Dal governo

Anoressia, bulimia e altri Dca, nelle linee guida del ministero le indicazioni alle Regioni sulla riabilitazione nutrizionale

di Barbara Gobbi

Pasto assistito, supplementi nutrizionali, nutrizione artificiale. Queste tecniche di intervento “riparatore” rispetto a un paziente, molto spesso giovanissimo, affetto da disturbo del comportamento alimentare (le classiche anoressia e bulimia ma lo spettro è ampio), non soltanto non si improvvisano, ma vanno scelte e gestite con oculatezza da team di professionisti competenti, capaci di coordinarsi in équipe. E vanno condotte, sia in ospedale che nella residenza sanitaria sia tra le mura domestiche, con un approccio organizzato e coordinato con altre terapie mediche e psicologiche.

Partono da questi presupposti le “Linee di indirizzo nazionali per la riabilitazione nutrizionale nei disturbi dell'alimentazione” - di fatto la versione italiana del testo prodotto a maggio scorso dal Nice (il National Institute for Clinical Excellence) - appena pubblicate dal ministero della Salute (Quaderno n. 29) e già passate al vaglio della Conferenza Stato-Regioni. Non a caso: tra gli obiettivi del documento, c’è proprio quello (ambizioso) di superare le difformità regionali, che oggi affidano la presa in carico con uno spiccato fai-da-te e che hanno bisogno di un’indicazione univoca e puntuale, tanto più necessaria, visto l’esordio sempre più precoce di questi disturbi, con conseguenze molto serie sullo sviluppo psicosomatico dell’individuo adulto. «Un esordio precoce - spiega infatti la ministra Lorenzin nella Prefazione al documento - si associa spesso ad un rischio elevato di danni permanenti, secondari alla malnutrizione, soprattutto perché i tessuti che non hanno ancora raggiunto una piena maturazione, come le ossa e il sistema nervoso centrale».

Il cuore delle Linee d’indirizzo è il Capitolo 3, dedicato alla “Riabilitazione nutrizionale dei pazienti con Dca nei vari livelli di assistenza”. Il paziente, insieme a strutture e operatori, va pienamente coinvolto in questo processo di recuperodi peso e motivazione. La parola d’ordine è contrastare, alla fonte, la “scarsa motivazione al cambiamente”. «Le persone sottopeso con disturbi dell’alimentazione - si legge nel testo - tendono a non considerare la restrizione calorica e il basso peso raggiunto un problema, anzi spesso lo giudicano una conquista. Questo accade perché la restrizione calorica e il sottopeso, essendo in linea con la loro psicopatologia centrata sul controllo del peso, della forma del corpo e dell’alimentazione, sono considerati spesso la prova evidente della loro forza di volontà e autocontrollo».
A seguire, nel capitolo 4, l’approfondimento sulle figure coinvolte, che erano state già parzialmente indicate nelle prime Linee guida prodotte sempre dal ministero, nel 2013. «Oggi - spiega Laura Dalla Ragione, psichiatra che fa parte del Comitato tecnico ministeriale che ha redatto le Linee guida e direttrice della Rete Dca dell’Usl 1 dell’Umbria - si sentiva l’esigenza di chiarire meglio ruoli e funzioni dei professionisti coinvolti. Troppi i nutrizionisti che si improvvisano “esperti” in Dca; serve una formazione specifica dell’intera équipe sul modello di trattamento praticato, così da avere con il paziente un approccio coerente e non contradditorio». In campo, cioè nell’équipe multidisciplinare, possono essere incluse in modo variabile, in base al livello di intensità di cura, queste figure professionali: medici (psichiatri/neuropsichiatri infantili, medici con competenze nutrizionali, internisti, pediatri, endocrinologi), dietisti, psicologi, infermieri, educatori professionali, tecnici della riabilitazione psichiatrica e fisioterapisti. Le linee guida hanno potuto tener conto soltanto delle professioni “riconosciute”: categorie pure molto attive come i biologi nutrizionisti, che non sono ancora professione sanitaria, non sono ancora contemplate nel documento.

Un capitolo a parte è dedicato al ruolo della famiglia. «Un programma di riabilitazione nutrizionale - si legge nel testo - dovrebbe sempre prevedere un’attenzione particolare al rapporto con la famiglia dei pazienti, la sua esclusione può comportare anche l’abbandono del trattamento». Nel caso di pazienti adolescenti, la Linea guida fornisce delle indicazioni specifiche ai genitori, mentre in caso di adulti «il coinvolgimento dei genitori o del partner o di altre persone significative, con il consenso del paziente, va considerato in due casi: (1) se possono essere d’aiuto ai pazienti stesso nell’attuare alcuni cambiamenti (per es. aiutandolo a gestire i pasti e le difficoltà quotidiane); e 2) se rendono difficoltoso il cambiamento (per esempio perché fanno commenti critici sul modo di mangiare o sull'aspetto fisico del paziente).

In appendice, le indicazioni su “Attività fisico-sportiva e disturbi della nutrizione e dell’alimentazione”. I dati parlano chiaro: la prevalenza dei disturbi dell’alimentazione aumenta con il livello di competizione. Secondo uno studio, la prevalenza di disturbi dell’alimentazione clinici e subclinici negli atleti di élite è dell’8% nei maschi atleti di élite, del 24% nelle donne calciatrici di élite e del 29% nelle donne pallamaniste di élite.
«L’attività sportiva praticata ad alti livelli può favorire, soprattutto per determinate discipline come la ginnastica artistica, il pattinaggio, la scherma o l’atletica, l’insorgere di questi disturbi quando il soggetto interessato presenti una fragilità che lo predispone alla comparsa del Dca. Per questo - spiega Dalla Ragione - il ministero della Salute siglerà un accordo con il Coni per la formazione specifica delle figure professionali coinvolte nelle Federazioni sportive. Intesa da cui purtroppo resterà esclusa la danza, che solo in Italia non è riconosciuta come disciplina sportiva».


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