Europa e mondo

L’Oms: mortalità materna a -44% tra 1990 e 2015. Ma resta la piaga nei Pvs. Italia best practice con 4 decessi ogni 100mila nascite

di Licia Caprara

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24 Esclusivo per Sanità24

Morire di parto. Wncora. Mentre nei Paesi sviluppati la cultura sanitaria e l'evoluzione delle tecnologie fanno ormai scudo alla salute e alla vita delle mamme, c'è un pezzo di mondo dove il desiderio di maternità viene pagato a un prezzo altissimo. A raccontare uno scenario così devastato non sono cronisti in cerca di scoop facili nel Sud della Terra, ma l'ultimo rapporto globale sulla mortalità materna dell'Organizzazione mondiale della Sanità, presentato oggi all’Istituto superiore di Sanità, a Roma. Sono 11 milioni, a livello globale, le donne che negli ultimi 25 anni hanno perso la vita nel dare alla luce il loro bambino o per complicanze insorte durante la gravidanza. Ma, come per tutte le cose, esiste anche una lettura in controluce, e racconta un progresso, perché descrive una riduzione del 44% della mortalità materna, passata dalle 532 mila vittime del 1990 alle 303 mila di quest'anno, con un rapporto globale stimato di 216 morti ogni 100 mila nascite, in netto calo rispetto al 1990 quando si attestava a 385. Il trend viene confermato in pieno anche in Italia, dove la riduzione della mortalità materna è stata drastica, al punto da collocarla nella top ten mondiale dei Paesi con i tassi più bassi, che parlano di 4 mamme decedute ogni 100 mila nascite, in linea con le migliori esperienze al mondo rappresentate da Francia, Inghilterra, Germania e Stati Uniti.
Un risultato che premia il nostro sistema di sorveglianza, come mette in evidenza il Presidente Iss Walter Ricciardi, «e ne fa un modello per tutto il Sud dell'Europa, basato sull'aggiornamento continuo dei professonisti sanitari e la razionalizzazione dell'assistenza al fine di prevenire le morti evitabili».

La formazione, dunque, rappresenta uno degli strumenti su cui investire per qualificare ostetriche e operatori sanitari, soprattutto negli Stati con un tasso di mortalità materna ancora elevato. Parliamo dei Paesi in via di sviluppo, dove si concentra il 99% delle morti materne di tutto il mondo, con il 66% dei casi nella sola Africa sub sahariana, nonostante si sia comunque registrato un miglioramento importante con il 44% di morti materne in meno dal 1990 ad oggi, passando da 987 a 546 ogni 100 mila donne. Il miglior risultato per la salute delle mamme, invece, lo ha conquistato l'Asia orientale, con il tasso di mortalità sceso drasticamente del 72%. Tanto per avere un'idea, nelle regioni sviluppate, è sceso del 48% tra il 1990 e il 2015 (passando da 23 a 12 casi ogni 100 000). Ma l'asticella del miglioramento di questo dato di salute è posizionata ben più in alto, perché l'obiettivo fissato era la riduzione almeno del 75% entro il 2015, conseguita solo da nove Paesi, Bhutan, Capo Verde, Cambogia, Iran, Repubblica popolare del Laos, Maldive, Mongolia, Ruanda e Timor Est. Ma, ciò nonostante, in alcuni di essi l'incidenza dei decessi delle mamme resta superiore alla media globale. «Come accade con tutti gli Obiettivi di sviluppo del millennio riferiti alla salute - mette in evidenza Flavia Bustreo, vice Direttore Generale, Salute della Famiglia, delle Donne e dei Bambini dell'Oms - il rafforzamento del sistema sanitario deve essere integrato ad altre azioni per ridurre la mortalità materna. L'educazione delle donne e delle ragazze, in particolare di coloro che vivono ai margini della società, è la chiave per la sopravvivenza loro e dei figli. L'istruzione è l'unica leva che fornisce le conoscenze base per cambiare pratiche tradizionali che mettono in pericolo la vita delle mamme e dei bambini».

I progressi ottenuti sino ad ora sono dovuti, in parte, a un migliore accesso agli interventi semplici, ma efficaci, come l'assistenza prima, durante e immediatamente dopo il parto. Detta così sembra una banalità, perché nelle società più avanzate la riteniamo un dato acquisito, una sorta di “dotazione assistenziale di base” che accompagna l'evento nascita, mentre in molti altri Paesi restano ancora un diritto da conquistare l' assistenza qualificata durante la gravidanza e al momento della nascita, per ridurre il rischio di infezione, o la somministrazione di ossitocina subito dopo il parto contro le emorragie. Non è un caso che la mortalità materna sia molto accentuata in Paesi cosiddetti “fragili”, a causa di conflitti, catastrofi naturali legati a cambiamenti climatici importanti, epidemie: un esempio ne è la Sierra Leone, con il più alto tasso al mondo.

Il rapporto, condotto in collaborazione con Unicef, Unfpa, Banca Mondiale e Divisione Popolazione delle Nazioni Unite, ha fatto luce sul perché ancora si muore di parto: «Sappiamo come intervenire proprio perché abbiamo chiare le cause - precisa Flavia Bustreo - : ostruzioni che richiederebbero un taglio cesareo che non viene praticato perché costoso, emorragie che potrebbero essere contrastate con trasfusioni di sangue, infezioni da agenti patogeni e sepsi determinate da parto avvenuto in condizioni igienico-sanitarie non accurate. E ancora: un terzo delle morti sono determinate da cause non ostetriche, e dall'impatto di malattie non trasmissibili come diabete, ipertensione, obesità. E' importante, dunque, indirizzarsi su tutti questi fattori per migliorare i risultati già raggiunti in tema di riduzione della mortalità materna, che tra tutti gli Obiettivi di sviluppi del millennio è quello che ha fatto meno progressi, e resta dunque una priorità in agenda». La sfida, dunque, è impegnativa, ambiziosa ma “possibile”, e passa per un binomio semplice semplice: “end 2030”. Vuol dire tra 15 anni mai più una mamma che muore di parto.


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