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Farmaci sempre meno innovativi e sempre più costosi: si può cambiare il sistema brevettuale?

di Silvio Garattini (direttore, Irccs-Istituto di Ricerche farmacologiche "Mario Negri", Milano)

La difficoltà ad acquisire da parte del Servizio sanitario nazionale farmaci di grande utilità, a causa dei prezzi elevati, ripropone il problema della valutazione dell'attuale sistema brevettuale. Il brevetto viene considerato necessario, perché rappresenta un forte incentivo all'innovazione, in quanto garantisce il monopolio dello sfruttamento di un determinato prodotto per un definito numero di anni. Per contro, il brevetto non permette il tempestivo e libero scambio di informazioni e prodotti, limitando la collaborazione e il progresso in campo scientifico.

A differenza di altri settori, il brevetto per il farmaco presenta alcune peculiarità che meritano una sottolineatura. Chi sviluppa un brevetto attinge largamente a informazioni che sono il frutto della ricerca "accademica", supportata in alta percentuale da risorse pubbliche. La stragrande maggioranza degli studi clinici è resa possibile da strutture pubbliche e dalla disponibilità dei pazienti che si prestano alla sperimentazione gratuitamente.

Il costo della ricerca, anche se molto enfatizzato, rappresenta solo circa il 9% del fatturato industriale; mentre ciò che incide notevolmente sul prezzo dei farmaci sono la promozione e la pubblicità. Inoltre, chi dispone di un brevetto ha la possibilità della "quasi" sicurezza di un mercato sostenuto da sistemi assicurativi o dal Ssn.

Oltretutto, nella maggior parte dei casi, i prodotti farmaceutici protetti da brevetto non sempre rappresentano una reale innovazione, perché la direttiva europea non richiede studi comparativi con prodotti precedentemente autorizzati per le stesse indicazioni terapeutiche, ma si limita a esigere «qualità, efficacia e sicurezza». Infine, tutti gli studi richiesti per l'approvazione di un nuovo farmaco sono realizzati e presentati dall'industria farmaceutica alle autorità regolatorie, il che rappresenta uno straordinario conflitto di interessi.

Questa situazione ha comportato al tempo stesso una costante diminuzione dei prodotti innovativi e un continuo aumento dei prezzi che ha raggiunto livelli insostenibili anche da parte dei Paesi industrializzati, distraendo importanti risorse che in molti casi sarebbero più utilmente impiegate per rispondere ad altre esigenze di salute spesso insoddisfatte o per sostenere progetti di prevenzione, fondamentali per assicurare sostenibilità al Servizio sanitario nazionale. I farmaci per Hiv-Aids, gli antitumorali biologici e gli anti epatite C sono esempi di questa escalation che determina costi di decine di migliaia di euro per ciclo terapeutico.

Diventa perciò necessario, con costi per i farmaci vicini al 20% dell'intero bilancio della sanità pubblica italiana, trovare soluzioni che siano capaci di contenere la spesa farmaceutica e al tempo stesso di mantenere l'incentivazione necessaria per favorire l'innovazione.

Un primo strumento utile in questo senso potrebbe essere rappresentato da alcune modifiche della Direttiva europea dei farmaci. Se, invece di «qualità, efficacia e sicurezza», si richiedessero «qualità, efficacia, sicurezza e valore terapeutico aggiunto», diminuirebbe straordinariamente il numero di farmaci non necessari, di cui spesso si determina la "non-inferiorità", anziché la superiorità rispetto ai farmaci già sul mercato; sarebbero invece disponibili solo farmaci che rappresentano un miglioramento rispetto all'esistente.

Inoltre, il costo per lo sviluppo di un farmaco diminuirebbe in modo logaritmico, se tutti gli studi clinici fossero condotti da enti pubblici o comunque non profit, eliminando così anche un inaccettabile conflitto di interessi.

Se tuttavia persistessero prezzi insostenibili, bisognerebbe porre mano alla modifica del sistema brevettuale. Nel caso in cui vi sia un'enorme disparità fra il costo del principio attivo e il prezzo del prodotto, come nel caso del Sofosbuvir (farmaco anti epatite C), si potrebbero permettere la fabbricazione e la vendita di prodotti generici oppure l'acquisto degli stessi da parte di Paesi che non rispettano il brevetto, abolendo di fatto solo quel particolare brevetto.

Potrebbe essere il caso dell'Italia che, avendo oltre un milione e mezzo di infettati dal virus dell'epatite C, con tutte le gravi conseguenze per la salute, dovrebbe spendere al prezzo attuale circa il 50% del suo intero bilancio pubblico per la salute per l'acquisto di un solo farmaco. La vita degli ammalati deve avere priorità rispetto a qualsiasi ragione economica e commerciale, incluso il brevetto!

Al di là di questa soluzione estrema sono state proposte altre soluzioni, come per esempio il "Premio per l'innovazione". Semplificando molto, chi porta all'approvazione delle autorità regolatorie un prodotto inteso a trattare malattie al momento non curabili, o comunque prodotti che rappresentano un progresso rispetto all'esistente, riceverebbe un premio che compensi largamente le spese sostenute e un ragionevole profitto, ma perderebbe l'esclusività. In altre parole, il prodotto potrebbe essere riprodotto da altri in regime concorrenziale. L'industria che scopre un prodotto essenziale avrebbe una ragionevole remunerazione scalata nel tempo! Ma perderebbe il monopolio sul prodotto.

Questo schema potrebbe avere molte varianti, ma rappresenterebbe certamente un freno all'escalation dei prezzi. In questo modo verrebbe aumentata la possibilità di concorrenza senza attendere, come per i prodotti dal nome generico, la scadenza del brevetto. Si manterrebbe così un'incentivazione per le scoperte che sono in grado di migliorare la salute, ma al tempo stesso il brevetto rimarrebbe valido solo fino al momento dell'ottenimento del premio.

Si è calcolato che negli Stati Uniti con un fondo per i premi di 80 miliardi di dollari, si potrebbero risparmiare ogni anno 170 miliardi di dollari (J. Love, T. Hubbard - Love Author Approved Edits, 11/28/2007). Come è noto, una viva discussione sul prezzo dei farmaci è attualmente in corso al Senato americano.

E' importante che si inizi a considerare questa ipotesi anche in Europa, lanciando un appello per trovare nuove soluzioni atte ad assicurare a tutti la disponibilità di farmaci essenziali a prezzi sostenibili per tutti i Paesi.