Sentenze

Cassazione: la sola presenza in servizio non genera la colpa del medico

di Manuela Perrone

Dopo la quarta sezione penale (VEDI ) tocca alla terza sezione civile della Cassazione ammonire i giudici di merito: i medici non possono essere condannati per la mera presenza in servizio nel momento in cui si verifica un errore o un danno al paziente. La responsabilità va accertata e motivata.

Con la sentenza n. 8284/2014, depositata il 9 aprile, la Suprema Corte ha accolto il ricorso di un ginecologo di una Asl siciliana, annullando con rinvio una pronuncia della Corte d'appello di Palermo.

Il camice bianco, assistente ospedaliero, era stato condannato prima dal tribunale di Sciacca e poi dai giudici di secondo grado a risarcire, in solido con il primario, i danni subiti da una bimba per il ritardo nell'esecuzione di un cesareo e l'omissione di accertamenti sullo stato del feto per le 16 ore intercorse tra il ricovero della madre e la nascita. In particolare la Corte di merito aveva riconosciuto che il primario, in quanto ginecologo di fiducia della donna, aveva seguito privatamente l'intera gravidanza e anche la visita iniziale della paziente subito dopo il suo arrivo in ospedale. Ma all'assistente ospedaliero i giudici d'appello avevano contestato di aver contribuito, con la sua condotta colposa, «alla causazione dell'evento dannoso». «Risulta infatti - recita la sentenza d'appello - che il C. era presente al momento del ricovero della T. e che lo stesso ha anche redatto, quantomeno parzialmente, la cartella clinica».

Troppo poco - rileva ora la Cassazione, cui il medico si è rivolto - per affermare la sua responsabilità. «Queste circostanze - spiega la Suprema Corte - in difetto di un adeguato contributo motivazionale sulla loro rilevanza causale non possono deporre sic et simpliciter per un riconoscimento di responsabilità».

Bando agli automatismi e alle deduzioni, insomma, come ha già fatto notare anche la quarta sezione penale. Nel caso del ginecologo siciliano i giudici di merito non spiegano «le ragioni per le quali queste circostanze abbiano integrato la negligenza addebitata, specie se si considera, come la Corte fa, che le scelte mediche furono effettuate dal primario».
È vero che il fatto che la donna fosse paziente del primario - precisa la Cassazione - non avrebbe esonerato il medico dal dover esprimere il proprio motivato dissenso basato sulla necessaria diligenza e perizia, ma la sua sola presenza in ospedale al momento dell'arrivo della paziente «non è di per sé sufficiente a integrare il profilo di responsabilità addebitata». Anche perché la Corte d'appello non ha chiarito neppure le tempistiche adottate dal momento del ricovero e quali reali contatti abbia avuto la donna con l'assistente.

È quindi ravvisabile «un gap motivazionale» sul contributo colposo del medico. Spetta ora al giudice del rinvio fare chiarezza.