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«Noi, fertili e discriminati»

«Avrei dovuto essere sterile per poter accedere alla diagnosi preimpianto e alla fecondazione assistita. Invece sono portatrice di una malattia genetica molto rara: la legge italiana non me lo permette. Sono discriminata due volte». A parlare è V., una 28enne che da cinque anni combatte con suo marito la battaglia per avere un figlio. «Ho avuto quattro interruzioni di gravidanza», racconta. «Tre spontanee e una volontaria a cinque mesi inoltrati: il feto era malato della malattia di cui sono portatrice, condannato a una vita non autosufficiente come altre persone della mia famiglia. A livello psicologico è stato difficilissimo».

Dopo quell'esperienza, con il marito decide di affidarsi alla fecondazione assistita. Ma scopre quel divieto che non esita a definire «assurdo»: l'impossibilità di effettuare la diagnosi preimpianto e la fecondazione nelle strutture pubbliche perché non è sterile o infertile.
I centri privati sono inaccessibili: «Ci hanno chiesto dai 6mila ai 9mila euro, con l'incertezza della riuscita del trattamento». E allora si rivolge all'ospedale Sant'Anna di Roma, una delle strutture pubbliche d'eccellenza della Capitale. «Hanno rifiutato la nostra richiesta, perché - visto che la legge la vieta - non sono attrezzati per fare la diagnosi preimpianto. Allora con l'associazione Coscioni abbiamo deciso di chiedere al giudice un provvedimento d'urgenza».

V. ora aspetta giustizia: dal tribunale e dalla Consulta, che dovrà pronunciarsi anche su questo aspetto. «La rabbia è il sentimento preponderante. È frustrante vedere che ci sono cittadini di serie A e di serie B. Secondo i cattolici i figli sono di Dio, ma come fai a metterli al mondo se non hanno un'aspettativa di vita? La legge 40 ha fatto entrare la religione nel privato mio e di tante altre persone: è una legge assurda, che si commenta da sola».