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ESCLUSIVA/ Rapporto Crea, Spandonaro: «Cosa e perché rischia la sanità pubblica»

di Federico Spandonaro (Presidente CREA SanitàConsorzio per la Ricerca Economica Applicata in Sanità)

Nel Rapporto 2013 avevamo stressato il concetto per cui l'Italia non solo spende poco per la Sanità, ma che il gap fra la spesa italiana ed europea (dei Paesi Ue con noi confrontabili!), crescendo continuamente, era arrivato a livelli davvero significativi: in verità da anni di questa "sobrietà" del Ssn si erano accorti tutti a livello internazionale, tanto che l'Oecd mette il Ssn italiano sul podio dell'efficienza.

La conferma di questa anomalia è poi arrivata durante l'anno, con le audizioni parlamentari dei funzionari dell'organismo internazionale, che hanno stimato un gap persino più ampio del nostro. Durante l'anno la novità è stata proprio una crescente consapevolezza sul fatto che il concetto di spreco non si coniuga necessariamente e immediatamente con quello di risparmio: si noti che nel Patto per la Salute è stato scritto che i recuperi di risorse ottenibili con la riduzione degli sprechi sarebbero stati reinvestiti in Sanità: quindi gli sprechi, pur esistendo, vanno reinvestiti senza poter generare risparmi finanziari. In questo va dato atto al Ministro di essere stata sempre piuttosto coraggiosa nell'affermare il principio.

Diviene lecito domandarsi se questo approccio implichi la recondita idea di aumentare i livelli di tutela oltre l'asticella (convenzionale) dei Lea: credo che la risposta sia certamente no, e sarebbe in effetti scorretto pensare che, perdurando la recessione, un settore possa decidere di "allargarsi", di fatto a scapito di altri, considerando poi che l'istruzione (ad esempio) naviga in acque anche peggiori della Sanità.

Quindi il reinvestimento è finalizzato ad erogare i Lea: si può leggere come una ovvia conseguenza dell'essere finalmente passati alla fase 2 del risanamento; ridotto, invero in pochi anni, dell'80% il disavanzo, finalmente si guarda al come e, quindi, alla concreta esigibilità dei Lea, scoprendo che molte Regioni sono inadempienti (e forse anche più di quante appaiano alla setaccio della "griglia ministeriale").

La parola "razionamento" è tabù in politica, e quindi non si pronuncia mai: ma la logica conseguenza delle affermazioni precedenti è che il sistema, sprecando, è costretto a razionare. E in prospettiva, stare al passo con le innovazioni e le aspettative della popolazione, con risorse tendenzialmente decrescenti in termini reali, diventa davvero complesso.

Il vero snodo è proprio quello del livello delle tutele: tant'è che, paradossalmente, il Patto per la Salute definisce le risorse ma non le prestazioni, ovvero glissa sulla definizione del livello di tutela, rimandando ancora una volta la revisione dei Lea; non è difficile immaginare l'imbarazzo della politica davanti alla possibilità di dover ammettere che le tutele attuali non possono essere tutte salvaguardabili.
Ma quanto è seria l'ipotesi? Dipende ovviamente dalle risorse disponibili e dal livello di razionamento esistente.

Nel Rapporto 2014 ci siamo concentrati su questi due temi, per ottenerne varie conferme: intanto che il gap di spesa continua rapidamente ad allargarsi, essendo arrivato ad oltre il 25%; ma anche che le Regioni più ricche in qualche modo compensano con risorse aggiuntive (extra Lea) e spesa privata, mentre quelle del Sud, che non ne hanno la possibilità, sono ormai ad oltre -33% in media di spesa rispetto ai livelli europei; tanto che nella regione del Nord più ricca i cittadini consumano circa 3.000 euro annui di Sanità e nella più povera (del Sud) si arriva appena a 2.000 (al netto dell'età media diversa); che per farsi tornare i conti pubblici, fra ticket e altro, la spesa farmaceutica sostenuta privatamente dalle famiglie per farmaci rimborsabili dal Ssn è cresciuta in 10 anni del 70%; che la quota di consumo dei farmaci di recente immissione in commercio in Italia si ferma (a seconda delle aree terapeutiche) fra il 30 e l'80% dei livelli di consumo dei principali Paesi Ue (come dire che l'accesso alle innovazioni da noi è certamente inferiore e/o almeno significativamente ritardato); che gli investimenti in prevenzione sono minori dove ci sono più disavanzi, con l'esito di avere (ad esempio) tassi di adesione inferiori agli screening dei tumori, e quindi certamente una maggiore mortalità evitabile; per non parlare della risposta alla non autosufficienza, per la quale i tassi di assistenza domiciliare e residenziale, nelle varie aree del Paese sono infinitamente difformi.

Quindi la lotta agli sprechi è sempre più urgente, proprio perché anche eliminandoli non ci saranno avanzi. E la legge di stabilità, con i nuovi tagli alle Regioni, è lì a ricordarci che la situazione economica continua a essere critica e quindi bisogna ancora tirare la cinghia, confidando che si generi una impetuosa risposta collettiva alle sfide che abbiamo davanti, capace di farci uscire dalle sabbie mobili.

Intanto i tagli chiesti alle Regioni, seppure in prima battuta viene confermato e quindi salvaguardato il Fondo per la Sanità, sono di entità tale da far fortemente temere che si troveranno solo non rinvestendo in Sanità gli eventuali recuperi di efficienza. Ma il Paese può permettersi di non eliminare i razionamenti e non investire in Sanità?

A parte le questioni etiche, limitandoci alla banale sostenibilità, va ricordato che la longevità del Paese, fortunatamente smentendo le cassandre, non ha reso insostenibile il sistema (tanto che il Paese ha insieme il record demografico e quello della sobrietà della spesa) solo perché grazie alla prevenzione e alle nuove tecnologie, è cresciuta l'aspettativa di vita in buona salute (per questo è meglio parlare di longevità che non di invecchiamento).

I tassi di cronicità delle fasce più giovani tendono a ridursi, ovvero si sposta in avanti l'età di insorgenza delle patologie; in alcuni casi (come le malattie croniche respiratorie) si riduce addirittura la prevalenza, grazie probabilmente a stili di vita migliori (meno fumo); in molte aree terapeutiche le nuove tecnologie, farmaceutiche diagnostiche etc, hanno permesso radicali riduzioni del ricorso all'ospedalizzazione; va anche detto che alcune tecnologie, maturando e perdendo la protezione brevettuale, sono oggi a disposizione con costi molto inferiori a solo 10 anni fa.

Tutto questo ha reso sostenibile il sistema: ma ci vuole un attimo a tornare indietro, come ci insegnano gli epidemiologi sulla scorta dell'esperienza dei Paesi dell'Est dove, in pochi anni, i tagli alla Sanità hanno fatto regredire l'aspettativa di vita.

Il Paese, se smette di investire in prevenzione (e specialmente quella primaria, tanto che va sempre ricordato, in particolare, lo scarso contrasto all'epidemia di obesità infantile), e nel suo ammodernamento, non ha possibilità di rimanere sostenibile.

La Società è cambiata ma non il Welfare, specie quello sanitario, che rimane sostanzialmente un servizio pubblico obbligatorio (o quasi), e non un vero sistema di protezione sociale: le due cose possono rimanere congruenti finché le risorse sono sufficienti a dare il famoso "tutto a tutti"; ma quando non lo sono più, bisogna tornare al principio di proteggere per prime le fragilità.

Il Rapporto provocatoriamente testimonia come oltre un terzo del valore dei farmaci rimborsati attiene a "scatole" con un costo inferiore a 10 euro (e oltre il 10% a meno di 5 euro): per quanta parte della popolazione italiana questi rimborsi hanno un valore "protettivo"?

La verità è che Equità vorrebbe che il "rimborso" del servizio pubblico fosse commisurato alle condizioni economiche del percipiente (ed efficienza vorrebbe anche alla meritorietà del consumo, identificando le priorità di Sanità Pubblica) e non ad astruse e draconiane regole di compartecipazione ed esenzione, ivi comprese quelle per patologia indipendenti dal reddito.

La considerazione finale è che in Italia è molto difficile attestare la vera condizione economica e questo ha sempre impedito riforme del sistema: ma se non siamo capaci di vincere la sfida sull'evasione, dobbiamo ammettere che non possiamo permetterci un sistema sanitario universalistico; e, attenzione, se non siamo capaci di vincere queste sfide di civiltà, allora è anche difficile poter confidare con ragionevole ottimismo nella ripresa del Paese.