Dibattiti-e-Idee

«Cattiva è la ricerca che dimentica le differenze»

di Walter Malorni (Direttore Reparto Malattie degenerative, invecchiamento e medicina di Genere, Istituto superiore di Sanità)

La donna, l'uomo e la medicina. Otto marzo: giornata dedicata alla donna. Ma a cosa può servire oggi questa giornata? Forse soprattutto a fermarsi a riflettere, a prendere coscienza di quello che è stato fatto e quello che si può ancora fare nel sociale e nel privato per dare alla donna il diritto all'uguaglianza. Diritto della donna anche inteso come diritto a una attenzione medica mirata, alla consapevolezza che l'organismo femminile è diverso da quello maschile e necessita di un diverso approccio diagnostico e terapeutico.

In generale, il mio ambito lavorativo, la ricerca scientifica in biomedicina, non prevede attenzioni particolari e non consente disattenzioni mirate. Le donne e gli uomini sono soggetti con pari diritti. Nessuna disparità di trattamento. Anzi, per anni, per la ricerca biomedica, l'assunto è stato che donne e uomini sono talmente uguali che la ricerca non deve tener conto del sesso. E questo ha portato, paradossalmente, a non considerare le differenze di genere, a mettere al centro delle ricerche, farmacologiche per esempio, l'uomo, il maschio della specie.

Per fortuna, la ricerca scientifica è un pianeta culturale particolare che stimola continuamente la riflessione, l'approfondimento e la creatività. O almeno dovrebbe. E non c'è spazio per derive di incoscienza. Non dovrebbe. E infatti, negli ultimi anni, qualcosa è cambiato, o sta cambiando nella coscienza del mondo biomedico.

Personalmente, sono da anni impegnato nella ricerca sulla salute di genere. Nella ricerca cioè delle differenze tra uomini e donne in medicina. Delle loro specifiche necessità in termini di appropriatezza della cura. Le donne sono ancora incluse in maniera insufficiente nelle sperimentazioni cliniche, e questo costituisce un grande ostacolo nella ricerca dei farmaci "intelligenti". La medicina di genere è un approccio innovativo che tende infatti a organizzare la biomedicina e, in ultima analisi, gli interventi terapeutici, tenendo conto delle differenze tra uomo e donna per quanto riguarda i sintomi, la suscettibilità ai farmaci, lo studio stesso della malattia (intesa come "fatto personale"), cioè le cause, il decorso, la prognosi.

Così la medicina di genere, è sì salute della donna, ma anche dell'uomo. Anzi, anche del bambino e della bambina. La differenza di genere inizia nella culla. E va affrontata da lì. Va capita e "sfruttata" per arrivare a essere una medicina miratamente egualitaria. E questo trovo sia un elemento culturale ancora insuperato, ancora solo un obbiettivo, persino nel nostro Paese. Forse la vecchia sindrome cosiddetta "del bikini" (e già il termine mi fa inorridire) è stata recentemente superata (almeno in ambito biomedico). L'approccio cioè che studia le differenze uomo-donna solo per ciò che riguarda gli organi riproduttivi, è stata finalmente superata. Le differenze di genere sono infatti "spalmate" in moltissime patologie: infettive, neurodegenerative, cardiovascolari, tumorali, autoimmuni, metaboliche, e necessitano di una ricerca ad hoc che non si focalizzi solo su soggetti maschili.

Tutto parte, a mio modo di vedere, dalla ricerca preclinica (ad esempio su cellule o su animali) che oggi non tiene conto della disparità di genere. E tutta la filiera ne risente. La ricerca scientifica deve affrontare il problema della disparità con forze (ricercatrici e ricercatori) e risorse. Il Reparto che dirigo, composto quasi solo da donne, è sostanzialmente un'isola di attenzione, di stimolo scientifico e più in generale, culturale che vuole tentare di incidere, e lo sta facendo relativamente da poco, sulle Istituzioni sia politiche che di ricerca. Recentemente, sia istituzioni internazionali (Onu, Who) che Nazionali (Agenzia italiana del farmaco), hanno infatti sottolineato l'importanza dell'argomento e hanno sollecitato i governi ad un maggior interesse in questo campo. Le numerose interrogazioni parlamentari di tutte le parti politiche, gli articoli forti su riviste scientifiche importanti ("Put the gender in agenda", Nature) fanno capire che la sensibilità alla questione "salute della donna" sta cambiando.

Certo questo riguarda una parte del mondo. Solo una parte. Ma la mia testimonianza in questo scenario vuole essere ottimista. Rimane necessario cercare di fare in modo che i tempi cambino anche nell'approccio della medicina alla salute delle persone. Per una ricerca medica attenta e cosciente che costruisca nel tempo, sulla base delle conoscenze scientifiche acquisite nelle varie aree della medicina, una prospettiva di genere. Una nuova frontiera della ricerca mirata alla appropriatezza della cura.