Sentenze

Consulta: illegittimi i tagli agli stipendi dei dipendenti pubblici. Fp Cgil: «La decisione va applicata anche a 10mila medici Ssn»

No ai tagli previsti dal decreto legge sulla manovra economica 2011-2012 per i dipendenti pubblici con stipendi superiori ai 90 mila euro lordi (-5% per la parte eccedente questo importo) e 150 mila euro (-10%). A deciderlo è la Corte costituzionale, con una sentenza depositata oggi. Pronto il commento della Fp Cgil: «La decisione va applicata anche agli oltre 10mila medici che hanno visto decurtata la retribuzione già dal 2011».

Il decreto legge n. 78 del 2010, convertito in legge, che detta «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», stabilisce - nella parte censurata dalla Consulta - che «in considerazione della eccezionalità della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1 gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti» delle amministrazioni pubbliche «superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonchè del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro».

Secondo la Consulta questa parte della norma è incostituzionale perchè, come hanno sostenuto i vari Tar che hanno investito della questione la Corte, non consiste in una mera riduzione del trattamento economico, ma introduce un vero e proprio prelievo tributario a carico dei soli dipendenti pubblici. Qui non si è in presenza, infatti, semplicemente di una «modificazione (peraltro unilaterale) del contenuto del rapporto di lavoro» affermano i giudici, ma sicuramente di un tributo, cioè di «un prelievo a carico del dipendente pubblico», stabilito «in via autoritativa», il cui ricavato è destinato al bilancio dello Stato, con l'obiettivo finale di raggiungere «la diminuzione del debito pubblico».

La Corte costituzionale conclude che «la normativa non può considerarsi una riduzione delle retribuzioni, come sostiene l'Avvocatura dello Stato», ma è «un'imposta speciale prevista nei confronti dei soli pubblici dipendenti». E questo «viola il principio della parità di prelievo a parità di presupposto d'imposta», poichè «il prelievo è ingiustificatamente limitato ai soli dipendenti pubblici».

A questo riguardo la Consulta nota anche che il risultato sul bilancio «avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole per lo Stato laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarietà economica, anche modulando diversamente un 'universalè intervento impositivo. L'eccezionalità della situazione economica che lo Stato deve affrontare è, infatti - scrivono i giudici - suscettibile senza dubbio di consentire al legislatore anche il ricorso a strumenti eccezionali... Tuttavia, è compito dello Stato garantire, anche in queste condizioni, il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, il quale, certo, non è indifferente alla realtà economica e finanziaria, ma con altrettanta certezza non può consentire deroghe al principio di uguaglianza».

In conclusione, afferma la Consulta, «il tributo imposto determina un irragionevole effetto discriminatorio».

La Fp Cgil esulta e chiede di trarre le dovute conseguenze dalla sentenza. «I medici pubblici, che da anni subiscono il blocco dei contratti e delle retribuzioni come tutto il lavoro pubblico, hanno sempre fatto la loro parte e comprendono la difficoltà affrontata dal Paese e dai cittadini, ma non possono accettare sempre e solo scelte punitive», spiega il sindacato. «Adesso si elimini subito la prosecuzione del taglio, annunciata nel Disegno di Legge di stabilità fino al 2014, e si restituiscano le somme indebitamente sottratte. Lo avevamo detto. Finalmente abbiamo avuto ragione. Le trattenute non possono ricadere solo su chi lavora nei servizi pubblici, mentre i liberi professionisti e i dirigenti privati, in modo discriminatorio, ne sono esenti».