Europa e mondo

La prevenzione fa sostenibilità. Un modello per indicare la rotta dei prossimi decenni

di Barbara Gobbi e Lucilla Vazza

È la prevenzione il grimaldello per uscire dall’impasse crisi-cronicità-aumento della spesa. E non lo dicono le “solite” società scientifiche che con i loro decaloghi indicano la rotta della buona salute: questa volta l’indicazione arriva da un modello di micro simulazione della domanda sanitaria in Europa (Italia e altri 12 Paesi) elaborato al termine di un biennio da un gruppo di lavoro internazionale, basato su strumenti statistici ed econometrici, messo a punto dal Ceis-Tor Vergata, in collaborazione con l’Ocse e sviluppato col sostegno di Abbvie (v. testo correlato). Riuscire a prevedere l’evoluzione della spesa sanitaria nei prossimi decenni è infatti una delle sfide cruciali individuate dall’Ocse, che suggerisce ai Governi l’adozione di modelli avanzati di previsione.

Non autosufficienza e obesità sono i due grandi temi considerati. Non a caso: l’invecchiamento della popolazione - che vive più a lungo ma anche in condizioni peggiori - e il sovrappeso diventato ormai un’epidemia in tutti i Paesi ricchi sono banchi di prova per testare la sostenibilità dei sistemi sanitari. In mancanza di interventi adeguati, le prospettive non sono certo rosee: nel 2050 il 37% degli europei avrà più di 60 anni; e contemporaneamente le malattie croniche peseranno per oltre l’80% sulla spesa sanitaria. Causando 9 decessi su dieci. Mentre obesità e sovrappeso nella stragrande maggioranza dei Paesi Ue interesseranno oltre la metà della popolazione. Con ricadute drammatiche sul fronte delle malattie correlate, tra cui i “big killer” ictus e patologie cardiovascolari, ipertensione, diabete e malattie respiratorie come la Bpco.

A questa bomba che già abbiamo tra le mani senza saperla disinnescare, occorre dare risposte ragionate, dettate dall’analisi del bisogno di cura, senza perdere di vista l’obiettivo della tenuta dei conti. Di più: questa strategia, secondo gli esperti dello Steering Group che ha elaborato le stime, produrrà oltre a una salute migliore anche risparmi stellari. Curare l’obesità farà risparmiare in Europa oltre 200 miliardi di euro (per la precisione sono 227 mld) in 45 anni, grazie alle minori spese per diabete, ipertensione, ictus e cuore. Già solo intervenire sugli stili di vita porterebbe a un risparmio di 150 miliardi (sempre in 45 anni) in 13 Paesi.

L’Italia, dove la natalità è zero e l’invecchiamento galoppa, ne avrebbe molto da guadagnare. Una cura efficace dell’obesità ci farebbe risparmiare in soli 10 anni oltre 4 miliardi, che supererebbero i 26 mld nel 2037 per raggiungere il traguardo di 36 miliardi nel 2047. L’ultimo anno considerato dal modello di micro simulazione, che parte da coorti di popolazione target esaminate a partire dal 2007. La novità del modello proposto è non calare dall’alto una ricetta rigida buona per tutte le età, ma cimentarsi con analisi che tengano conto dell’evoluzione dell’esistenza delle persone, incluso l’impegno lavorativo, l’insorgere di una o più cronicità, il genere e il contesto di vita.

Ma per ottenere questi benefici - è il monito - bisogna agire subito: interventi tardivi su coorti di età troppo avanzate, soprattutto per alcune patologie come il diabete, rischiano di essere decisamente meno efficaci. Per questo il “modello” sottolinea l’importanza di un cambio di passo nella governance della salute in tutti i Paesi. Stringere la cinghia in tempi di crisi non basta più. Anzi, ha dimostrato di essere controproducente, con ricadute pessime sulla salute dei cittadini e in prospettiva con effetti boomerang sui conti pubblici. La ricetta è dunque incidere attivamente sulla domanda e non più soltanto sull’offerta di cure e servizi, come per comodità si è fatto fino a oggi anche in Italia. È la domanda che va reindirizzata promuovendo anche l’empowerment dei cittadini. Obiettivo impossibile se l’opinione pubblica non è adeguatamente informata e coinvolta. E anche qui c’è molto da lavorare.

Ma qualsiasi intervento sarà impraticabile senza dati ampi, documentati e aggiornati alla mano. Questo è il gap che tutti i Paesi sono chiamati a superare. L’Italia in questo senso ha una marcia in più: «è letteralmente seduta su un patrimonio informativo come pochi al mondo», si legge nel report. Siamo stati infatti tra i pochi a legare ogni informazione personale a un unico codice identificativo - quello fiscale - che è in possesso di tutti i cittadini. Un vantaggio che andrebbe sfruttato fin da subito per impostare interventi concreti sulle popolazioni a rischio.

Barbara Gobbi

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