Dal governo

Disforia di genere, Cnb: triptorelina in adolescenza da valutare «con prudenza e caso per caso»

di Rosanna Magnano

S
24 Esclusivo per Sanità24

L’uso della triptorelina per il trattamento della disforia di genere durante l'adolescenza deve essere considerato secondo un approccio di prudenza e multidisciplinare, in situazioni accuratamente selezionate da valutare caso per caso, con la necessità sullo sfondo di predisporre di studi di sicurezza, efficacia e follow-up fisico-psichico sui casi trattati e di prevedere una politica di accesso equo e omogeneo. Su questo delicatissimo fronte, il Comitato nazionale per la bioetica ha pubblicato un parere rispetto all'eticità dell'utilizzo di questo farmaco, approvato nel corso della Plenaria del 13 luglio 2018 in risposta a un quesito dell'Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa).

Le principali raccomandazioni sono: che la diagnosi e la proposta di trattamento provengano da un’équipe multidisciplinare e specialistica; che il trattamento sia limitato a casi ove gli altri interventi psichiatrici e psicoterapeutici siano risultati inefficaci; che il trattamento preveda un consenso volontario e consapevole delle informazioni ricevute nelle specifiche condizioni fisiche e psichiche; che si preveda un’adeguata formazione del pediatra, della rete socio-sanitaria di base e delle istituzioni scolastiche coinvolte su questi temi.

La triptorelina è in genere un farmaco usato con l’indicazione clinica di sospensione dello sviluppo puberale in casi di pubertà precoce (o pubertà patologica) per evitare danni permanenti. Per la disforia di genere è invece previsto un utilizzo «off label»: l'estensione del farmaco agli adolescenti colpiti da questa patologia riguarda un preciso stadio di sviluppo (lo Stadio II di Tanner ), per bloccare una "pubertà fisiologica", che risulta fonte di grande sofferenza.

La disforia di genere si può manifestare anche molto precocemente nell’infanzia (3/4
anni) e nell’adolescenza (10/13 anni ) e riguarda soggetti che «non si riconoscono»
psicologicamente nel sesso alla nascita, «che vivono ed esprimono un forte desiderio di modifica re il corpo sessuato da maschio a femmina o da femmina a maschio o anche di vivere una condizione di ambiguità sessuale, data l’assenza di una corrispondenza tra sesso e genere percepito. Tale stato nell'adolescenza, in modo specifico, si può esprimere nel desiderio, con diversi gradi di intensità, di rallentare e/o bloccare lo sviluppo delle proprie caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie in vista della possibile acquisizione delle caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie del sesso opposto o di una condizione di ambiguità tra maschile e femminile (transgender)».

La disforia di genere può accompagnarsi a patologie psicologiche e psichiatriche, spesso causa di stigma e discriminazione sociale: disturbi dell’emotività, ansia elevata, anoressia, autolesionismo, tendenza al suicidio, autismo, psicosi, dimorfismo corporeo, drop-out scolastico elevato. Situazioni drammatiche in cui i ragazzi e le famiglie chiedono una via d'uscita dalla scienza.

«Si tratta di una problematica che riguarda poche decine di casi - spiega Andrea Lenzi, professore Ordinario di endocrinologia, Università di Roma “La Sapienza” audito dal Cnb per la stesura del parere - in cui questa condizione si presenta già in età pre-adolescenziale ed è chiaramente etichettata come tale da un'equipe multidisciplinare con una forte componente clinica ma anche psicologica. In questi rarissimi casi c'è l'opportunità di ritardare un po' l'adolescenza del ragazzo o della ragazza in modo da consentire una scelta più consapevole sul proseguimento della sua vita. Si tratta di evitare che si verifichi la situazione terrificante in cui il corpo si sviluppa in una direzione e la testa in un'altra. La disforia di genere non è una malattia, è una condizione anomala vissuta in modo devastante, che può portare l'adolescente anche a compiere gesti estremi. In queste situazioni così difficili da un punto di vista etico, il medico, nel rispetto del giuramento di Ippocrate, che impone innanzitutto di non nuocere, cerca di aiutare la persona».

I benefici attesi
I benefici attesi dall'uso di triptorelina sono «la possibilità per l’équipe medica di “ampliare la finestra diagnostica” per una indagine più accurata per esplorare più serenamente tutte le questioni legate all’identità di genere dell’adolescente» e consentire «una maturazione della sua consapevolezza, senza il disagio legato allo sviluppo puberale; la prevenzione di cambiamenti fisici irreversibili della pubertà, che possono essere fonte di estrema sofferenza; l’opportunità, nel caso in cui l’adolescente dovesse in seguito procedere ad un intervento di affermazione medica, di evitare cambiamenti fisici, consentendo un possibile futuro uso inferiore di ormoni (farmaci che hanno pesanti conseguenze negative) ai 16 anni e interventi chirurgici meno invasivi all’età di 18 anni e di evitare che gli adolescenti pongano in essere interventi pericolosi come l’auto-somministrazione di farmaci acquistati on line, in
assenza di controllo e monitoraggio specialistico».

I potenziali rischi
A fronte di questi benefici il Cnb rileva potenziali rischi legati all'incertezza sulla sicurezza del farmaco e dati sufficienti di follow-up in grado di rassicurare sulla mancanza di effetti collaterali a breve e a lungo termine. «Non risulta sufficientemente provato - si legge nel parere del Comitato - se l’interruzione della pubertà fisiologica possa avere conseguenze negative sulla crescita, sulla struttura scheletrica, sull’apparato cardio-vascolare, neurologico-cerebrale e metabolico e sulla fertilità. I dati disponibili sono di tipo aneddotico, osservazionale o narrativo per quanto riguarda sicurezza ed efficacia: senza adeguati controlli sperimentali è impossibile un giudizio scientifico sui rischi».

Inoltre non sono ancora sufficientemente esplorate le conseguenze del blocco dello sviluppo sessuale in rapporto allo sviluppo emotivo e cognitivo che procede. Infine un latro punto critico bioetico riguarda la partecipazione e il consenso al programma terapeutico dell’adolescente, con tutto il suo carico di vulnerabilità.

Le raccomandazioni
Da questa serie di considerazioni deriva la raccomandazione sull'approccio multidisciplinare da parte di un'equipe o di un centro specialistico «che accompagni nel tempo gli adolescenti e le loro famiglie, per consentire di realizzare le aspettative nel modo meno traumatico possibile e di evitare fenomeni di stigmatizzazione e discriminazione, con pesanti ripercussioni sull’adolescente». La somministrazione del farmaco andrà inoltre prevista nell'ambito di un protocollo che includa anche interventi psicologici, psicoterapeutici e psichiatrici, «rivolti a rimuovere cause di sofferenza indotte da motivazioni sociali». Evitando soprattutto forme di automedicazione e trattamenti non
adeguatamente monitorati dai medici specialisti.

Infine, sottolinea il Cnb, occorre ricordare che «avviare il trattamento con la triptorelina significa iniziare un percorso decisivo per l’identità personale, che si svolgerebbe quasi
interamente - e comunque nella sua parte più significativa - nella minore età». Quindi con l'aiuto di professionisti del settore, è importante ottenere dal minore «un consenso espresso in modo libero e volontario e con la consapevolezza delle informazioni ricevute nelle specifiche condizioni fisiche e psichiche».


© RIPRODUZIONE RISERVATA