 2015 si è attestato al 6,8%, a livelli cioè tra più bassi dell'EU-14, e la spesa sanitaria pubblica in rapporto alla spesa totale è scesa al 74,5%.

- La spesa media sanitaria pubblica pro capite (1.828 Euro) in Italia è inferiore del 36% a quella dei paesi dell'Europa occidentale.
- I disavanzi sanitari sono passati dai 6 miliardi circa di euro del 2006 a poco più di 1,15 mld del 2015.
Tutto questo è avvenuto senza che cedesse l'impianto universalistico del sistema, senza tracolli di qualità ed efficacia, senza rovinosi cedimenti dell'equità. E secondo i più importanti indicatori siamo ancora tra i migliori servizi di tutela della salute.
L'impatto delle manovre di contenimento della spesa pubblica in sanità, tuttavia, ha determinato forti cambiamenti nelle relazioni tra i due livelli di governo del sistema, Stato e Regioni, ed entrambi sono stati chiamati a cogliere le opportunità e minimizzare i rischi connessi a tali cambiamenti.

Tra di essi a preoccuparci è soprattutto:
- Il razionamento implicito delle prestazioni con contrazioni dell'accesso e quindi dell'equità, con fenomeni di rinunzia a cure o di impoverimento per spese sanitarie. Si è dunque aperta una ferita all'equità e al contrasto alle diseguaglianze nella tutela della salute.
- La deprofessionalizzazione del capitale umano del SSN.
- La decapitalizzazione del lavoro professionale, cioè una perdita di valore economico e sociale del lavoro mediante un forte rallentamento dello sviluppo delle carriere, della implementazione delle competenze e delle retribuzioni (contratti e convenzioni fermi da oltre sette anni), una riduzione dei fondi per retribuire attività disagiate (turnistica h24, guardie, reperibilità).
- L’abuso di contratti atipici che ha esteso l'area di lavoro precario nel pubblico.
- Il blocco del turn over (età media medici pari a 54 anni), che ha determinato una riduzione di personale soprattutto adibito alle attività dirette di assistenza e cura, stimato in 26.000 unità.

C'è poi un problema Mezzogiorno anche in sanità, al di là dei livelli di efficienza ed efficacia delle prestazioni (non) rese.
Occorre, infine, superare le difficoltà a programmare incisivi ed accessibili interventi di protezione delle non autosufficienze.
La nostra sanità pubblica non è una modalità come tante altre di organizzare il sistema delle cure, ma uno straordinario strumento di tutela della salute individuale e collettiva di carattere universalistico e di contrasto alle disuguaglianze di ceto, di territorio, di genere e generazione: soprattutto in questi anni di crisi, ha dato un rilevante contributo nel contenere l'aggravarsi di vecchie e nuove povertà, sostenendo l'inclusione sociale.
Il nostro Sistema Sanitario può e deve ancora migliorare ma ha consolidato, soprattutto in questi anni di profonda crisi di risorse, un modello di governance della spesa fatto di regole e procedure idonee a garantire che la spesa sia sempre più prossima al costo di un servizio efficace, appropriato e di qualità. E proprio per questo il nostro sistema sanitario pubblico è una grande opportunità su cui investire.

Perché investire nella salute
Investire nella sanità pubblica vuol dire innanzitutto dare certezza di finanziamenti adeguati per un tempo adeguato (triennale), evitando riduzioni in corso d'opera - come spesso è avvenuto - che producono riduzioni di offerta e incertezze sulla gestione dei servizi.
È necessario restituire ai ticket la fisiologica funzione di regolazione della domanda in ragione dell'appropriatezza, rendendo più eque e trasparenti le regole di esenzione.

Gli effetti distorsivi sono noti laddove sono diventati una robusta fonte di finanziamento del sistema (circa 3 mld) o dei paradossali driver di prestazioni verso la sanità privata o verso l'acquisto diretto di farmaci.

Investire si può per l'elevata resilienza e la migliorata capacità di spesa efficace, efficiente e trasparente del nostro SSN.

Le sei direttrici
Investire si deve per corrispondere al meglio ai nuovi bisogni di salute e di inclusione, di cura e assistenza. La transizione di mezzi e di fini della medicina e dell'assistenza, infatti, è diventata più che mai complessa in un contesto di grandi cambiamenti demografici, epidemiologici (prevalenza di malattie croniche invalidanti), di straordinari sviluppi delle biotecnologie.
Investire si può e si deve, prioritariamente nei punti di forza del nostro sistema pubblico per:
- garantire la piena esigibilità dei vecchi e nuovi LEA in tutte le regioni e in tutti i territori delle regioni. Va quindi superata al più presto la vigente “Griglia LEA” che appare poco sensibile a rilevarne l'effettiva erogazione;
- allineare, in un quadro programmatorio, gli standard quali/quantitativi di prestazioni sanitarie e sociosanitarie del Mezzogiorno a quelli delle regioni più avanzate affiancando ai finanziamenti dei fabbisogni sanitari standard, una quota di perequazione per le regioni del Mezzogiorno misurata da altri indicatori di fabbisogni (es. indici di deprivazione sociale, epidemiologia, deficit di strutture e tecnologie);
- diffondere modelli di cura e assistenza multidisciplinari e multiprofessionali, ospedalieri e territoriali, che mettano al centro i bisogni della persona, per la prevenzione; per un impegno diffuso e omogeneo sulle cronicità e le fragilità; per la continuità delle cure e dell'assistenza; per una efficace integrazione tra cure specialistiche ospedaliere e cure primarie territoriali e servizi socio assistenziali del territorio; per campagne di educazione e di informazione sui corretti stili di vita, sulle vaccinazioni, sugli screening oncologici e prenatali, sulla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro;
- prendersi cura del capitale umano, della sua formazione di base e specialistica (revisione dei modelli formativi), del suo aggiornamento, del suo lavoro (sblocco del turn over, superamento del precariato), della sua remunerazione (aprire e finanziare contratti e convenzioni), dei ruoli nelle organizzazioni votate ad assistere e curare;
- incentivare la ricerca sanitaria pura e applicata, in progettazione e produzione di tecnologie avanzate, di organizzazioni sicure ed efficaci, in luoghi di cura sicuri che promuovano l'umanizzazione e personalizzazione delle cure;
- sostenere una nuova governance del farmaco e delle nuove tecnologie sanitarie fondata sull'appropriatezza delle indicazioni, sull'accessibilità, sulla sicurezza, sulla trasparenza ed autorevolezza delle fonti scientifiche, sulla sostenibilità dei costi per evitare cadute dell'equità.

Queste – conclude il documento - sono le scelte per noi prioritarie per mantenere fermi i principi di solidarietà, di equità e di universalismo.


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