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Report Ue-Ocse: l’Italia arranca negli investimenti ma brilla per aspettativa di vita

di Ernesto Diffidenti

La spesa sanitaria italiana rappresenta il 9,1% del Pil italiano, meno della media dell’Unione europea di 9,9%, e significativamente inferiore rispetto alla Germania (11,1%), Svezia (11,1%) e Francia (11%). Più di tre quarti (76%) della spesa sanitaria in Italia sono finanziati pubblicamente, poco meno della media europea (79%). E’ quanto emerge dallo studio Commissione-Ocse sulla salute nella Ue “Health at a glance: Europe 2016”, presentato oggi a Bruxelles dal commissario europeo alla Salute e sicurezza alimentare, Vytenis Andriukaitis, e dal segretario generale dell’Ocse, Angel Gurrìa.

Secondo il report l’aspettativa di vita aumenta in tutta Europa, tuttavia, i sistemi sanitari del continente dovrebbero dedicare più risorse alla prevenzione, riducendo il ricorso all'ospedalizzazione e razionalizzando la spesa farmaceutica grazie ai farmaci generici.

Ridurre le diseguaglianze nell’accesso all’assistenza sanitaria
«Ogni anno nella Ue molte persone muoiono a causa di malattie potenzialmente evitabili - ha detto Andriukaitis - che sono collegate a fattori di rischio quali tabagismo od obesità». Secondo Gurrìa, si deve «fare di più per ridurre le diseguaglianze in termini di accesso all'assistenza sanitaria e destinare risorse verso settori che hanno il maggior impatto sui
risultati in campo sanitario, inclusa la prevenzione».

Secondo il rapporto, dunque, la Ue ha bisogno di sistemi sanitari più accessibili: il 27% dei pazienti si reca al Pronto soccorso, a causa della mancanza di cure mediche di base; in media il 15% della spesa sanitaria è pagato direttamente dai pazienti, con grandi disparità tra i diversi Paesi. Non solo: un europeo povero ha dieci volte più probabilità, rispetto ad un europeo benestante, di avere problemi nell’ottenere cure mediche appropriate, per ragioni finanziarie.

L’invecchiamento della popolazione, insieme ai crescenti tassi di malati cronici e alle ristrettezze di bilancio, richiederanno cambiamenti, secondo il rapporto, nel modo in cui vengono erogate le cure: bisognerà sviluppare l'assistenza sanitaria a distanza, ridurre la permanenza in ospedale organizzando meglio i servizi, spendere in modo accorto per i farmaci, anche sfruttando appieno la possibilità di ricorrere ai generici.

Italia seconda in Europa per aspettativa di vita
In ogni caso l’aspettativa di vita ormai supera gli 80 anni nella maggior parte dei Paesi Ue. La media italiana rimane la seconda più alta in Europa, dopo la Spagna. L’aspettativa di vita alla nascita ha raggiunto 83,2 anni nel 2014, maggiore di oltre due anni rispetto media europea (80,9 anni). Grazie anche, secondo l’Ocse, a una «buona qualità di assistenza sanitaria» soprattutto nei casi potenzialmente letali. La conferma, in questo senso, arriva dal tasso di mortalità a seguito di un ricovero ospedaliero per infarti e ictus che si è significativamente ridotto in Italia, ed è fra i più bassi in Ue nel 2013.

In ogni caso l’Ocse sollecita «ulteriori sforzi» per aumentare la proporzione di farmaci generici e ridurre il numero di prescrizioni per antibiotici. Secondo il rapporto la quota del mercato dei farmaci generici in Italia rimane relativamente bassa, rappresentando il 18% del volume del consumo farmaceutico totale (per un valore di 9%) nel 2014, rispetto a una media Ue del 52% (24% in valore). «L’offerta di incentivi finanziari per medici, farmacisti e pazienti che prescrivono o acquistano farmaci generici - avverto lo studio - potrebbe aumentare la percentuale di tali farmaci sul totale del mercato».

Cresce il consumo di antibiotici
«L’insuccesso degli sforzi volti a ridurre la prescrizione di antibiotici in Italia nell'ultimo decennio è preoccupante», aggiunge l’Ocse. Il consumo di antibiotici in Italia, infatti, nel 2014 è stata superiore del 25% alla media europea (il quinto consumo più alto). «L’uso eccessivo di antibiotici - conclude l’Ocse - è un problema sempre più prominente nella sanità pubblica in Italia e in altri paesi, perché aumenta la diffusione di ceppi batterici resistenti, che a sua volta riduce l’efficacia di terapie convenzionali, risultando in periodi di malattia protratti, maggiore rischio di decesso, e costi più alti».


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