Sentenze

Cassazione: spese legali, il rimborso per il (medico) dipendente non è scontato

di Paola Ferrari

Il dipendente dell'azienda sanitaria locale ha diritto al rimborso delle spese legali sostenute per difendersi in un processo penale per ragioni del proprio ufficio, a condizione che l'azienda sia stata informata immediatamente della contestazione.

È questa la motivazione con la quale la sezione Lavoro della Cassazione, con la sentenza n. 4978/2014, depositata il 4 marzo, ha respinto il ricorso proposto da un dirigente che si era visto negare dalla Corte d'appello di Reggio Calabria il rimborso in quanto tardivamente richiesto.

L'azienda - ricordano i Supremi Giudici - ha l'onere di far assistere il dipendente da un legale fin dall'inizio del procedimento e per tutti i gradi di giudizio, assumendo le spese e comunicando al dipendente il nominativo del legale per ottenere il suo gradimento. Tali ultime disposizioni presuppongono però che l'azienda sia stata informata dell'esistenza del giudizio, che sia stata portata a conoscenza dal dipendente della propria volontà di ottenere l'assistenza legale e che abbia nominato un difensore.
Le norme contrattuali consentono che il funzionario respinga il professionista indicato dalla Asl e nomini un legale di propria fiducia, nel qual caso potrà chiedere il rimborso delle spese sostenute entro il limite di quanto l'azienda avrebbe dovuto corrispondere a un legale da essa stessa nominato.

Nulla osta, quindi, che nei propri regolamenti, le aziende indichino un termine entro il quale il lavoratore ha l'onere di informarle dell'esistenza del procedimento penale e della volontà di godere dell'assistenza legale, dal momento che devono seguire dei vincoli di bilancio e un obbligo di programmazione della spesa. In altre parole, la formulazione della norma regolamentare è un corretto bilanciamento dell'interesse al contenimento della spesa e dell'interesse del dipendente a non sostenere le spese legali e sul piano giuridico impone di qualificare l'onere di informazione preventiva come perentorio.

La ricostruzione giuridica, secondo la Cassazione, trova fondamento nell'art. 25 del Ccnl 1998-2001 dell'area della dirigenza medica e veterinaria del Servizio sanitario nazionale, stipulato in data 8 giugno 2000 (rimasto immutato nei contratti successivi), il quale prevede che l'azienda, verificata l'assenza di conflitto di interesse, assuma a proprio carico la difesa del dirigente (art. 25) o genericamente del dipendente (art. 26) per i giudizi amministrativi, civili o penali riconnessi all'espletamento del servizio e all'adempimento dei compiti di ufficio. Le stesse disposizioni prevedono che gli oneri della difesa, in caso di assoluzione, siano a carico dell'azienda se il dipendente è stato assistito da un legale da essa prescelto o nel caso di legale di fiducia nei limiti del costo preventivato.

A completezza, è opportuno indicare il precedente costituito dalla sentenza della Corte dei Conti n. 106/2004 che ha individuato un ulteriore limite nell'esistenza di fatti che non costituiscano conflitto d'interessi. Il Tar del Veneto, nel precedente costituito dalla sentenza n. 3712/03, chiarì che nel caso in cui un dipendente con posizione giudicata originariamente in conflitto di interessi con l'azienda sia stato poi assolto dal giudice (assoluzione che, quindi, comporta l'eliminazione, ancorché ex post, dell'originaria posizione di incompatibilità) ha diritto al rimborso che, in mancanza di parametri tariffari prestabiliti (che, comunque, non possono prevedere costi inferiori ai minimi di tariffa), andrà effettuato alla stregua della fattura emanata dal professionista e, se del caso, previa liquidazione da parte dell'Ordine.