Dibattiti-e-Idee

«Donne medico, il precariato pesa due volte»

di Maria Elisa Di Cicco (Specializzanda in pediatria)

Quote rosa e gender gap: tematiche di attualità, ma delle quali sarebbe bello un giorno poter smettere di parlare perché superate. L'enorme divario tra uomini e donne nel mondo del lavoro è ancora lungi dall'essere colmato, soprattutto nel nostro Paese, dove il tema è reso ancora più complesso da fattori culturali e dove, ancora oggi, le donne riescono difficilmente a raggiungere i vertici delle realtà produttive e decisionali e a ottenere una completa parità nel trattamento sociale e professionale. La condizione della donna, come è noto, è particolarmente cristallizzata in ambiti poco inclini al cambiamento, quali quelli della medicina e della sanità.

Sono donna e sono medico
Ho 31 anni, sono donna e sono medico. Un giovane medico in formazione specialistica – medico specializzando nel gergo comune - che sta per concludere l'iter della propria specializzazione. "Calma e grinta" è il motto che mi sostiene nei momenti di difficoltà. Per carattere non sono solita porre vincoli alle mie ambizioni e scelte: dopo l'esame di maturità ho dovuto decidere che futuro darmi e l'ho fatto pensando che avrei dovuto scegliere un mestiere che avrei dovuto amare. La scelta per la medicina è stata conseguente: il sogno di bambina si è cominciato a realizzare nel 2001, con l'ammissione a medicina in una sede lontana da casa. Una dura selezione, ripetuta qualche anno dopo per l'accesso alla scuola di specializzazione.

Volevo diventare pediatra e avevo messo in conto anche di emigrare all'estero, laddove i rigidi e non sempre meritocratici concorsi non me lo avessero permesso in Italia. Non avrei limitato le mie scelte né per i legami affettivi o per la sede geografica, tantomeno per il fatto di essere una donna. Laureata a pieni voti nel febbraio del 2008, ho dovuto attendere per più di un anno il concorso per entrare in specialità, a causa dell'annoso problema dei ritardi nell'indizione delle procedure di selezione, ascrivibile ad una deriva burocratica-normativa tipicamente Italiana.

Calma e grinta, mi ripetevo sempre, e nel giugno 2009, senza raccomandazione alcuna (sfido chiunque a dimostrare il contrario), sono riuscita ad entrare nella scuola di specializzazione che mi avrebbe reso pediatra. Fortunata, se paragono la mia esperienza coi tempi di attesa (da due a tre anni in media) a cui sono andati incontro tanti altri colleghi. I cinque anni successivi sono letteralmente volati all'insegna di impegno e sacrifici.

L'incognita del "dopo"
Presto diventerò pediatra, ma rimane il grande interrogativo del "dopo". Devo ammettere che nel percorso universitario, così come durante la specializzazione, non ho mai subito discriminazioni né mobbing per il fatto di essere donna, anche se la cronaca dimostra che episodi simili sono piuttosto frequenti. Adesso che sto per affacciarmi al mondo del lavoro, peraltro in tempi di crisi, sto valutando tutte le possibilità di impiego: il mio animo è incline ai ritmi dell'attività ospedaliera, caratterizzata da turni estenuanti, casi imprevedibili ed urgenti da risolvere, e ho la consapevolezza che questo complicherà non poco la mia aspirazione a creare una famiglia tutta mia. Le prospettive di lavoro sulla carta non mancano, ma saranno quasi tutte scandite dal rapporto a "tempo determinato" e molto probabilmente lontano da casa e dalla sede in cui mi sono formata.

Il "lusso" di una famiglia propria
Nei primi colloqui informali mi sono già sentita rivolgere la domanda cruciale: "Hai intenzione di metter su famiglia e avere figli?". Badate bene, non "In quali campi pensi di poterti affermare? Vorresti dedicarti anche alla ricerca?". E ho cominciato a capire perché, nonostante in Italia la medicina sia sempre più rosa (1 medico su 3 è donna e, come documentano i dati sulle iscrizioni a medicina, a breve il numero di donne medico supererà quello dei colleghi uomini), le donne occupino ruoli a dir poco marginali in tutti gli ambiti della sanità. La selezione naturale parte da lontano, e solo le più donne tenaci riescono a farsi strada.

Certo, è innegabile che conciliare lavoro e famiglia sia difficile per tutte le donne e a maggior ragione per le donne medico, dal momento che questa professione richiede massima dedizione e impone una carenza cronica di tempo libero. La legislazione italiana tutela la condizione delle madri lavoratrici, ma forse non abbastanza: trovo incredibile che la gravidanza debba essere considerata un problema e che all'orizzonte ci siano solo contratti atipici a tempo determinato che espongono le donne a discriminazioni palesi, tra cui la sempre più comune tendenza a non rinnovare il contratto (o a non finalizzarlo affatto) nel momento in cui la giovane professionista entri in "stato interessante". Non a caso molte colleghe programmano la propria gravidanza nel periodo della specializzazione, durante il quale, paradossalmente, il contratto di formazione degli specializzandi, per quanto atipico, fornisce loro più tutele rispetto ai contratti della dirigenza medica a tempo determinato.

Incubo stalking
Come se non bastasse noi donne medico siamo purtroppo sempre più spesso vittime di stalking e violenze: nel 2011 il dossier "Donne medico: indagine su lavoro e famiglia, stalking e violenza", commissionato dall'Ordine dei Medici Chirurghi di Roma in collaborazione con la sezione romana dell'Associazione Italiana delle Donne Medico, ha raccolto le testimonianze di 1.597 dottoresse, documentando come svolgere la professione medica possa esporre a rischi di violenza psico-fisica le giovani donne. Il dato più allarmante, oltre al fatto che il 46% delle donne afferma di aver subito molestie, è che il 4% dichiara di avere addirittura subito violenze fisiche e, dato ancora più spaventoso, la gran parte delle molestie si verifica sul posto di lavoro e per mano del datore di lavoro o di un superiore.

A oggi non ho avuto la sfortuna di provare sulla mia pelle tutto questo (non sono però mancati gli insulti verbali durante i turni di pronto soccorso per l'attesa eccessiva... anche questo evento molto spiacevole). Di certo non tarderà il mio incontro con la discriminazione sul lavoro: infatti, molte colleghe senior mi raccontano di avere avuto scarse opportunità di avanzamento di carriera e di non sentirsi soddisfatte del proprio ruolo. La sopracitata indagine riporta che le donne medico che ritengono di essere state penalizzate sul lavoro sono ben il 50,4%, dato che si discosta significativamente rispetto al 26% della popolazione femminile generale italiana.

Colmare il gender gap
Dal 2009 faccio parte dell'Associazione Italiana dei Giovani Medici (SIGM), che negli anni ha combattuto tante battaglie per il rilancio della professione medica, non ultima quella che ha portato all'istituzione del concorso nazionale per l'accesso alle scuole di specializzazione. E anche in tale veste sento forte il dovere di richiamare l'attenzione delle Istituzioni sulla necessità di un maggiore e più costante impegno nel tutelare le donne medico e nel colmare il gender gap, ad esempio sostenendo la creazione di asili nido sul posto di lavoro, rendendo gli orari di lavoro più flessibili con maggiore libertà nella scelta dei turni, garantendo una giusta selezione per i ruoli dirigenziali non più sulla base prevalente dell'anzianità di servizio o, peggio, del genere.

Noi donne medico, nonostante tutto, continuiamo a svolgere quotidianamente il nostro lavoro con passione e impegno. Quanto a me, da ora in poi sarà ancora più dura, ma so che andrò avanti a testa alta, trovando ispirazione nel pensiero del prof. Franco Panizon (pediatra, 1925-2012): «In questa vita, noi medici siamo tra quelli a cui è stato affidato un compito umile ma obbligatorio: quello di alleviare il dolore che fa parte della vita; di toglierlo quando è possibile e di aiutare a sopportarlo quando è necessario. Sostenendo, così, ciascun uomo nel suo proprio cammino: un cammino personale di cui il progresso dell'umanità è, in qualche modo, la sommatoria».