Salute mentale: una "legge 181" per realizzare le incompiute della 180. Dal movimento "Le parole ritrovate" una proposta di legge di iniziativa popolare

di Manuela Perrone

«Utenti familiari esperti» al lavoro nei servizi di salute mentale. Risposte garantite in giornata alle crisi psicotiche. Una "psicocard" per fornire agli utenti adeguata conoscenza dei propri referenti e delle informazioni essenziali sul funzionamento del Dipartimento e delle Consulte. Abitare, lavoro e socialità inseriti a pieno titolo tra gli impegni dei servizi. E' stata presentata oggi in Cassazione dal movimento "Le parole ritrovate" la proposta di legge 181 di iniziativa popolare (anticipata sul Sole-24 Ore Sanità n. 37/2012 ). Diciannove articoli e un unico filo conduttore: colmare i vuoti lasciati dalla legge 180 per assicurare in tutta Italia il cambiamento rivoluzionario voluto da Basaglia per la salute mentale. Da giugno partirà la raccolta delle firme: ne serviranno almeno 50mila perché il testo possa essere discusso in Parlamento, a meno che non venga "adottato" prima da qualche forza politica.

«La legge 180 ha scritto un pezzo della storia d'Italia», spiega lo psichiatra Renzo De Stefani, direttore del servizio di salute mentale di Trento e tra i fondatori del movimento. «Sancendo la chiusura dei manicomi ha migliorato il livello di civiltà di questo Paese. Purtroppo, però, a distanza di 35 anni esatti, la rivoluzione disegnata da Basaglia risulta incompiuta. Crediamo quindi, che nel rispetto del dettato costituzionale, si debbano approvare nuovi princìpi di fondo in grado di portare a termine il processo innescato da Basaglia e garantire cure dignitose a tutte le persone che soffrono di disagio psichico».

Cinquecentomila gli italiani con disturbi importanti, due milioni i familiari che li accompagnano. «Circa tre milioni di persone - continua De Stefani - tutti i giorni devono confrontarsi con il dramma della malattia mentale grave. A loro abbiamo pensato, capitalizzando 15 anni di esperienza del "fareassieme", che è la filosofia del nostro movimento».

Cardine della proposta di legge è l'idea che le famiglie e gli stessi utenti dei servizi di salute mentale siano risorse da "reinvestire". In loro - recita l'articolo 2 - i Dipartimenti e le Consulte di salute mentale devono radicare «fiducia nelle relazioni con gli operatori e nelle prestazioni offerte e speranza nel proprio percorso di cura». E fiducia e speranza devono essere misurate almeno una volta l'anno: i relativi tassi «contribuiscono a determinare la parte variabile del salario degli operatori».

La proposta prevede lo sbarco in tutti i servizi degli "Ufe", gli utenti familiari esperti coinvolti ormai da anni nel servizio di Trento e in molti altri sparsi sul territorio nazionale. Remunerati e reclutati in numero non inferiore a 1 (a tempo pieno) ogni 20mila residenti, gli Ufe dovrebbero mettere il loro "sapere esperienziale" a disposizione dei Dsm e delle persone in carico. «Sembra la scoperta dell'acqua calda, e invece dove è stata sperimentata ha funzionato moltissimo», dice lo psichiatra. «Gli Ufe sono in grado come nessun altro di garantire un'accoglienza calda, ricca e sorridente. La loro presenza migliora il clima generale e l'adesione ai trattamenti».

«Possiamo mettere al servizio degli altri le nostre esperienze, facendo del bene a loro e a noi stessi», dice Maurizio Capitanio, da quattro anni Ufe a Trento dopo essere stato utente del servizio. «Sono nell'équipe crisi e lavoro 130 ore al mese: partecipo alle riunioni, discuto i casi, cerco di portare la fiducia e la speranza. Le persone vedono in me qualcuno che ha passato un momento negativo, come sta capitando a loro».

Conferma Giovanni Fiori, familiare e anima romana del movimento. «I gruppi di automutuoaiuto degli utenti e dei familiari sono i luoghi in cui riesci a esprimere le tue difficoltà. L'aggregazione rimanda al concetto di comunità e ridà dignità al ruolo degli utenti dei servizi e delle famiglie: diventiamo soggetti e non più oggetti della cura».

Elena Van-Westerhout, anche lei tra le fondatrici del movimento "Le parole ritrovate", sintetizza così: «Operatori, cittadini attivi, utenti e familiari si organizzano per portare avanti un lavoro di comunità che mette al centro la competenza esperienziale dell'essere umano. La competenza nasce dal dolore e diventa di grande aiuto per chi vive quello stesso dolore».

Logico domandarsi se la legge 181 regga la sfida della sostenibilità, alla luce della scure che non ha risparmiato neppure i servizi di salute mentale. All'articolo 14, dedicato al finanziamento, la proposta prevede un tetto del 50% (calcolato sul bilancio del Dipartimento) alle spese per i ricoveri ospedalieri e le attività residenziali ad alta protezione. Un tetto che oggi non è rispettato in nessuna Regione d'Italia. «Non è concepibile - dice De Stefani - che si spenda più della metà del budget per la residenzialità. Non servono risorse aggiuntive: bisogna allocare meglio le risorse».