Sentenze

Cassazione, casa di cura e riposo abusiva sotto sequestro: non vale chiedere l'autorizzazione dopo l'avvio dell'attività

di Paola Ferrari

Non vale richiedere l'autorizzazione successiva per una casa di cura abusiva per far venire meno il sequestro disposto dall'autorità giudiziaria. Con questa motivazione la Cassazione penale, sezione II, con sentenza n. 17923/2014, depositata il 29 aprile, ha "promosso" il provvedimento del giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Agrigento con cui era stato confermato il sequestro disposto in via d'urgenza dalla polizia giudiziaria di una comune abitazione adibita a casa di cura e riposo per anziani ma priva delle necessarie autorizzazioni regionali, nonché di oltre trecento scatole di medicinali, alcuni anche scaduti, utilizzati per la cura dei degenti. L'ipotesi di reato a carico del responsabile della struttura assistenziale non autorizzata era quello di esercizio abusivo della professione medica.

Sulla qualificazione di attività sanitaria, la Cassazione ha ribadito, richiamando copiosa giurisprudenza, che la normativa di riferimento è l'articolo 193 del Rd 1265/1934, secondo il quale coloro che intendono mantenere in esercizio ambulatori, case o istituti di cura medico-chirurgica o di assistenza ostetrica, gabinetti di analisi per il pubblico a scopo di accertamento diagnostico, case o pensioni per gestanti necessitano di una speciale autorizzazione comunale. Intendendo per struttura sanitaria quelle caratterizzate da una minima organizzazione di mezzi e persone diretta al fine di gestire l'attività sanitaria (Cass., Sez. 3, n. 1345/1998). Ne consegue che il controllo dell'idoneità degli esercenti e delle strutture all'esercizio di attività sanitarie è obbligatorio, tramite l'autorizzazione, nelle diverse ipotesi in cui l'attività sia svolta con finalità speculative e non istituzionali da operatori privati e, comunque, non facenti parte dell'apparato sanitario pubblico (Cass., Sez. 3, n. 29509/2002).

La difesa del proprietario della struttura ha insistito nel qualificare la struttura come una semplice abitazione privata, il che contrastava con il fatto che nella casa erano «ospitate n. 11 persone (...) in vari ambienti». Inoltre, si è evidenziato come non risultasse sussistere alcun vincolo di parentela tra l'indagata e i suoi ospiti, tale da giustificare un'attività di assistenza su base familiare, né poteva essere considerata come circostanza idonea a escludere la materialità del reato l'avvenuta presentazione - intervenuta dopo il sequestro - dell'istanza di iscrizione all'albo comunale.