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Migranti&salute: quali cure oltre Lampedusa. Il punto al Congresso nazionale Simm

di Rosanna Magnano

Gli immigrati regolari in Italia da qualche anno sono circa 5 milioni. I minori sono 1,2 milioni. Oltre il 70% nati in Italia ma non «italiani». E troppo spesso neanche in sanità. Nel 2013 hanno chiesto asilo 28mila persone, lasciandosi alle spalle guerre, carestie, incarcerazione, tortura. Andrebbero accolte e curate. Per non aggiungere altri danni alla sofferenza post traumatica. E i numeri sono in crescita. Nel primo quadrimestre del 2014, i 26.200 migranti arrivati sono oltre 10 volte in più rispetto al primo quadrimestre del 2013. E i richiedenti asilo sono già 13mila, la metà delle domande di protezione presentate in tutto lo scorso anno. Di tutto questo si è parlato ad Agrigento, al congresso della Società italiana di medicina delle migrazioni. Che ha chiesto cose semplici: risposte appropriate, una vera governance da parte del ministero della Salute, interlocutori competenti.

I numeri del congresso. Il XIII Congresso della Società italiana di Medicina delle migrazioni (Simm) - dal titolo esplicativo "Responsabilità ed equità per la salute dei migranti: un impegno da condividere" - ha ospitato oltre 200 operatori sociali e sanitari interessati al tema della salute degli immigrati provenienti da tutta Italia, oltre 320 autori di studi e ricerche e 5 sessioni scientifiche.

Il fenomeno migratorio. Secondo la fotografia scattata dalla Simm, gli immigrati regolarmente presenti in Italia, da qualche anno ormai, sono intorno ai 5 milioni di cui 3,76 non comunitari, con un nucleo stabile di quasi 2 milioni di soggiornanti di lungo periodo (autorizzati a una permanenza a tempo indeterminato). La crisi ha portato a quasi 400mila i disoccupati stranieri, spesso non adeguatamente tutelati. L'irregolarità giuridica si stima intorno al 10% della componente regolare e spesso causata da politiche incerte e, a volte, discriminatorie.

«Eppure il concetto di partecipazione della comunità straniera consistente e stabile, molte volte invocato nell'ambito delle progettualità di promozione della salute dei migranti - spiega la Simm - difficilmente viene tradotto in effettivo strumento di programmazione, in particolare per interventi sui minori. Questi sono quasi 1,23 milioni, oltre il 70% nati in Italia, ma, a distanza di 25 anni dalla Convenzione di New York hanno spesso diritti diversificati e percorsi incerti rispetto ai coetanei italiani».

I migranti forzati: l'assistenza oltre lampedusa. Nell'Ue, durante il 2013 sono state registrate 435mila richieste d'asilo, nel 2012 erano 100mila in meno. Sempre nel 2013, il più alto numero dei richiedenti è stato registrato in Germania (127mila, equivalente al 29% dei richiedenti totali), seguita dalla Francia (65mila, 15%), dalla Svezia (54mila, 13%), dal Regno Unito (30mila, 7%) e dall'Italia (28mila, 6%). E il flusso è in crescita. Nel primo quadrimestre del 2014, i 26.200 migranti arrivati in Italia sono oltre 10 volte in più rispetto al primo quadrimestre del 2013. Le domande di protezione presentate nel nostro paese nei primi quattro mesi del 2014 sono già 13mila, quasi la metà di quelle presentate in tutto il 2013.

«Se l'operazione Mare Nostrum ha evitato i drammi dei naufragi - sottolineano il presidente della Simm, Mario Affronti e il coordinatore nazionale, Salvatore Geraci - il sistema d'accoglienza italiano si sta mostrando inadeguato e l'organizzazione, ancora una volta colpevolmente emergenziale, sta producendo disagio e malattia nei confronti di persone spesso particolarmente fragili».

Il momento è critico. «E la misura della crisi si esprime tangibilmente nella deriva di sapore aziendalista - continua la Simm - che vorrebbe banalmente ridurre la sanità a mercato, i pazienti a clienti, la tutela della salute e le dimensioni della cura a puro esercizio di benchmarking. È pertanto impellente riorientare il Ssn verso l'attenzione ai bisogni emergenti, la prossimità ai gruppi a rischio di marginalità, l'equità nell'offerta secondo le diverse opportunità di ciascuno e la responsabilità nel proporre risposte appropriate e nel doverne rispondere alla comunità».

I traumi dei rifugiati. Per molti dei richiedenti asilo i sintomi legati a traumi avvenuti avvenuti nel Paese di partenza (guerre, carestie, omicidi tribali, incarcerazione, tortura) o durante il viaggio (incarcerazioni e stupri in Paesi di passaggio, viaggi ad alto rischio) possono essere ulteriormente aggravati dalle difficoltà post-migratorie vissute nel Paese ospitante. «Qui vari eventi - spiega Massimiliano Aragona, del progetto Ferite Invisibili per la Riabilitazione delle vittime di tortura, Caritas Roma - possono agire da fattore di ritraumatizzazione, riattivando o peggiorando la sofferenza post-traumatica».

La prevenzione può agire: evitando che il trauma avvenga; evitando che sintomi post-traumatici non riconosciuti e non trattati portino a cronicizzazione e aggravamento; evitando che le difficoltà vitali post-migratorie peggiorino la situazione.

«Gli operatori dell'assistenza - continua Aragona - devono essere adeguatamente formati per riconoscere i fenomeni post-traumatici, anche quando essi non si presentano nelle modalità tipiche previste dal costrutto del Disturbo da stress post traumatico (Ptsd), cioè quando prendono forme più aspecifiche come somatizzazioni, depressione, aggressività, irritabilità, abuso di alcolici o sostanze, idee di persecuzione».

Molto dipende anche dalla qualità dell'accoglienza e dalla garanzia di un trattamento rispettoso della dignità umana. «Le ricerche convergono nel sostenere che le ritraumatizzazioni legate alle difficoltà di vita post-migratorie - conclude Aragona - sono responsabili di un peggioramento significativo dei sintomi post-traumatici. Non solo, è anche dimostrato che i migranti che sono stati rinchiusi in centri come i Cie stanno ancora male a distanza di anni da quest'esperienza, con livelli di funzionamento e integrazione sociale nettamente peggiori di chi è stato accolto in un percorso di accoglienza adeguato. Non è solo un problema di civiltà nelle politiche di accoglienza (il che già basterebbe), è anche un problema medico, di prevenzione della patologia post-traumatica».

L'integrazione, quindi, produce salute. Per queste ragioni è indispensabile, secondo la Simm, la chiusura degli attuali centri di prima accoglienza. «Per integrare prima possibile i richiedenti asilo nella società italiana - sottolinea Marco Mazzetti, del Progetto Ferite invisibili - affidandoli, fin dall'inizio, agli enti locali, e offrendo condizioni di vita dignitose, per evitare il dimostrato impatto negativo delle difficoltà post-migratorie sulla salute psicofisica; predisporre procedure di rapida evacuazione verso centri clinici adeguati per i profughi che sbarcano con problemi di salute; identificare i soggetti sofferenti di psicopatologia post-traumatica e garantire loro tempestivamente gli interventi terapeutici appropriati».

L'esperienza di Modena. Il Comune di Modena ha partecipato ininterrottamente alla rete Pna/Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) a partire dal 2001 gestendo direttamente il Progetto all'interno delle attività del proprio Centro Stranieri . Il progetto gestisce, attraverso un'équipe di operatori dedicata, in sinergia costante con la rete dei servizi, delle associazioni e delle istituzioni operanti sul territorio, servizi di accoglienza integrata, di orientamento, accompagnamento e tutela, con l'obiettivo di garantire misure di assistenza e di protezione alla singola persona e di favorirne il percorso verso l'autonomia e l'integrazione fondato sull'empowerment. Oggi il Progetto di Modena è destinato all'accoglienza di 50 richiedenti protezione internazionale o titolari di protezione.

«Tutti i beneficiari sono iscritti al Ssn - spiega Paolo Gobbi, coordinatore del Progetto rifugiati di Modena - e accompagnati nella scelta del medico di base. Sono garantiti l'orientamento e l'accesso alle strutture sanitarie. In presenza di patologie particolari, di casi di invalidità o quando si rende necessario attivare terapie riabilitative, vengono garantiti accompagnamenti e percorsi sanitari specifici, monitorati dagli operatori del Progetto. Sono sostenute le spese sanitarie non coperte dal Ssn».

Grazie a una collaborazione tra l'équipe del progetto e il dipartimento di Salute mentale e di Psicologia clinica e diagnostica dell'Ausl di Modena si è inoltre creato un percorso funzionale di «presa in carico integrata» delle vittime di tortura o violenza intenzionale con disturbo da stress post-traumatico o altri quadri clinici psicotraumatologici.


A parte alcuni modelli di best practice, le cure ai migranti non sono erogate in un quadro di certezze diffuse e consolidate. L'Accordo Stato Regioni del 20 dicembre 2012 sulla corretta applicazione della normativa vigente, per un'assistenza sanitaria ai migranti omogenea sul territorio nazionale, è infatti rispettato a macchia di leopardo (vedi mappe in allegati ). Anche nella sua parte più qualificante, come quella che garantisce l'iscrizione al Ssn ai minori figli di immigrati senza permesso di soggiorno.

Ecco alcune delle Raccomandazioni emerse dal Congresso della Simm (il documento completo sarà scaricabile nei prossimi giorni sul sito http://www.simmweb.it/ )

• Applicare l'approccio partecipativo ai diversi ambiti di azioni, quali gli interventi di prevenzione e promozione della salute, la formazione degli operatori, la ricerca relativa alle popolazioni migranti con particolare riferimento alle donne ed ai minori;

• Accelerare l'iter di riforma della legge sulla cittadinanza per garantire ai minori nati o cresciuti in Italia una piena inclusione.

• L'attivazione urgente di corridoi umanitari con il coinvolgimento internazionale;

• La pianificazione di un'accoglienza diffusa, con il superamento dei CARA (Centri Accoglienza Richiedenti Asilo) che veda reali e motivati protagonisti gli enti locali (vedi l'esperienza di Modena);

• La definizione di chiare procedure di accoglienza anche in ambito sanitario (attivazione delle aziende sanitarie pubbliche; protocolli medici condivisi; consapevole coinvolgimento degli interessati; percorsi validati e non sollecitati da paure infondate; certezza del diritto all'assistenza) ed eventualmente di presa in carico di persone ammalate.

• Promuovere il modello di rete istituzionale realizzato dal Tavolo interregionale "Immigrati e servizi sanitari" che ha prodotto l'Accordo citato, come network stabile che possa essere per gli enti locali e le istituzioni, in primo luogo il Ministero della salute, come punto di riferimento tecnico per una concreta programmazione;

• Che il Ministero della salute entri con sempre maggiore protagonismo nella governance del tema della tutela degli immigrati nella sua diversa articolazione (dalle "emergenze" sbarchi, al tema dei richiedenti protezione, dei rifugiati e della loro accoglienza, dalla tutela delle donne all'evidenza di una transizione epidemiologica da governare, dalla presenza della popolazione di rom e sinti, alla sempre maggiore consistenza di minori non accompagnati, …) con interlocutori competenti, coesi (collegamenti stabili e funzionali tra le diverse Direzioni) e riconoscibili;

• Che le Regioni e Province autonome rendano operative, senza ulteriori ritardi, le indicazioni dell'Accorso Stato Regioni del 20 dicembre 2012, e verifichino che ciò avvenga in modo omogeneo in ogni territorio/distretto.Per assicurare un'assistenza sanitaria omogenea ai migranti, secondo le indicazioni dell'Accordo, in tutto il territorio nazionale sarebbe utile promuovere il modello di rete istituzionale realizzato dal Tavolo.

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