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Rapporto Istat/ Effetto Covid sui conti del Paese ma Ssn resiliente malgrado i tagli. Mortalità totale: +48,6% a marzo

di Barbara Gobbi

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Un Servizio sanitario resiliente rispetto alla pandemia, malgrado i tagli e il ridimensionamento delle risorse destinate alla spesa sanitaria pubblica tra 2010 e 2018. Questo è il Ssn che emerge dal Rapporto Istat 2020 sulla Situazione del Paese, presentato a Palazzo Montecitorio dal presidente Gian Carlo Blangiardo. Un report che dà conto di una sorta di dicotomia causata dall'emergenza Covid. Da un lato un quadro economico e sociale «eccezionalmente complesso e incerto», caratterizzato da un crollo congiunturale del Pil del 5,3% nel primo trimestre dell'anno e con una prospettiva - a fronte di un riequilibrio dei saldi di finanza pubblica proseguito nel 2019 (rapporto deficit/Pil all'1,6%) - di una contrazione del 7,7% dell'attività economica. Dall'altro, una forte coesione sociale come segno distintivo del Paese durante il lockdown. Con un'alta fiducia nelle istituzioni di riferimento durante la pandemia: tanto che in una scala da 0 a 10 i cittadini hanno assegnato 9 al personale sanitario e 8.7 alla Protezione civile. Non solo: l'Istat certifica come la stragrande maggioranza dei cittadini abbia seguito le regole fissate per contenere il virus: ci si è lavati le mani in media 11,6 volte al giorno, le si è disinfettate 5 volte, si è rispettato il distanziamento fisico nel 92,4% dei casi e si sono ridotte le visite a parenti e amici (80,9%). Mentre il 72% degli intervistati non era "uscito" il giorno prima che l'Istat lo interpellasse.
Per il 76,7%, la famiglia si è rivelata un rifugio - ma per oltre il 9%l'isolamento ha pesato per condizioni di disagio domestico - e malgrado la distanza fisica il tempo dedicato ai rapporti sociali è aumentato: il 62.9% ha "sentito" parenti e il 63,5% gli amici. Attività fisica e sportiva hanno riguardato, anche tra le pareti domestiche, il 22,7% delle persone.

Gli effetti sulla mortalità: +48,6% i decessi totali a marzo e 28.500 decessi certificati per Covid. Quasi 240mila contagi e i 35mila decessi sfiorati. Questo il bilancio a oggi della pandemia in Italia. E una delle conseguenze più drammatiche, ricordano dall'Istat, è l'incremento complessivo della mortalità: dal 20 febbraio al 30 aprile sono stati oltre 28.500 i decessi di persone positive al Covid-19: il 53% (15.114) delle morti è avvenuto entro il mese di marzo mentre il restante 47% ad aprile, con 13.447 decessi. Dati «ancora parziali», riferiti ai casi accertati dopo una diagnosi microbiologica di positività al virus. I decessi totali subiscono - rileva poi l'Istituto di statistica - un rapido e drammatico incremento nel mese di marzo (+48,6% rispetto alla media 2015-2019), arrivando a 80.623 (26.350 in più in valore assoluto); ad aprile i morti per il complesso delle cause sono 64.693, ancora superiori di un terzo alla media 2015-2019. L'incremento più marcato in Lombardia: 188% a marzo rispetto alla media 2015-2019, mentre a seguire ci sono Emilia-Romagna (+71%), Trentino Alto Adige (+69,5%) e Valle d'Aosta (+60.9%). Nella provincia di Bergamo le morti aumentano di quasi 6 volte (+571%); a Cremona e Lodi rispettivamente del 401% e del 377% per poi (quasi) triplicare a Brescia (+292%), Piacenza (+271%) e raddoppiare a Parma (+209%), Lecco (+184%), Pavia (+136%), Pesaro e Urbino (+125%) e Mantova (+123%).
L'eccesso di mortalità è concentrato tra gli uomini, i più colpiti dal virus, della fascia di età 70-79 e 80-89, per i quali i decessi cumulati sono a +52% rispetto alla media mentre per gli over 90 l'incremento è del 48%. Tra i 50-59 anni l'eccesso di mortalità maschile scende invece al 26%.
L'epidemia insomma ha colpito le fasce più fragili: non solo per età ma anche per istruzione: il rapporto standardizzato di mortalità (eccesso di morte dei meno istruiti rispetto ai più istruiti) è intorno a 1,3 per gli uomini e a 1,2 per le donne. L'Istat ha messo in luce «come un giusto sistema sociale non possa prescindere da un equo e appropriato sistema sanitario, declinato a partire dal territorio, a garanzia e tutela della vita dei cittadini e della loro salute». Lo ha affermato il presidente Blangiardo, commentando il rapporto annuale. «Il nostro - ha aggiunto - è tra i Paesi più evoluti del mondo in termini di longevità, ma questa conquista, come l'epidemia ha ben messo in evidenza, non è affatto irreversibile».

L'impatto sull'assistenza ospedaliera. A fronte di una diminuzione dei ricoveri per le malattie ischemiche del cuore e per quelle cerebrovascolari, il Report Istat certifica che «è rimasta invariata la capacità di trattamento tempestivo e appropriato di queste patologie una volta ospedalizzate. Mentre non avrebbero subito contraccolpi gli interventi urgenti in oncologia e ortopedia, pur in un quadro di drastica riduzione delle operazioni di chirurgia elettiva non urgenti. Il Ssn si è insomma rivelato resiliente a fronte di indicatori tutti con il segno meno dopo la cura da cavallo del periodo 2010-2018: spesa sanitaria pubblica aumentata solo dello 0,2% a fronte di una crescita economica dell'1,2%; riduzione degli investimenti nelle aziende sanitarie dai 2,4 miliardi del 2013 a 1,4 miliardi del 2018; calo complessivo del 4,9% del personale sanitario (-3,5% medici e -3% infermieri) con una riduzione del solo personale a tempo indeterminato del comparto sanità di 25.808 unità (-3,8%) per arrivare a 106mila medici (-2,3%) e 268mila infermieri (-1,6%). Tagli che hanno portato l'Italia a disporre, quando l'epidemia si è presentata: di 39 medici ogni 10mila residenti (la Germania ne ha 42,5) e di 58 infermieri ogni 10mila residenti (contro i 129 sempre della Germania). Analogo il calo dei medici sul territorio: rispetto al 2012 i medici di medicina generale sono diminuiti di 2.450 unità (oggi sono 43mila) e i pediatri di libera scelta di 157 (oggi sono 7.500). Ancora: all'affacciarsi della pandemia il sistema ospedaliero era decisamente "sfoltito", i posti letto nel 2018 sono 211mila e cioè 3,5 ogni mille abitanti mentre nell'Ue la media è di 5,0 e in Germania sale a 8.


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