Storia della Sap, la sindrome che esiste solo in Tribunale

di Patrizia Romito

Pubblichiamo per esteso il saggio della professoressa Patrizia Romito già anticipato in forma più sintetica sul numero 48/2012 della rivista.

Nell'ottobre di quest'anno, il caso del piccolo "Lorenzo", a Cittadella di Padova, ha suscitato l'attenzione dei media e l'angoscia di molti. Un breve video ce l'ha mostrato mentre veniva trascinato per i piedi fuori dalla sua scuola, da un gruppetto di adulti formato da poliziotti, dal perito del tribunale (psicologo o psichiatra) e dal padre, in ottemperanza a un ordine del tribunale per i minori. Da quanto si è desunto dai giornali, il giudice avrebbe ritenuto trattarsi di un caso di un caso di "Sindrome di Alienazione Parentale" o "Sap". La madre, separata dal marito da molti anni, avrebbe manipolato il bimbo per allontanarlo (alienarlo) dal padre, inducendo così in lui una sindrome psichiatrica, la Sap: come conseguenza, il bambino si era rifiutato ripetutamente di incontrare il padre. Per "curare" la sindrome e ristabilire i rapporti padre-figlio, il tribunale ha deciso che Lorenzo fosse rinchiuso in un'istituzione, dove ha la sera stessa ricevuto la visita del padre ma dove la madre che non ha neppure il diritto di entrare, non si sa per quanto tempo. Di fronte a questa vicenda così drammatica, sui media si è scatenato un dibattito in cui sono state dette e scritte molte inesattezze. La credenza nell'esistenza della Sap è diffusa, e su questa base vengono prese decisioni che possono determinare il futuro di molti bambini. Cerchiamo quindi di chiarire, sulla base dei dati disponibili, i termini della questione.

Cos'è la Sap. Secondo la "Sindrome di alienazione parentale" (che non è una vera sindrome, come vedremo poi, anche se ormai il termine è entrato nell'uso comune) o Sap, se un bambino, dopo la separazione o il divorzio dei genitori, rifiuta di stare con il genitore non affidatario (di solito il padre), dicendo che ne ha paura, che non sta bene con lui o, in alcuni casi, riportando abusi sessuali, non bisognerebbe mai credergli: il suo rifiuto, lungi dal basarsi su elementi razionali (e cioè sull'eventualità che le paure siano motivate dal comportamento paterno), sarebbe alimentato da un vero e proprio "lavaggio del cervello" materno. La madre, a sua volta, non agirebbe sulla base di preoccupazioni o segnali basati nella realtà, ma solo per vendicarsi del padre, per estorcergli denaro o per avere l'affidamento completo dei figli. Secondo il suo inventore, lo psichiatra statunitense Richard Gardner, la Sap sarebbe quindi una grave patologia psichiatrica, indotta dalla madre nel bambino per soddisfare i di lei bisogni (Gardner, 1991, 1992a e 1992b). Secondo Gardner, più la denuncia dell'abuso da parte della madre è decisa e insistente, maggiore è l'intensità della sindrome e più drastici, come vedremo, i rimedi proposti.

La Sap si basa su una premessa non dimostrata, e cioè che la resistenza del bambino o la denuncia dell'abuso siano solo dei pretesti per "alienare" (allontanare) il bambino dal padre: di conseguenza, la stessa segnalazione di un comportamento paterno inappropriato o addirittura abusante viene considerata con sospetto. Qui c'è però una trappola logica: la Sap si riscontra solo se l'abuso non c'è stato; ma come possiamo provare la presenza o l'assenza dell'abuso, se, invece di prendere sul serio segnali o rivelazioni, li consideriamo aprioristicamente falsi o li trattiamo come sintomi di una sindrome psichiatrica? In sintesi, se si accetta il modello della Sap, non è mai, per definizione, possibile, provare che, in quel caso, la Sap non c'entra e che gli abusi sono avvenuti. Si tratta di un ragionamento di tipo circolare, che crea una falla logica tale da invalidare la teoria dal punto di vista scientifico, e che può tradursi, concretamente, in un incubo per il bambino in questione. La giurista Carol Bruch (2001) sostiene che la Sap è il "sogno" di qualsiasi avvocato difensore: perché il fatto stesso di denunciare l'abuso paterno può essere ritorto contro la madre e rappresentare il sintomo di una "sindrome" che invalida la possibilità stessa che l'abuso sia avvenuto, così che la madre protettiva, da accusatrice diventa l'accusata.

Il ragionamento alla base della Sap viola inoltre un altro principio epistemologico e cioè l'assunzione di parsimonia, secondo cui, a parità di condizioni, tra due spiegazioni la migliore è la più semplice. Se un bambino rifiuta di stare con un genitore perché ne ha paura e se ne sente minacciato, sarebbe bene prestargli ascolto prima di elaborare una spiegazione opposta, secondo cui il bambino sarebbe stato indottrinato/alienato dal genitore con cui sta bene. Come ci ricorda il filosofo Rovatti in un articolo sul caso di Lorenzo rifiutare a priori e programmaticamente la spiegazione più semplice è indicativo di un atteggiamento culturale secondo cui la parola dei bambini non è credibile, soprattutto se tende ad accusare – esplicitamente o implicitamente – un genitore.

Le applicazioni giuridiche. Malgrado i suoi limiti, la Sap, o i concetti ad essa soggiacenti, sono spesso utilizzati, anche nei tribunali del nostro Paese, quando si discute dell'affidamento dei figli dopo la separazione/divorzio o nel contesto di denunce di abusi sessuali. In Senato giace addirittura una proposta di legge che introduce severe misure punitive per il genitore che si oppone alle visite dei figli con il coniuge separato, senza nemmeno menzionare la possibilità che le ragioni di questa opposizione risiedano nella presenza di violenze e maltrattamenti. Nella relazione introduttiva, i firmatari del DDL affermano, erroneamente, che «la letteratura scientifica ha ormai ampiamente documentato sia l'esistenza di questa specifica sindrome (la Sap) che il principale suo rimedio, che consiste nel togliere potere al genitore condizionante, negandogli l´esercizio della potestà», prevedendo con l'art. 9 che «Il comprovato condizionamento della volontà del minore, in particolare se mirato al rifiuto dell´altro genitore attivando la sindrome di alienazione genitoriale, costituisce inadempienza grave, che può comportare l'esclusione dall'affidamento». Per questi motivi, il Cedaw (Comitato per l'Eliminazione delle Discriminazioni contro le Donne, presso le Nazioni Unite) nelle sue osservazioni conclusive all'ultimo rapporto presentato dall'Italia, ha espresso preoccupazione perché nel nostro Paese «le denunce di abusi su bambini fatte nel contesto di conflitti per l'affido dopo la separazione verrebbero trattate con sospetto, basandosi sulla dubbia teoria della Sap» (Cedaw, 2011, p.12).

La Sap viene spesso citata nei tribunali come se fosse una diagnosi clinica scientificamente comprovata. In realtà, non ci sono tuttora dati scientifici attendibili che sostengano la sua esistenza: essa si basa solo su alcune osservazioni cliniche di Gardner e viene "diagnosticata" in base ai criteri formulati dallo stesso autore, mai verificati con studi controllati. Neppure la scala che Gardner aveva creato per "valutare" l'esistenza dell'abuso, la "Sexual Abuse Legitimacy Scale" rispettava gli standard scientifici necessari, e Gardner ha dovuto ritirarla dopo aver ricevuto durissime critiche (vedi Bruch, 2001). Le premesse su cui si basa la Sap, che le denunce di abusi sessuali siano molto frequenti nei conflitti post-separazione e che siano in maggioranza false, è contraddetta dai dati di ricerca: il più importante studio fatto su questo tema mostra che queste denunce sono rarissime (meno di 2% dei casi), e che, anche secondo valutazioni molto restrittive, almeno la metà sono fondate (Thoennes & Tjaden, 1990). Secondo un'altra ricerca, quel che succede nella realtà è addirittura il contrario di quanto affermato dalla Sap: gli autori di false denunce sono infatti soprattutto i padri non affidatari e non le madri o i bambini (Trocme e Bala, 2005; vedi Romito, 2013).

Al bando dal Dsm. Nonostante continui tentativi e pressioni, la Sap non è mai stata inserita nel DSM, il Manuale Statistico e Diagnostico dei disturbi mentali utilizzato a livello mondiale. Nel settembre di quest'anno, i giornali americani riportavano la decisione di non includere la Sap nella prossima versione del DSM-5, nonostante un'intensa campagna lobbystica da parte dei suoi sostenitori (The Washington Time, 21/9/2012). Fin dal 1996, nel "Rapporto sulla Violenza in Famiglia", l'American Psychological Association ha esortato gli psicologi a fare la massima attenzione ai casi di violenza e a non sottovalutare le dichiarazioni dei bambini: "Sebbene non ci siano dati che sostengano il fenomeno della cosiddetta Sindrome da alienazione parentale, in cui le madri vengono biasimate perché interferirebbero con l'attaccamento dei figli al padre, il termine viene tuttora usato da alcuni periti e dai tribunali per ignorare le paure dei bambini in situazioni ostili e di abuso psicologico" (APA, 1996, p. 40). Nei tribunali statunitensi la Sap è stata messa fortemente in discussione, proprio perché non presenta i requisiti scientifici necessari. In effetti, gli psicologi forensi dovrebbero impiegare teorie e metodologie scientificamente testate nel formulare una perizia: ogni teoria dovrebbe basarsi su metodi verificati, dovrebbe essere sottoposta alla comunità scientifica, approvata e pubblicata; il rischio di errore dovrebbe essere reso noto. La SAP non risponde a nessuno di questi requisiti (Rotger e Barrett, 1996). Nel 2010, l'Associazione Spagnola di Neuropsichiatria ha definito la SAP un "castello in aria", opponendosi con fermezza al suo uso in ambito clinico e giudiziario.

Chi è Gardner. Una comprensione più approfondita del pensiero di Gardner e dei danni che l'uso della Sap da parte di psicologi o magistrati può provocare richiede una disamina delle indicazioni terapeutiche che Gardner propone per i genitori alienanti (le madri) e i loro figli indottrinati. Egli parla di tre livelli di gravità della Sap: lieve, moderato e grave. Il trattamento sarebbe applicabile nei primi due livelli, mentre nel terzo sarebbe indispensabile trasferire la custodia del bambino al genitore alienato, ossia al padre denunciato per abuso (Gardner, 1998). Si tratta delle indicazioni contenute nella proposta di legge italiana, che sono già state seguite in altri paesi (Meier, 2011). La terapia proposta è di tipo familiare, in contesto coatto. Le proposte di Gardner travalicano i limiti che l'etica professionale impone ai terapeuti (Gardner, 1999b). Secondo lui le madri alienanti tenderebbero a scegliere dei/delle terapeuti/e ostili agli uomini e pronti/e a credere alle accuse di violenza, quindi il giudice dovrebbe impedire che i bambini siano visti dal/la professionista scelto/a dalla madre. Il terapeuta dovrebbe adottare un approccio autoritario, sostenuto in ciò dal giudice , a sua volta pronto a punire con multe, limitazioni economiche, modifiche nelle disposizioni relative all'affido o addirittura la prigione, qualsiasi esitazione o interferenza della madre rispetto alle visite dei figli al padre. Sarebbe inoltre sospesa la riservatezza e il terapeuta potrebbe riferire qualsiasi informazione ritenuta opportuna al giudice o al padre (Gardner, 1998; 1999b). Per quanto riguarda il rapporto con il bambino, il terapeuta dovrebbe ignorare le sue lamentele: "Deve avere la pelle dura ed essere in grado di tollerare le grida e le dichiarazioni sul pericolo di maltrattamento" (Gardner, 1999a; p. 201) e minacciarlo dicendogli che la madre sarà rinchiusa in prigione finché egli non si deciderà a frequentare il padre.

Gardner e i bambini. All'analisi della Sap manca ancora un tassello importante, e cioè il fatto che il suo inventore, Richard Gardner, tende a minimizzare i danni derivanti da un abuso sessuale o addirittura a sottolineare gli aspetti positivi che un tale evento comporta per il bambino. In generale, secondo Gardner, tutte le parafilie umane - pedofilia, sadismo, zoofilia…. - «servono gli obiettivi della sopravvivenza della specie» in quanto «aumentano il livello generale di eccitazione sessuale nella società» (Gardner, 1992b, p. 20) . Più in particolare, egli ritiene che l'abuso non abbia conseguenze negative sulle piccole vittime: i principali danni deriverebbero non dall'abuso in sé, ma dalle reazioni esagerate innescate nella società una volta scoperto (Gardner, 1992b), una tesi sostenuta anche dalle associazioni filo-pedofile (vedi Romito, 2005). Particolarmente pericolose sarebbero le reazioni "isteriche" della madre: «Se la madre ha reagito all'abuso con isteria (…) allora il terapeuta farebbe bene a cercare di calmarla (…) la sua isteria contribuirà a far sentire al bambino che è stato commesso un crimine ignobile e quindi diminuirà la probabilità di un qualsiasi riavvicinamento al padre. Bisogna fare di tutto per aiutarla a considerare il "crimine" nella giusta prospettiva. Deve essere aiutata a comprendere che storicamente nella maggior parte delle società questi comportamenti erano diffusi ovunque e tuttora lo sono» (1992b, pp. 584-585). Secondo Gardner (1992b, 1998 e 1999a), i principali interventi terapeutici sarebbero: tenere a bada l'isteria della madre e la sua eccessiva pudicizia che l'ha resa probabilmente una partner sessuale poco soddisfacente (e le consiglia l'uso del vibratore per superare le inibizioni); rassicurare il padre abusante e il bambino abusato sulla normalità dei rapporti sessuali tra adulti e bambini in altre culture e contesti storici; aiutare il bambino precocemente sessualizzato a gestire l'erotizzazione eccessiva incoraggiandolo alla masturbazione.

Gardner e e le donne. Altrettanto aberranti sono le convinzioni di Gardner a proposito delle donne. Egli le considera potenziali vittime masochiste di stupro, che provano piacere nell'essere picchiate in quanto ciò rappresenta «il prezzo da pagare per guadagnare la gratificazione di ricevere lo sperma» (Gardner, 1992b, p. 26). Riguardo alle ragioni che indurrebbero una donna separata a montare una falsa accusa di abusi sessuali contro l'ex marito, inoltre, sostiene che «l'inferno non conosce furia uguale a quella di una donna che è stata disprezzata» (hell hath no fury like a woman scorned", Gardner, 1992, pp. 218-19); inoltre, secondo lui, le madri trarrebbero una «gratificazione vicaria» nell'immaginare che il loro bambino fa sesso con il padre (Gardner, 1991, p. 25; 1992a, p 126).

La Sap ha ricevuto critiche durissime dagli esperti di livello scientifico internazionale (Myers, 1997) e per questo motivo negli Stati Uniti viene difficilmente accettata nei tribunali (Meier, 2011). Una sua "evoluzione" è rappresentata dal concetto di "Alienazione parentale" (Ap), che senza implicare l'esistenza di una sindrome psichiatrica, ha l'obiettivo di descrivere una situazione più o meno frequente nel caso di separazioni o divorzi molto "conflittuali" (Johnston & Kelly, 2004). Nell'Ap, si riconosce che i motivi che possono rendere un bambino "alienato" sono numerosi: tra l'altro, molti dei casi descritti dagli autori riguardano padri che sono stati dei mariti violenti e che continuano, anche dopo la separazione, a denigrare la madre di fronte ai figli e a cercare di allontanarli da lei. A differenza della Sap, in questo modello si evitano i "rimedi" draconiani preconizzati da Gardner, come il fatto di affidare la custodia del bambino proprio al genitore rifiutato, una misura definita come "una licenza per la tirannide" (Johnston & Kelly, 2004, p. 85), cercando invece di promuovere una buona relazione con entrambi i genitori. Anche nell'Ap permane tuttavia un problema centrale, e cioè la scarsa considerazione che le ragioni del rifiuto del bambino e dell'ostilità o della paura materna siano basate nella realtà, e cioè nel comportamento abusivo dell'altro genitore.

Non va dimenticato infatti che il termine "separazioni conflittuali" rappresenta spesso un eufemismo per indicare separazioni che avvengono in un contesto di violenza domestica, anche se non sempre questa violenza è visibile all'esterno. Fin dal 1996, l'American Psychological Association ammoniva gli psicologi che «i tribunali frequentemente minimizzano il danno per i bambini di assistere alla violenza tra i loro genitori e a volte sono riluttanti a credere alle madri. Se la corte, valutando l'affidamento, ignora la storia di violenza come contesto al comportamento della madre, (questa) le apparirà ostile, non cooperante o mentalmente instabile» (APA, 1996, p. 100). Un decennio più tardi, un simile ammonimento è stato formulato dall'inviato speciale delle Nazioni Unite, Miguel Petit, nel suo rapporto su casi di possibili abuso sessuale su bambini, scarsamente indagati dalla magistratura in Francia (Petit, 2004). In effetti, se c'è stata violenza domestica, che il bambino sia stato coinvolto direttamente o indirettamente, l'analisi in termini di "alienazione" – quindi anche di Ap - è particolarmente inappropriata, perché il rifiuto di incontrare il padre può essere meglio spiegato in termini di paura o di iper-vigilanza.

La violenza sulle donne. Ricordiamo che secondo la ricerca dell'Istat (2008), in Italia il 14% delle donne è stata vittima di violenza fisica o sessuale da parte di un partner e il 62% dei loro figli ha assistito ad uno o più episodi di violenza. Queste violenze possono continuare o addirittura aggravarsi dopo la separazione. Secondo i dati della ricerca nazionale francese (Enveff, 2003) tra le donne che nell'ultimo anno hanno avuto qualche rapporto con l'ex partner, il 16,7% subisce violenze da lui; ma tra quelle che hanno figli, ben il 90% subisce violenze. I dati della ricerca nazionale in Canda vanno nello stesso senso: tra le donne che hanno avuto qualche rapporto con l'ex partner, il 39% subisce da lui violenze fisiche/sessuali gravi e ripetute e tutte subiscono violenze psicologiche; se ci sono figli, assistono alle violenze in 2 casi su 3 (Hotton, 2001). Non c'è da stupirsi se il rapporto del Ministero della Giustizia Canadese (Jaffe et al, 2005, p. 28), conclude che, se il rifiuto del bambino è legato ai comportamenti violenti del genitore non affidatario e ai suoi continui tentativi di controllare, minacciare o tormentare il bambino e il genitore affidatario, è ben più importare garantire loro sicurezza che trattare il comportamento di rifiuto (l'"alienazione").

La pacatezza in Tribunale. Nessuno nega che ci siano situazioni di separazioni o divorzi difficili, in cui i genitori parlano male l'uno dell'altro, o uno dei due cerca, più o meno consapevolmente, di usare i figli come alleati nei confronti dell'altro genitore. Sono situazioni che vanno affrontate, senza incollare loro addosso un'etichetta psichiatrica fasulla e per di più basata sugli inquietanti pregiudizi e convinzioni di Richard Gardner. Joan Meier, professore di Clinical Law alla George Washington University, ha proposto un approccio razionale a queste situazioni che implica una serie di passi: valutare accuratamente la possibilità che abusi e maltrattamenti (inclusa la violenza assistita) siano avvenuti; richiedere che chi compie le perizie abbia una competenza approfondita sia sugli abusi ai bambini sia sulla violenza domestica (competenze di mediazione familiare o di altri interventi in caso di divorzi difficili non sono sufficienti); se ci sono evidenze di abusi o maltrattamenti, non accordare nessun considerazione alla denuncia di "alienazione"; segnalazioni o denunce di abusi sul bambino (anche se non si rivelano fondate) o richieste di misure protettive da parte del "genitore preferito" non vanno considerate come un "sintomo" di alienazione.

La denuncia di alienazione andrebbe valutata solo se :la possibilità dell'abuso o di maltrattamenti è stata esclusa, dopo esser stata adeguatamente indagata; il bambino manifesta ostilità senza ragione nei confronti del genitore e rifiuta di vederlo: si riscontra un comportamento attivo di tipo "alienante" da parte del genitore "preferito": è necessario che si tratti di un comportamento deliberato e riscontrabile oggettivamente. Se l'"alienazione" fosse confermata, focalizzare l'intervento sulla "guarigione" del rapporto con il genitore.
Soprattutto in un contesto così delicato e conflittuale come quello che abbiamo descritto, i professionisti – in questo caso gli psicologi forensi incaricati di formulare una perizia - dovrebbero impiegare teorie e metodologie scientificamente testate: ogni teoria impiegata dovrebbe basarsi su metodi verificati, dovrebbe essere sottoposta alla comunità scientifica, approvata e pubblicata; il rischio di errore dovrebbe essere reso noto. E' chiaro che né la Sap né l'Ap rispondono a questi requisiti.

Uno sguardo all'Italia. Nel nostro Paese, l'Ordine degli psicologi si è espresso con chiarezza sulla necessità che il lavoro dei professionisti si basi su evidenze scientifiche. Il Codice deontologico degli psicologi italiani (art.5) stabilisce che lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione professionale e di aggiornamento e impiegare metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti ed i riferimenti scientifici. Questa necessità è ribadita dal Codice etico della ricerca e dell'insegnamento in psicologia (Principi generali: Competenza) quando si afferma che chi svolge ricerca in psicologia deve usare solo quei metodi e tecniche per le quali abbia una adeguata preparazione scientifica e una corrispondente esperienza pratica e deve aggiornarsi sulle teorie e le tecniche inerenti al proprio ambito di ricerca (AIP, 2012). Questi principi sono fermamente ribaditi anche nella Carta di Noto in cui si raccomanda (art.1) che nei casi di maltrattamento o abuso sessuale su minori la perizia venga affidata a professionisti con una formazione specifica in materia; si sottolinea inoltre la necessità di utilizzare metodi e criteri riconosciuti dalla comunità scientifica e di esplicitare i modelli teorici utilizzati. Anche se mancano ricerche attendibili svolte in Italia sull'inconsistenza e le storture di Sap e Ap e che propongano modelli alternativi basati su evidenze scientifiche, la letteratura internazionale è ormai ricchissima di indicazioni in merito, che i professionisti sono tenuti a conoscere e di cui devono tenere conto.

Patrizia Romito
Docente di Psicologia sociale all'Università di Trieste