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Legge 40: dieci anni senza tregua

di Barbara Gobbi e Manuela Perrone *

Ha soltanto dieci anni ma ne ha viste di tutti i colori. Sin dalla nascita la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, approvata il 19 febbraio del 2004, ha infiammato le aule dei tribunali di tutta Italia. E non solo. Per ben quattro volte è finita davanti alla Corte costituzionale, che l'8 aprile dovrà esprimersi sugli ultimi divieti ancora in piedi: all'eterologa, alla revoca del consenso e all'utilizzo degli embrioni a fini di ricerca. Sull'accesso alle tecniche per le coppie non sterili (e dunque alla diagnosi preimpianto per i portatori di malattie genetiche), oggi vietato, l'udienza deve essere ancora fissata.

Nel frattempo c'è la vita quotidiana delle tante coppie che cercano di avere un figlio. E una attenta mappatura dell'offerta italiana che il Registro Pma dell'Istituto superiore di sanità, istituito proprio dalla legge, porta avanti dal 2005. Che cosa è avvenuto nell'ultimo decennio? «Intanto - spiega la ginecologa Giulia Scaravelli, direttrice del Registro - possiamo dire che il panorama dei centri è rimasto stabile intorno ai 350, di cui 200 effettuano tecniche di secondo e di terzo livello».

Secondo l'ultima aggiornatissima rilevazione, i centri attivi sono 358, ancora mal distribuiti: la Lombardia ne conta 59, il Molise nessuno, il Lazio 48, la Sardegna tre. La suddivisione tra pubblico e privato fa riflettere: al Sud e nelle Isole i centri privati puri di secondo e di terzo livello sono il 47,7% del totale, mentre al Nord-Ovest la percentuale scende all'8,4 per cento. Rispetto allo scorso anno si registrano 9 centri privati in più (8 soltanto in Sicilia) e 8 strutture pubbliche e convenzionate in meno. È chiaro che a variare, insieme alla natura del centro, sono le possibilità di accesso delle coppie. Chi meno può spendere, ha meno chance.

Sempre che non si decida di partire, magari verso quelle Regioni in cui non solo le tecniche sono rimborsate, ma il numero di cicli è elevato: in Lombardia, ad esempio, dove nel 2012 sono stati effettuati 1.594 cicli per milione di donne residenti tra i 15 e i 45 anni. O in Toscana, dove i cicli sono stati 1.924. Dati che superano abbondantemente il target di 1.500 cicli cui l'Italia dovrebbe tendere. «Le coppie che si spostano da una Regione all'altra sono il 26%», precisa Scaravelli. «Come per altre procedure contano rimborsabilità ed eccellenza. Il 65,5% dei cicli è coperto dal Ssn, contro un 35% eseguito nel privato. Emblematico il caso del Lazio, dove i cicli sono sì 1.457 per milione di residenti, ma l'88% nel privato. Nulla è rimborsato in Sicilia, Calabria e Puglia».

Regione che vai, servizio che trovi (o non trovi). Una disomogeneità che la legge non è riuscita a curare. Eppure i risultati complessivi non sono negativi: sono cresciuti le coppie trattate, i cicli e le gravidanze ottenute. Per la prima volta, invece, nel 2011 è diminuito il numero dei bambini nati vivi (11.933 rispetto ai 12.506 del 2010). «Ma questo calo ha tante spiegazioni», avverte Scaravelli. «A cominciare dagli effetti della sentenza n. 151/2009 della Consulta: caduto il vincolo del numero massimo di tre embrioni da trasferire in un unico e contemporaneo impianto, sono diminuiti molto i parti trigemini, che mettevano a repentaglio la salute della madre. Inoltre a spiegare il dato contribuiscono altri due fattori: l'età media delle mamme italiane che accedono alla Pma, arrivata a 36,5 anni (la più alta d'Europa), e la perdita di informazioni al follow up (giunta al 12,7% nel 2011)».

I risultati dei centri italiani sono comunque paragonabili a quelli del resto d'Europa: in 8 anni, 493.086 coppie trattate, 655.075 cicli iniziati e 79.028 bambini nati vivi. Fatta eccezione per l'eterologa, assicura l'esperta, quello che si cerca all'estero potrebbe essere ottenuto in Italia. «Dovremmo dare più risalto ai nostri centri», dice Scaravelli. «Qui le tecniche vengono applicate in maniera corretta, mentre alcuni Paesi sono spregiudicati: non a caso le complicanze per iperstimolazione ovarica rappresentano in Italia appena lo 0,34% dei cicli iniziati da tecniche a fresco, un dato sensibilmente inferiore alla media europea».

Il bilancio è insomma accettabile. Anche se la ginecologa precisa: «C'era bisogno di una legge che normasse le attività dei centri e assegnasse alle Regioni la responsabilità delle procedure, ma non che entrasse così nel merito. La Corte costituzionale ha riequilibrato, chiarendo che il medico deve decidere in scienza e coscienza». Un vantaggio indiretto le restrizioni lo hanno ottenuto: l'Italia è diventata leader nel settore della crioconservazione degli ovociti. Ma ancora non ha sciolto il nodo del futuro degli embrioni congelati e non utilizzati, che aumentano di anno in anno. E soprattutto ancora non sa dare risposte appropriate a tutte le coppie che cercano un figlio.

* Dal Sole 24 Ore Sanità n. 6/2014

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