Dibattiti-e-Idee

SPECIALE FEDERALISMO/ Attenti alle insidie del modello «layer cake»

di Francesco Taroni (Università di Bologna)

La proposta di revisione del titolo V della Costituzione disegna un ampio progetto di ricentralizzazione delle competenze legislative che in sanità è particolarmente imponente tanto in ampiezza che in profondità. Per citare solo le cose che saltano immediatamente all'occhio:
- la clausola opportunamente definita "di supremazia" piuttosto che "di salvaguardia", che amplia l'ambito di intervento dello Stato in modo indefinito anche nell'attuale formulazione più restrittiva rispetto alla originaria proposta del Governo che legittimava l'intervento dello Stato in occasione di imprecisate «riforme economico-sociali di interesse nazionale»;
- l'asimmetria nelle competenze di Stato e Regioni suggerita dall'attribuzione allo Stato della funzione di "tutela della salute" a fronte di Regioni ristrette alla «programmazione e organizzazione dei servizi sanitari», un'attività strumentale che si colloca ben dentro l'esercizio della funzione, anche alla luce della sentenza 371/2008 della Corte costituzionale;
- nuovi strumenti di intervento, celati sotto l'enigmatica formula delle "disposizioni generali e comuni" che permettono una legislazione statale più penetrante e di maggior dettaglio rispetto alla enunciazione dei "princìpi fondamentali" prevista dalla formulazione attuale.
Il nuovo testo sembra quindi soddisfare in pieno la necessità di "cambiare verso" anche in senso letterale, dalla periferia al centro. Il governo della tutela della salute passa da un modello istituzionale tipo "marble cake", a competenze intrecciate e negoziate fra soggetti di pari livello a un modello tipo "layer cake", fatto di strati impermeabili e impenetrabili come una torta millefoglie, per portare all'estremo l'analogia culinaria cara agli esegeti dei federalismi.
Resta invece da verificare la capacità del nuovo disegno istituzionale di prevenire il contenzioso, uno dei principali (e meno convincenti) elementi addotti a sostegno della riforma. Nutrire dubbi sembra legittimo, considerando ambiguità e indeterminatezze dei nuovi strumenti e, soprattutto, l'assenza di istituzioni efficaci a favorire ex ante processi di leale collaborazione fra tutti i soggetti interessati, incluse sedi adeguate e procedure appropriate in luogo di un'intesa che l'esperienza ha dimostrato puramente nominalistica.
Quel che importa soprattutto sottolineare in questa sede sono piuttosto le perplessità sulla capacità che il nuovo modello a strati millefoglie, rigidamente se non esplicitamente gerarchici, sia idoneo ad assicurare il governo efficace e responsabile di una funzione squisitamente multilivello eppure, e contemporaneamente, a fortissima integrazione verticale e orizzontale come quella della tutela della salute in una Nazione con profonde differenze demografiche, economiche, sociali e culturali e quindi anche di capacità, fiscali, amministrative e politiche.
La scelta di centralizzare il comando delle politiche sanitarie e di eliminare le competenze concorrenti non elimina infatti la necessità di realizzare quel concorso nel governo della tutela della salute di tutti i soggetti istituzionali interessati, Comuni, Regioni e Stato. Un problema tanto antico che si era già proposto ai Costituenti, era stato acutamente colto da Meuccio Ruini nell'illustrare l'articolo 32 della Costituzione e opportunamente ripreso, trenta anni dopo, dalla felice formulazione dell'articolo 1 della legge istitutiva del Ssn secondo cui «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, attraverso il Servizio sanitario nazionale». Vista da vicino, la questione ha (almeno) due facce, distinte ma intrecciate: individuare il luogo tecnicamente ottimale per collocare il governo di funzione multilivello e ad alta integrazione; riconoscere la molteplicità delle comunità di riferimento cui ciascun cittadino italiano appartiene nelle sue vesti di contribuente, titolare di diritti, destinatario di servizi e soggetto cui dar conto della loro funzionalità.
Il primo punto riguarda essenzialmente la componibilità del prodotto dei vari subsistemi (locali, comunali, aziendali, regionali ecc.) che compongono quello che per comodità designiamo come Ssn e tendiamo - riduttivamente - a identificare con le sue aziende sanitarie e con le Regioni che le amministrano. Nei casi più semplici, il prodotto complessivo del sistema è la somma (algebrica, spesso) dei contributi apportati da tutte le sue unità elementari, a es. i ricoveri ospedalieri specie per attività "di base". In altri, la capacità complessiva del sistema è invece pari a quella dell'anello più debole della catena, come a esempio in caso di epidemie o, più banalmente, nella tempestività dell'informazione. Più frequentemente infine il prodotto finale è approssimabile a una sorta di somma dei contributi individuali, ma ponderata per qualità, complessità, tempestività ecc. di ciascuno a seconda del tipo di prestazione/servizio (si pensi, a esempio, ai trapianti).
La difficoltà di individuare il luogo ottimale di governo di una funzione così composita è che l'ampio ventaglio dei modi in cui il Ssn esplica la sua funzione di tutela della salute ammette in linea di principio modelli di governo opposti e speculari (da un totale auto-coordinamento regionale al feroce enforcement di rigidissimi standard nazionali) e lo espone ai rischi simmetrici della "tragedia dei beni comuni" (i commons) e a quella degli anti-commons, da eccessiva frammentazione.
Sullo sfondo di questo intrattabile problema (apparentemente) tecnico si colloca poi la questione politica, propria di tutti i sistemi di welfare, ma particolarmente evidente nei sistemi sanitari universalistici a impronta egalitaria come il nostro Ssn che Banting definisce "paradosso progressista": la tensione ineludibile fra l'egalitarismo specifico dei diritti di cittadinanza sociale e la differenziazione necessaria perché le politiche sociali riflettano anche preferenze, forme di vita e culture locali. È su questi aspetti squisitamente istituzionali che, a esempio, il tema dei Comuni e delle Città metropolitane da un lato e quello delle funzioni del nuovo Senato non possono non trovare ovvie risonanze. Questi vaghi accenni a due dei problemi sostanziali sottesi alla riforma hanno il solo scopo di richiamare l'attenzione sull'importanza di difficili scelte su questioni di merito relative alle caratteristiche dell'oggetto "tutela della salute" e alle responsabilità di tutti i soggetti istituzionali interessati in quanto componenti costitutivi della Repubblica.
Temi purtroppo pericolosamente trascurati da un dibattito istituzionale che ripropone una contrapposizione fra conservatori e riformatori basata su una scelta banalmente dicotomica fra centralizzazione e devoluzione che riproduce divisioni antiche di almeno 15 anni, cambiandole soltanto di segno.