Sentenze

Il paziente muore in ambulanza. La Asl non è tenuta a produrre le linee guida del 118

di Flavia Landolfi

«La domanda di accesso ai documenti delle aziende sanitarie «non può comportare la necessità di un'attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta». E ancora: «L'ostensione degli atti non può essere uno strumento di controllo generalizzato sull'operato della pubblica amministrazione ovvero del gestore di pubblico servizio nei cui confronti l'accesso viene esercitato». Lo ha stabilito il Consiglio di Stato in una sentenza depositata il 25 ottobre scorso (n.5099/2013) che si incarica di stabilire i confini tra il legittimo diritto di accesso ai documenti della Pa e l'autonomia di organizzazione e gestione del servizio di pronto intervento.

La vicenda. Il caso è stato sollevato dalla partente di un paziente deceduto in ambulanza poco dopo la richiesta di intervento al 118 che aveva richiesto copia della documentazione necessaria per valutare se l'intervento fosse stato improntato alla massima diligenza, prudenza e perizia professionale. In sostanza se gli operatori del 118 avessero commesso - o meno - qualche errore nella gestione del malato. Ma secondo la ricorrente l'Asp di Vibo Valentia non aveva prodotto tutti documenti necessari (tra cui il protocollo operativo del 118, le linee guida per gli interventi di urgenza, i protocolli sulle modalità di conservazione di dati, tracciati e registrazioni) «tenendo un comportamento ostruzionistico». Il Tar Calabria, consultato in primo grado aveva respinto questa ipotesi, decisione confermata adesso anche dai giudici dell'appello.

La decisione. Secondo il dispositivo di Palazzo Spada, infatti, il ricorso va respinto in quanto «l'ostensione dei protocolli richiesto dalla ricorrente, configuri una richiesta che non ha ad oggetto la specifica vicenda che ha riguardato il defunto fratello, ma l'osservanza, da parte dell'Azienda Sanitaria appellata, dei generali criteri operativi del 118 previsti per la Regione Calabria, le modalità di conservazione dei dati dei tracciati e delle registrazioni, le linee guida interne utilizzate in caso di rianimazione cardio-polmonare per arresto cardiaco extra-ospedaliero». E questo sposterebbe quindi il legittimo interesse a conoscere i dettagli del caso su un piano diverso. «In questo modo - proseguono i giudici infatti - l'interesse della ricorrente non è più quello di sapere che cosa sia successo nella specifica vicenda, purtroppo conclusasi con l'exitus del congiunto, bensì come l'Azienda Sanitaria operi, generalmente, in rapporto a determinati eventi. Sicché la richiesta, per la sua genericità, diviene un modo per esercitare un ampio controllo sull'operato dell'Azienda, finendo per richiedere all'Amministrazione non di fornire informazioni in suo possesso, ma di dare spiegazioni, se non giustificazioni, circa il proprio modus operandi, anche mediante l'elaborazione di dati molteplici, innumerevoli e complessi».
Ma non solo: i giudici stabiliscono anche che l'amministrazione non sia tenuta a un'elaborazione ex novo di dati non disponibili nella forma richiesta perché «il rimedio dell'accesso non può essere utilizzato per indurre o costringere l'Amministrazione a formare atti nuovi, rispetto ai documenti amministrativi già esistenti, ovvero a compiere un'attività di elaborazione di dati e documenti, potendo essere invocato esclusivamente al fine di ottenere il rilascio di copie di documenti già formati e materialmente esistenti presso gli archivi dell'Amministrazione (Cons. St., sez. IV, 30.11.2010, n. 8359)».