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Superticket: il Fondo da 60 mln per il 70% alle Regioni ricche. Aceti (Cittadinanzattiva): «Altro che equità, questo è federalismo diseguale»

di Barbara Gobbi

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ANTEPRIMA. L'appuntamento è per martedì 24 aprile alle 11, a Roma, in via della Stamperia. Obiettivo: dare l'assenso in sede tecnica al decreto - arrivato in ritardo di due mesi - che contiene il riparto del fondo da 60 milioni di euro, previsto dalla manovra 2018 per alleggerire con una misura-piuma il balzello superticket. La tassa sanitaria iniqua per eccellenza, quei 10 euro a ricetta introdotti nel 2011 come misura una tantum, ma poi di fatto resa strutturale. Con poche eccezioni: appena cinque realtà - Valle d'Aosta, Pa Bolzano, Basilicata, Sardegna, Pa di Trento (che però dal 1° giugno 2015 ha una quota di 3 euro) non la prevedono, avendo scelto misure alternative «equivalenti» per il mantenimento dell'equilibrio economico-finanziario.

L'abolizione del superticket è il classico tormentone che si ripropone a ogni legge di Stabilità e anche quest'anno non si è fatta eccezione. Alla fine ciò che si è riusciti a ottenere, però, è scritto nei commi 804 e 805 della manovra (legge 27 dicembre 2017, n. 205), che stanzia quei 60 milioni, prevedendo che un 10% - quindi 6 milioni - sia riservato alle Regioni che abbiano già adottato misure di alleggerimento del superticket. L'unico altro criterio è che il restante 90% del Fondo sia ripartito in base al volume di ricette di specialistica ambulatoriale.

Nella manovra però si legge ben altro: è proprio l'incipit del c. 804 ha dettare la linea, prevedendo che «la ratio del provvedimento debba essere conseguire una maggiore equità e agevolare l'accesso alle prestazioni sanitarie da parte di specifiche categorie di soggetti vulnerabili». I più deboli al centro, dunque: questa la filosofia scritta nero su bianco nella legge di Stabilità. Ma il decreto che la attua e che domani sarà al vaglio tecnico, per poi approdare in Conferenza Stato-Regioni, sembra seguire tutta un'altra logica. La parte del leone va infatti alle realtà più ricche e i cui cittadini avrebbero forse meno bisogno di altri di un superticket "light": ben il 70% del Fondo va a Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Toscana.

A lanciare l'allarme è Cittadinanzattiva, che anche in sede di definizione della manovra si era battuta per l'abrogazione tout court del superticket, raccogliendo 40mila firme, consegnate ai parlamentari. A poco - cioè al fondo da 60 milioni - era valso quello sforzo. Ma è la traduzione pratica di quel "primo passo" fatto dalla manovra, a indignare ora le associazioni di cittadini-pazienti: «Quella bozza di decreto contiene misure inique - attacca Tonino Aceti, coordinatore di Tdm-Cittadinanzattiva - che penalizzano ancora una volta soprattutto le popolazioni del Centro-Sud, più in difficoltà nell'erogazione dei Lea, con più alto tasso di rinuncia alle cure, minor reddito pro capite, più disoccupazione e un più alto livello di Irpef. Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia tutte insieme avrebbero a disposizione solo il 12,5% del Fondo. Si passa dal 23% della Lombardia all'1,5% della Calabria, sino ad arrivare allo 0,3% del Molise».

Ce n'è abbastanza, se il decreto fosse approvato nella versione attuale, per parlare sì di «federalismo differenziato, ma dal punto di vista dell'equità, in esatto contrasto con lo spirito del decreto», prosegue Aceti. Non solo: nel documento non si prevede alcun meccanismo di verifica dell'effettiva adozione di provvedimenti che con quelle risorse contribuiscano ad alleggerire il superticket. Che, sempre da quanto certificato dal ministero nella bozza, non varrebbe gli oltre 800 milioni che erano stati stimati dalla manovra che nel 2011 lo istituì, ma la metà: poco più di 400 milioni di euro. Da qui il nuovo appello al Parlamento di Cittadinanzattiva: abrogare il superticket già nel prossimo Def, avviando già con questo provvedimento «il rilancio dell'accesso alle cure e al servizio sanitario pubblico».


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