Perché il medico non è dirigente

di Stefano Simonetti

Un medico cinquantenne con venti anni di servizio e incarico professionale di alta specializzazione - quindi certamente non un neoassunto - è definito dalla legge e dai contratti collettivi vigenti come "dirigente". Però deve rispettare un orario di 38 ore settimanali; se viene chiamato in servizio dalla pronta disponibilità percepisce lo straordinario; dovrebbe lavorare complessivamente non più di 48 ore settimanali; può passare part time e fruire di permessi retribuiti; può prendere i permessi della legge n. 104, se spettanti; può essergli irrogato un rimprovero scritto; se va in ferie senza previa autorizzazione rischia il licenziamento ma, in tal caso, gode delle stesse garanzie di un Oss (anzi di più, perché per lui c'è anche il parere del Comitato dei Garanti); può fare il sindaco nella città dove ha sede l'ospedale dove lavora; la sua retribuzione non è oggetto di pubblicazione sul sito aziendale; e, ovviamente, non ha alcuna responsabilità direzionale o gestionale e non gli sono affidate risorse di cui deve rispondere.
Cosa rimane delle caratteristiche tipiche e peculiari di un dirigente? È forse giunto il momento di ripensare alcune scelte fatte venti anni fa.

Questo in sintesi il senso dell'intervento di Stefano Simonetti (già dirigente Aran e direttore amministrativo di numerose Asl e ospedali) in cui si sottolineano le ragione che rendono profondamente diversa l'attività del medico dipendente da quella dei dirigenti della Pa.

Lo spunto nasce dal fatto che negli ultimi mesi abbiamo assistito ad alcuni eventi che stimolano una riflessione sul ruolo dirigenziale dei medici. Una norma contenuta nel recente decreto legislativo 33/2013 sulla trasparenza degli stipendi dei dirigenti, la nota di richiamo all'Italia da parte della Commissione europea in tema di orari e riposi dei medici e l'interpretazione della Civit sulla nuova normativa dettata dal Dlgs 39/2013 in tema di incompatibilità.

Dobbiamo però fare un passo indietro perché la questione della "specificità" della dirigenza dei medici è annosa. I medici, ospedalieri e non, in tutta la loro storia non avevano mai posseduto formalmente la qualifica di dirigente. Solo a cavallo del 1992, per opera delle due contestuali riforme discendenti dalla legge Amato (legge 421/1992), sono nate le aziende sanitarie dalle ceneri delle vecchie Usl e il personale dipendente è stato contrattualizzato e ricondotto sotto la fonte normativa del codice civile.

Conseguenza quasi scontata nel nuovo contesto aziendale-civilistico - all'epoca pienamente condivisa dai sindacati, o quantomeno dalla maggior parte di essi - fu l'acquisizione del profilo dirigenziale ex articolo 2095 del Cc, con tutto quello che tale circostanza comportava.

I primi contratti collettivi alla fine degli anni Novanta hanno fatto la scelta di una dirigenza compatta e indistinta ma, in realtà, hanno mitigato parecchio il profilo dirigenziale tanto che, come è noto a tutti, i dirigenti medici hanno sempre avuto un orario di lavoro contrattualmente definito e il pagamento del lavoro straordinario prestato nelle condizioni stabilite dal contratto.

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