Focus Fibrillazione Atriale

Fibrillazione atriale: pazienti in aumento, priorità alla prevenzione

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La Fibrillazione Atriale

La Fibrillazione Atriale (FA) è il tipo più frequente di aritmia cardiaca cronica.

La prevalenza della FA, attualmente pari all’1,5-2% della popolazione generale (ma al di sopra degli 85 anni interessa quasi una persona su cinque) è destinata ad aumentare notevolemente, passando da 6,3 milioni nel 2007 a 7,5 milioni nel 2017.  Le condizioni predisponenti o che favoriscono la progressione della malattia sono: ipertensione arteriosa, obesità, diabete mellito, insufficienza renale cronica, ipertiroidismo e tutte le malattie cardiache organiche (cardiopatie congenite, coronaropatia, malattie valvolari, scompenso cardiaco). Inoltre possono favorire la FA l’abuso di alcol, droghe e caffeina. In molti casi comunque, la FA si manifesta in assenza di fattori predisponenti.

Fibrillazione atriale e ictus

In Italia, sono circa 1 milione le persone con FA, aritmia che è la causa di circa il 20% degli ictus ischemici. I dati, però, non tengono conto di tutti quei pazienti colpiti da episodi FA asintomatica.

Chi è affetto da FA vede aumentare da 4 a 9 volte, a seconda dell’età, il rischio di ictus tromboembolico, che risulta in genere molto grave e invalidante; infatti, l’ictus causato da FA tende ad essere più grave perché l’embolo che parte dal cuore chiude arterie di calibro maggiore, con un danno ischemico a porzioni più estese di cervello. Questa forma di ictus determina una mortalità del 30% entro i primi tre mesi dall’evento e lascia esiti invalidanti in almeno il 50% dei pazienti.

È di fondamentale importanza ‘intercettare’ più rapidamente possibile i pazienti con FA.

Una volta fatta la diagnosi, il passaggio successivo consiste nello stabilire la necessità l’opportunità di una terapia anticoagulante per ridurre il rischio d’ictus e nell’identificare cause predisponenti sottostanti che spesso necessitano di cure specifiche.

Le opzioni terapeutiche

La gestione della FA mira a ridurre i sintomi e il rischio di gravi complicanze ad essa associate, come appunto l’ictus. Ad oggi tuttavia si calcola che circa il 30-40% di pazienti affetti da FA in Italia non riceva un trattamento adeguato, nonostante siano da tempo disponibili soluzioni terapeutiche in grado di trattare in maniera efficace, sicura e agevole questa patologia.

I farmaci di vecchia generazione, molto efficaci nella riduzione del rischio di ictus (di circa il 60%), richiedono un continuo monitoraggio dell’azione anticoagulante mediante regolari esami del sangue. Chi assume il farmaco deve anche prestare attenzione alle sue interazioni con alcuni alimenti o altre sostanze che ne aumentano o riducono l’effetto.

La nuova generazione degli anticoagulanti orali (NAO) che, rispetto ai vecchi farmaci, presentano una serie di vantaggi: conservano solo poche interazioni con altri farmaci, non presentano interferenze con gli alimenti, ma soprattutto hanno una grande praticità d’uso, considerando che non è necessario ricorrere al dosaggio dei parametri della coagulazione per regolarne la posologia. Tutto questo determina una maggiore aderenza alla cura rispetto al passato.

Nonostante questo, esistevano fino a pochissimo tempo fa ancora alcune preoccupazioni riguardo l’utilizzo di questi farmaci, per la mancanza di soluzioni in caso di emergenza.

Tutti i farmaci anticoagulanti rendono il sangue più fluido impedendo la formazione di coaguli, che possono portare ad ictus, ma, proprio per questa caratteristica, possono aumentare il rischio di sanguinamento rendendo il paziente “scoagulato”.

In situazioni di emergenza (es. incidente stradale, chirurgia d’urgenza) potrebbe, quindi, essere necessario bloccare l’attività anticoagulante immediatamente. Se un anticoagulante dispone di un farmaco che blocca rapidamente la sua azione si parla di “scoagulazione reversibile”, che si protrae per il tempo sufficiente a gestire l’emergenza in corso, mostrando un buon profilo di sicurezza.

I Nuovi Anticoagulanti Orali hanno assunto un ruolo sempre più strategico nella prevenzione di eventi tromboembolici nelle persone a rischio: si sono dimostrati efficaci almeno tanto quanto warfarin, ma sono più facili da gestire e danno un numero inferiore di sanguinamenti. La scoagulazione reversibile completa il profilo di sicurezza di un anticoagulante permettendo al paziente di vivere serenamente la propria vita.

Il recente Rapporto Osmed 2017, h adivulgato per la prima volta l'analisi dei dati dei registri relativi all'indicazione nella prevenzione dell'ictus e dell'embolia sistemica nei pazienti adulti affetti da fibrillazione atriale non valvolare (FANV), con uno o più fattori di rischio.
L'analisi permette di ricavare molte informazioni utili circa il numero di pazienti fino ad oggi trattati, le caratteristiche demografiche.
L'età mediana dei soggetti in trattamento con questi farmaci è pari a 78 anni (range 18-106) con la presenza anche di pazienti ultracentenari.
I dati del registro hanno permesso quindi di effettuare una lettura in real world, infatti grazie a questo interessante strumento al 31 dicembre 2017 risultano avviati al trattamento con i NAO complessivamente 725.690 pazienti, 225.4507 con apixaban, 47.397 con edoxaban, 207.252 con dabigratan e 240.584 con rivaroxaban.

Riguardo le comorbidità presenti al basale, l'86,48% di pazienti trattati con i nuovi anticoagulanti orali è risultato affetto da ipertensione arteriosa, il 28,85% da scompenso cardiaco/disfunzione ventricolare sinistra, il 27,1% da malattie vascolari, il 19,86% da diabete mellito. Si evidenzia come il 18,29% presenta un pregresso ictus e l'11,5% ha una storia di sanguinamento.
Secondo il rapporto "la distribuzione regionale dei pazienti trattati per regione evidenzia che il 37,7% dei soggetti in trattamento con NAO è distribuito in 3 regioni italiane, Lombardia, Campania e Lazio, che sono anche le prime tre regioni con più alto numero di residenti.


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