Dal governo

Autonomie regionali, le partite cruciali dalla formazione agli investimenti. Prima posta è il personale

di Barbara Gobbi

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24 Esclusivo per Sanità24

Il superamento dei tetti di spesa sul personale e mani libere sulla formazione dei medici. È questa la principale partita – economica e organizzativa - sulla quale puntano le proposte di autonomia, capitolo sanità, delle tre corazzate Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. I conti in ordine e il rispetto dei vincoli sui Livelli essenziali di assistenza sono le credenziali con cui governatori e tecnici si presentano ai tavoli con Salute e Mef. La scommessa è ancora tutta aperta, soprattutto con l’Economia che stenta ad allentare i vincoli sulla spesa. Ma le proposte - rispetto alle quali l'intero mondo professionale della sanità è in allarme - poggiano su una realtà concreta, denunciata anche dai sindacati, che pure temono il regionalismo spinto: 100mila medici in meno negli ultimi cinque anni, 70mila posti letto tagliati, una flessione percentuale della spesa pubblica intorno al 2% contro una crescita di quella privata del +1,6 per cento. Un quadro di deprivazione progressiva che incide sulla vita quotidiana dei professionisti e in generale sui servizi che vengono offerti ai cittadini, e che sconta non solo le politiche di tagli lineari dell'ultimo decennio, ma anche una serie di ritardi organizzativi da cui le tre Regioni che sono in prima fila nelle richieste di autonomia vogliono smarcarsi. Con la promessa corale di «dare servizi migliori» ai loro cittadini, senza nulla togliere al resto del Paese. Anzi, fornendo se mai utili esempi da seguire o a cui ispirarsi. Delle 23 materie elencate all’articolo 116 comma 3 della Costituzione, la sanità è quella già oggi più "decentrata" e si potrebbe forse utilmente provare a potenziare o a ottimizzare quanto già previsto dal regionalismo. Ma il federalismo sanitario ha creato un’Italia a tante velocità che ha accumulato ritardi e vincoli di cui oggi le Regioni più "virtuose" scalpitano per liberarsi, considerandoli obsoleti e ostativi della capacità di erogazione delle cure.

Via i vincoli sulla spesa. Far saltare il tetto sulla spesa per il personale, fissato in tempi di spending review dalla legge 135/2012 alla soglia 2004 meno l’1,4%, è il primo passo per rilanciare le assunzioni. «In Veneto – ha spiegato più volte il governatore Luca Zaia - mancano 1.300 medici». «Un gap che siamo in grado di colmare – avvisa l’assessore Manuela Lanzarin – senza risorse aggiuntive, restando nel budget di spesa che ci è assegnato. Abbiamo già autorizzato le aziende ad assumere o a bandire i concorsi, ora si tratta di by-passare quel vincolo nazionale che non ha più ragione d’esistere». Non solo: il Veneto pensa anche a conferire incarichi individuali con contratto autonomo per l'esercizio della funzione ordinaria, al di là delle procedure concorsuali. O a convenzioni con università europee, per consentire a studenti esteri di specializzarsi nelle strutture regionali avendo così a disposizione un vivaio di professionisti. E ancora, a stanziare risorse aggiuntive per incentivare il personale nelle zone disagiate, in sede di contrattazione di II livello.
Per la Lombardia, dove la sanità privata accreditata incide per il 35% sulla produzione ospedaliera e per circa il 50% sull’ambulatoriale, c'è tutta l'intenzione di rimuovere anche il tetto sul budget assegnato ai privati. L’obiettivo qui è scavallare il limite della spesa 2011 meno il 2%, fissato sempre nel 2012. «Oggi l’autonomia ci serve per avere maggiore flessibilità e soddisfare nel migliore dei modi le esigenze dei pazienti», spiega l’assessore alla Sanità Giulio Gallera.

Mani libere sulla formazione. Ospedali d’insegnamento e contratti di specializzazione-lavoro sono le proposte mirate a rimpolpare subito gli organici. «Prendi un medico laureato e abilitato, gli affianchi un tutor, concordi con l’università un percorso formativo e lo metti così in grado di lavorare partendo dalla gestione dei casi meno complessi, iscrivendolo in sovrannumero alla scuola di specializzazione. Ovviamente al termine del percorso dovrà comunque affrontare un concorso, per entrare in ospedale a tempo indeterminato. Il nostro vincolo oggi è la capacità formativa dell’Università: i teaching hospital possono essere una via», spiega l’assessore dell’Emilia Romagna, Sergio Venturi.
Ma la mini-rivoluzione riguarderebbe anche il territorio: «Per le cure primarie – afferma Lanzarin – pensiamo a forme aggregate complesse con i convenzionati ma anche con dipendenti del Ssr oppure con i privati accreditati». In Lombardia c’è il progetto di gestire «in modo più strutturato il rapporto con i Mmg, per esempio imponendo le modalità organizzative che hanno caratterizzato la nostra riforma sulla cronicità», spiega Gallera.
Novità che potrebbero prevedere incentivi ai medici in sede di contrattazione di II livello, con risorse da reperire – almeno in una fase iniziale - sempre nell’ambito del riparto del Fondo sanitario nazionale. Quindi, ci tengono a sottolineare gli assessori, senza nulla sottrarre alle altre Regioni.

Gli investimenti. I fondi da "articolo 20" (edilizia sanitaria) negli anni sono arrivati, ma la discontinuità ha pesato sulla possibilità di programmare. Prendiamo l'Emilia Romagna: dal 1988 in poi sono arrivati in media 80 milioni l'anno, a corrente alterna: tranche da 250-300 milioni di euro, poi niente per otto anni. La maggiore autonomia dovrebbe, nelle intenzioni dei proponenti, conquistare la certezza nella tempistica (100 milioni l'anno per i prossimi dieci anni ex art. 20), con l'impegno magari a partecipare in quel periodo soltanto ad altre linee di finanziamento. Per la Lombardia la richiesta di autonomia è una potenziale cura anti-burocrazia. «Siamo l'unica Regione - spiega Gallera - che sul VII provvedimento quadro, cioè l'ultima tranche delle risorse 2010, ha fatto progetti, ottenuto i fondi e "cantierizzato". Il punto è che c'è tutta una lunga burocrazia per ottenere e asseverare i progetti, che vengono autorizzati anche dopo cinque anni».

La sanità integrativa. La parola d'ordine in questo caso è "extra-Lea". All'erogazione dei servizi al di fuori dei Livelli essenziali di assistenza dovrebbe essere destinata la possibilità di gestire in proprio la sanità integrativa. «Anche su questo fronte vorremmo sperimentare - afferma ancora Gallera - e penso che anche la sanità pubblica ne possa guadagnare dando qualche asset migliorativo a chi finanzia. Non per la soddisfazione dei Lea ma per attività aggiuntive, per l'extra Lea. La nostra battaglia è in difesa del Ssn universalistico». «Chiediamo di poter avviare fondi integrativi pubblici e universali - afferma ancora Venturi per l'Emilia Romagna - e il primo azionista sarebbe la Regione, ente pubblico capofila di una serie di soggetti. Pensiamo ad esempio all'odontoiatria per bambini e ragazzi fino a 20 anni: la partecipazione delle famiglie con Isee al di sotto di un certo reddito la "passiamo" noi, mentre al di sopra l'esborso è a carico del nucleo, chiamato a corrispondere la stessa cifra su base volontaria».


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