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Healthcare summit, Lorenzin: «Stop alla visione ragionieristica del Ssn, affrontare il nodo della governance»

«Stop alla visione ragionieristica del Ssn - condizionata da un lato dalla crisi economica e dall'altro dal federalismo regionale - e al ruolo preponderante del ministero dell'Economia, che negli ultimi anni ha gestito la politica sanitaria in un rapporto muscolare con le Regioni invece di limitarsi a un'azione di controllo sui conti». Ha esordito così la ministra della Salute Beatrice Lorenzin al terzo Healthcare summit, l'incontro organizzato da Il Sole 24 Ore a Roma per discutere su sostenibilità e nuovi modelli per la sanità del futuro.

Alla politica sanitaria, sottolinea Lorenzin, devono pensare ministero e Regioni. «Si è tentato di fare finora le nozze con i fichi secchi e di ridurre la spesa mantenendo la qualità dei servizi. Ma non può funzionare così. Il risparmio va fatto in una economia di sistema. Mantenendo come prioritaria la qualità dei servizi e introducendo sistemi di misurazione delle perfomance che responsabilizzino le autonomie locali. Un risultato che stiamo cercando di ottenere con il Patto per la salute».

Nell'opera di redazione del Patto «sta finendo la parte tecnica e deve cominciare una parte politica in cui ci sono alcuni nodi che meritano una riflessione». E la ministra auspica di riuscire «a fare un patto che vada verso il futuro e che affronti alcune criticità del sistema sanitario che non possiamo più eludere».

Condizione necessaria per la sistenibilità del Ssn, per Lorenzin, è che le Regioni facciano un salto di qualità, senza aspettare la riforma della Costituzione, lavorando per portare all'eccellenza tutto il territorio nazionale. «Ci sono due elementi fondamentali da considerare: la certezza del budget e la qualità della governance, che è il tema dei temi. Laddove c'è una governance di qualità le cose finzionano». Il decreto Balduzzi ha riformato il meccanismo di selezione dei dg. «Ma non basta. Ci sono pochi manager sanitari competenti, che sono sempre gli stessi e sono ormai dei guru. Serve attingere a nuove professionalità forti per realizzare un albo nazionale all'interno del quale le Regioni abbiano ampia possibilità di scelta. E servono anche percorsi di formazione ad hoc. Fermo restando il rapporto fiduciario tra il dg e l'amministrazione regionale, che non va demonizzato, purché non sia di tipo clientelare. Il manager capace va scelto secondo obiettivi prefissati da ministero e Regioni, va valutato e premiato sulla base dei risultati raggiunti. In modo da ridurre la discrezionalità salvaguardando però l'attrattività del ruolo. La politica deve invece fare un passo indietro sulle direzioni di tipo scientifico e sanitario».

Mangement di qualità. A sottolineare l'importanza di un management sanitario di qualità è intervenuto anche il presidente di Fiaso, Valerio Fabio Alberti: «Vanno creati vivai regionali di middle management - spiega - da cui attingere per nominare i top manager della sanità. La lista delle priorità per garantire la sostenibilità del Ssn è lunga e servono persone in grado di condurre il processo, che siano in possesso di quella cultura necessaria a dialogare con i professionisti della sanità. Come Fiaso stiamo facendo un percorso in diversi step per arrivare a definire un profilo delle competenze del Dg, un percorso di formazione, di selezione e di valutazione. E anche sulle buone prassi applicate dalle aziende sanitarie, che Fiaso ha raccolto nel Libro bianco della buona sanita, bisognerebbe definire i livelli essenziali di organizzazione all'interno delle aziende. In modo da rendere obbligatorie le best practice».

Patto in tempi brevi. Sul Patto per la salute i tempi non saranno lunghi. Lo afferma l'assessore alla Sanità dell'Emilia Romagna, Carlo Lusenti: «Penso che se c'è la volontà politica, e sembra che ci sia - sottolinea Lusenti nel corso del summit organizzato da il Sole 24 Ore - ci sono le condizioni per arrivare a chiudere il Patto per la salute rapidamente; nel giro di una-due settimane il testo ci sarà».

«C'è il prerequisito economico di finanziamento almeno del 2014, in una dimensione - ha rilevato Lusenti - che risale la china, precipitata invece fino all'anno scorso in modo ininterrotto; c'è quindi una boccata di ossigeno». Il patto, ha aggiunto l'assessore, «conterrà anche una parte sulla strategia di governance istituzionale, relativamente al ruolo del ministero e alla riforma delle agenzie per arrivare a un sistema di governo solido e rinnovato». Infatti, ha spiegato, «ci vuole una cornice più solida e bisogna rafforzare e definire le deleghe e il ruolo del ministero della Salute».

Riferendosi quindi al Sistema sanitario nazionale, Lusenti ha sottolineato che «non è vero che in Italia ci sono 21 sistemi diversi: ve ne sono due o tre e di questi uno è di livello assolutamente europeo e si può confrontare con il meglio che c'è in Europa; parlo - ha detto - dell'Italia fino al Lazio, che equivale a 38 milioni di abitanti». Dall'assessore dell'Emilia Romagna, infine, un invito all'appropriatezza, citando come esempio proprio la sua Regione che dal 2009 è in testa nella classifica per gli adempimenti rispetto ai livelli essenziali di assistenza. «Ci sono esempi virtuosi in una serie di Regioni - conclude - che non devono essere prese come modelli, ma come esempi».

Per superare le differenze Nord-Sud il deputato Raffaele Calabrò (Ncd), rappresentante della Campania, reclama un ruolo più forte di indirizzo e di controllo da parte del ministero della Salute. «Per uniformare l'appropriatezza delle prestazioni servono Linee guida per singola patologia. Le storture vengono da lontano, sebbene oggi ci siano eccellenze anche al Sud. Basti un esempio per tutti: nel '96 si determinarono i fattori per definire i criteri di riparto del Fondo sanitario. Tra questi la popolazione pesata. Decreti successivi avrebbero dovuto chiarire i cirteri di pesatura. Ma non sono mai arrivati e il riparto si fa con la popolazione pesata per età. In questo modo la Campania ha perso 400 milioni, 70 euro a cittadino. Ci sono investimenti da fare e la nostra regione è penalizzata. I piani di rientro hanno senz'altro centrato l'attenzione sugli sprechi, ma con il blocco del turnover hanno anche causato a loro volta altri sprechi, come i soldi per le convenzioni o la mancata assunzione dei giovani che ha causato una fuga all'estero di risorse formate in Italia. Sicuramente Il patto sarà un'occasione di confronto».

Il problema è anche di politiche del personale. «Il fatto è che oggi il 55% dei medici è over 50: non esistono più i giovani. All'interno degli ospedali - spiega Riccardo Cassi Presidente Cimo Asmd - visto che la strada è quella dell'intensità di cura, per farlo serve un cambiamento netto in cui i professionisti devono essere coinvolti. Con una integrazione che avviene grazie alle reti, che deve unire contratti e convenzioni per la comunità assistenziale vera e consentire di valutare i medici per la loro professionalità, attraverso una griglia di indicatori asettici definita con Agenas, e non per capacità gestionale che appartiene solo a pochi».

Il nodo della gestione e dell'allocazione delle risorse. Sui costi ha puntato il dito Adriano Lagostena, direttore generale E.O. Ospedali Galliera. «In Liguria gli over-65 sono il 28% della popolazione, gli over 74 sono al 22% e nel 2030 saranno il 27 per cento. Di fronte a queste percentuali non può esistere dicotomia tra ospedale e territorio. Su 17mila ricoveri, il 23% è rappresentato da acuti puri, il 77% da acuti legati a quadri di cronicità. E questo ci pone delle questioni sulla evitabilità dei ricoveri. Al Galliera abbiamo scelto un modello organizzativo per intensità di cura. Ci occupiamo dell'appropriatezza della prestazione, che io dò per scontata, ma anche dell'appropriatezza del modello erogativo. La salute non ha prezzo ma ha un costo. Attravaerso il network Nisan possiamo rilevare il costo per ogni singolo episodio di ricovero. Ed emergono dati preoccupanti: nel 2011 su 475mila ricoveri il 96% è rappresentato da ricoveri ordinari e day surgery, ma il 3,8% ha riguardato criticità legate alla cronicità, che hanno assorbito il 13% delle risorse. Come gestori quindi dobbiamo porci il problema di come vengono allocate le risorse. Abbiamo una sola possibilità, applicare una massima di Galileo Galilei: misurate tutto ciò che è misurabile e ciò che non lo è rendetelo tale. L'alternativa è risparmiare tagliando i posti letto».

Oltre la centralità dell'ospedale. L'importanza di riorganizzare il sistema mettendo in discussione il ruolo dell'ospedale è stata sottolienata da Mario La Vecchia, vicesegretario nazionale Anaao Assomed: «Dall'autosufficienza del singolo presidio si è passati all'autosufficienza della rete. Ma se non c'è una rete nuova sul territorio, il modello si ingolfa ed è destinato a fallire. Se gestiamo il processo in modo intelligente, avremo un sistema ospedale-territorio-Mmg-specialisti con protocolli condivisi e un sociale con cui interfacciarsi. Dobbiamo passare da un modello prestazionale a un processo di cura. E anche in questo caso, il cittadino vuole garanzie sull'accesso e vuole sapere chi lo guida in questo labirinto che stiamo costruendo. L'Italia è lunga e stretta».

Anello fondamentale della sostenibilità del Ssn è la politica del farmaco. "Le aziende del farmaco - ricorda Emilio Stefanelli, vicepresidente di Farmindustria chiudono il 2013 con 445 milioni di euro di pay-back per il ripiano della spesa farmaceutica, che non è certo poco. Ora sono in arrivo medicinali molto innovativi che tenderanno a far diminuire altre voci della spesa sanitaria, aiutando così anche l'economia italiana in generale. Bisognerà trovare spazi alternativi di intervento per tenere la spesa sotto controllo, altrimenti ogni nuovo farmaco che
arriva lo pagheremo solo noi".

L'aspetto positivo è che nella manovra non ci sono stati tagli ulteriori alla spesa farmaceutica. "Il governo è riuscito ad avere in tempi brevi un Fondo sanitario sicuro, che è rimasto quello ipotizzato - ha riconosciuto Stefanelli - anche se non certo capiente perché inferiore di circa il 20% rispetto agli altri Paesi europei. Ma per la prima volta sappiamo dove possiamo mettere le mani. Di fatto però lo sforamento della spesa farmaceutica lo paghiamo noi per il 100% nella territoriale e per il 50% nell'ospedaliera. Non si può continuare a considerare quello della farmaceutica un sistema chiuso - ha ribadito - rispetto al sistema della sanità e dell'economia in generale".

Priorità agli investimenti nel settore farmaceutico. E a ribadire l'urgenza di salvaguardare gli investimenti nell'industria farmaceutica in Italia è intervenuto anche il viceministro allo Sviluppo Economico, Claudio De Vincenti: «Quest'anno abbiamo stabilizzato la spesa farmaceutica, dobbiamo tenerla in linea con l'andamento del Pil e pensiamo che vadano stabilite e migliorate le regole», ha aggiunto De Vincenti, parlando poi degli strumenti messi in campo dal Governo: tra questi, «il sistema dei budget aziendali ha contribuito a tenere sotto controllo la spesa per evitare situazioni di perdita del controllo e tagli drastici».

Il problema è ora quello di una corretta politica di pricing dei farmaci innovativi. Tre sono i punti da verificare: il miglioramento della terapia, la remunerazione delle spese sostenute in ricerca e sviluppo, il risparmio prodotto su altre spese sanitaria. "Oggi non mi sento molto sicuro del fatto che i prezzi de farmaci innovativi siano così rigorosamente determinati. Non dico che siano troppo alti, ma bisogna ragionarci sopra e guardare in faccia il problema: serve una metodologia di pricing che eviti situazioni indesiderate".

"Se la spesa farmaceutica esplode - ha aggiunto - il sistema sanitario non terrà. Se vogliamo che tenga, dobbiamo essere sicuri che quei prezzi siano giustificati e l'unico modo per farlo è adottare una metodologia che garantisca che quei costi corrispondono veramente a una riduzione della spesa" sanitaria in generale, andando a curare malattie che costano sotto altri punti di vista.

"Il governo della spesa farmaceutica deve continuare - assicura De Vincenti - senza tagli selvaggi: oggi non si pensa più al comparto come il luogo dove devono immancabilmente impattare le misure di contenimento. Grazie al tavolo sulla farmaceutica convocato con il ministero della Salute abbiamo ottenuto due risultati: non ci sono stati tagli nelle ultime manovre, per cui finalmente diamo certezza di regole alle industrie e competitività al Paese, e abbiamo realizzato una piccola riforma delle modalità di rilevazione della spesa farmaceutica ospedaliera, che può garantirne la terzietà. Ora occorre valutare il sistema di budget e tetti: per ora dobbiamo cercare di farlo funzionare bene, poi ci porremo la domanda se si può superare".

Un'ipotesi fattibile, secondo il viceministro, "se fossimo in grado di valutare preventivamente l'impatto dell'innovazione di un farmaco sulla spesa in generale. Spero che ci arriveremo con lo sviluppo dell'Health Technology Assessment (Hta), e così si potrebbe pensare a un sistema di tetti dinamico. Forse, ad esempio, sulla spesa farmaceutica ospedaliera non abbiamo più bisogno dei tetti di prodotto se abbiamo il budget. E valorizzerei come strumento quello del rimborso condizionato, insieme al budget, in modo da legare di più il rimborso ai risultati terapeutici".

E per promuovere la competitività delle imprese italiane, ha detto il vice ministro «Siamo al lavoro sul decreto ministeriale attuativo del Destinazione Italia, emanato dal Governo Letta per attrarre investimenti esteri, che con le norme sul credito d'imposta che premiano l'incremento della spesa in Ricerca e Sviluppo sarà un efficace sostegno alle imprese che fanno innovazione". Altre misure su cui sta lavorando il ministero, ha spiegato De Vincenti, "è il sistema di risk-sharing facility, un fondo da 100 milioni di euro a garanzia dei grandi progetti di politica industriale in cui rientrano a pieno titolo le scienze della vita, dispositivi medici e farmaci in primis. Speriamo di irrobustirlo ulteriormente in futuro. L'Italia in questo modo - ha concluso - diventa una Paese in cui le industrie possono farsi le 'guance rosse', crescere e avere voglia di investire".