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Programma nazionale Esiti/ L'Italia delle cure migliora ma resta debole su oncologia e chirurgia ortopedica

di Barbara Gobbi

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Il 65% delle fratture del collo del femore operate entro lo standard indicato dei due giorni, a fronte del 31% del 2010. I parti cesarei che si attestano a livello nazionale al 22,2%, a fronte del 29% del 2010 e dell'inaccettabile 37% del 2004. La mortalità a 30 giorni dal ricovero per infarto del miocardio che continua a scendere dal 10,4% del 2010 all'8,3% del 2017, dato che pone l'Italia ai minimi tra i Paesi occidentali. I tassi di ospedalizzazione per le malattie respiratori che, per il caso Bpco, si abbassano dal 2.5 per mille di 9 anni fa all'1,9 per mille del 2017, pari a 27mila ospedalizzazioni evitate nell'ultimo anno. Questo il "bicchiere mezzo pieno" delle performance sanitarie nazionali, fotografato dal Programma nazionale Esiti (Pne) presentato questa mattina a Roma presso l'Agenas, l'Agenzia per i servizi sanitari regionali che dal 2013 su mandato del ministero della Salute fornisce le valutazioni di efficacia, equità, sicurezza e appropriatezza delle cure prodotte nell'ambito del servizio sanitario italiano. Ma dai 175 indicatori analizzati nel Pne (70 di esito, 75 di volumi di attività e 30 di ospedalizzazione) esce anche il ritratto di un'Italia delle cure con gravi ritardi in termini di efficienza e di organizzazione. Se nel complesso migliorano le performance e diminuisce il tradizionale gradiente Nord-Sud, ambiti cruciali come l'oncologia e l'ortopedia mostrano una grave inappropriatezza

Organizzazione, serve un colpo di reni. «Questa edizione del Pne -afferma il direttore generale Agenas Francesco Bevere - fotografa un sistema sanitario che marcia senza sosta per raggiungere i migliori standard, con la maggior parte delle Regioni del Sud che nell’ultimo periodo hanno alzato il passo». Lo stesso Dg rileva però come permanga «l’ostacolo della disomogeneità tra le Regioni così come l’eterogeneità intra-regionale anche in Regioni storicamente virtuose». Migliorare è soprattutto una questione di organizzazione: i dati indicano chiaramente che dove si sono riorganizzati a rete i presidi ospedalieri e dell’offerta sanitaria, si registra un netto miglioramento degli esiti. Così è per la cura del carcinoma della mammella, che beneficia della soluzione Breast Unit: la proporzione di reparti con volumi di attività in linea con lo standard nazionale fissato dal Dm 70 (almeno 135 interventi l'anno per struttura complessa) sale al 32% dal 26% del 2016, coprendo il 72% degli interventi nazionali. Una performance ancora certo ben lontana dall'ottimo, visto che nel 2017 ancora 2 strutture sui tre non rispettano lo standard atteso. Eppure è questa, affermano da Agenas, la direttrice da seguire. Per l'oncologia, ancora in affanno, e per tutte le reti tempo-dipendenti. «Accelerare i tempi nell’implementazione delle reti tempo-dipendenti, elaborate dal Tavolo istituzionale coordinato da Agenas, significa ridurre in tutto il Paese la mortalità per patologie che non danno tempo né possibilità di scelta a pazienti che necessitano di cure immediate in strutture adeguatamente organizza - afferma ancora Bevere - Allo stesso modo, l’applicazione su tutto il territorio nazionale della rete oncologica approvata dalla Conferenza Stato-Regioni, è il presupposto per garantire ai pazienti con tumore di accedere alle migliori cure nel proprio territorio». Cure che significano anche attenzione alla qualità della vita dei pazienti. Sempre per il tumore al seno, il Pne rileva un aumento dal 35% del 2010 al 50% del 2017 degli interventi che introducono una protesi mammaria (espansore) contestualmente alla mastectomia.

Resta, anche se smussata, l'alta variabilità tra le Regioni italiane. Non solo. «A fare la differenza - spiega la coordinatrice del progetto, Maria Chiara Corti - è l'organizzazione che le singole strutture anche all'interno di un territorio regionale si danno. Chi sa meglio gestire il lavoro e impiegare i macchinari, ottiene netti miglioramenti». Tanto più in anni in cui il personale mostra numeri ridotti all'osso.

Volumi di prestazioni: non ci siamo. Si conferma la proporzione diretta tra volume degli interventi e risultati. E qui ci sono praterie di miglioramento. Basta tornare ai dati su tumori e chirurgia ortopedica. Nel 2017 - rileva il nuovo Pne - delle 358 strutture ospedaliere che eseguono 6.239 interventi chirurgici per tumore dello stomaco, solo 81 (il 23%) presentano un volume di attività ≥ 20 interventi annui, come raccomandato nel Dm 70. E la proporzione è «in lieve peggioramento rispetto all’anno precedente». Ancora, il nuovo indicatore sul tumore ovarico mostra che dei 415 ospedali che eseguono 3.892 interventi, 99 (il 24%) presentano un volume di attività non inferiore a 10 interventi annui, coprendo il 75% degli interventi complessivi su base nazionale. Una struttura ospedaliera del Lazio concentra quasi il 10% della casistica nazionale (295 interventi nel 2017). Poi: dei 139 ospedali che operano 11.468 interventi chirurgici per tumore del polmone, solo 52 (il 37%) presentano un volume di attività non inferiore a 70 interventi annui, senza variazioni rispetto al 2016. Le strutture con bassi volumi di attività effettuano complessivamente il 24% dell’attività chirurgica oncologica per il polmone. Dati drammatici, che incidono sulla qualità delle cure e sulla sopravvivenza dei pazienti.
Analogo discorso per le fratture: delle 740 strutture che nel 2017 hanno eseguito 80.254 protesi di ginocchio, solo 238 strutture (il 32%) presentano un volume di attività ≥ 100 interventi annui, coprendo il 76% delle artroplastiche totali, senza variazioni rispetto all’anno precedente. Le 110.700 protesi di anca sono state eseguite in 764 ospedali, e solo 403 strutture (il 53%) presentano un volume di attività ≥ 100 interventi annui, pur coprendo però l 84% delle artroplastiche totali. I 7.000 interventi di protesi di spalla, infine, vengono erogati in 592 ospedali; tra questi, solo 187 strutture (il 32%) presentano un volume di attività ≥ 15 interventi annui, coprendo però l’86% dell’offerta. I volumi di tutti gli interventi di artroprotesi - rilevano da Agenas - sono in aumento e il trend è concentrato nella popolazione ultra65enne.
Inevitabile, quando si guarda ai volumi, è guardare ai cesarei: rispetto al 2016 - rileva il Piano nazionale Esiti - non c’è stato alcun miglioramento nella proporzione di strutture con meno di 1000 parti in linea con lo standard (15%)del Dm 70; quanto alle maternità con volumi superiori a 1000 parti, quelle con proporzioni inferiori al 25% (standard Dm 70) erano il 58 per cento. L'eterogeneità tra Regioni - per esempio nella virtuosa Lombardia Lodi e Mantova sono in controtendenza - è ridimensionata solo in piccola parte dal miglioramento di alcune Regioni del centro-sud. La Campania, storica maglia nera dei cesarei, è in netta risalita: il ricorso al cesareo è passato dal 45 al 39% e il merito va in gran parte attribuito alle strutture pubbliche. Unica Regione in controtendenza, la Calabria: nel 2013 la Regione su era attestata al di sotto della media nazionale con un 22,2% di ricorso al parto operatorio, per poi ripiombare nel 2017 a quota 30 per cento.

Verso il Pne 2019. A sviluppare nuovi indicatori si pensa già. «Lo sviluppo di una serie di indicatori ospedalieri integrati con il flusso della farmaceutica, della salute mentale e delle cure domiciliari - afferma infine Maria Chiara Corti - ci consentirà di seguire il paziente lungo tutto il suo percorso di cura, valutando anche la qualità della vita post-ricovero. E ancora, i campi inseriti nelle nuove Sdo ci permetteranno di rendere sempre più precisi e dettagliati gli strumenti di misurazione, esplorando nuovi ambiti, come l'esecuzione di procedure tempo-dipendenti in ore e non in giorni, i volumi di attività dei singoli professionisti e le patologie croniche già presenti all’ingresso e non solo alla dimissione».


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