Sentenze

Corte europea dei diritti umani: legittimo lo stop a Stamina

Bene ha fatto il tribunale di Udine a rifiutare l'accesso al metodo Stamina chiesto dai genitori di una donna affetta sin dall'adolescenza da una malattia degenerativa del cervello. A giudicare legittimo il "no" al trattamento è la Corte europea dei diritti umani, in una decisione pubblicata oggi.

La sentenza di Strasburgo
Il ricorso era stato presentato dal padre della donna, Nivio Durisotto, secondo cui la pronuncia del tribunale italiano ha leso il diritto alla vita della paziente e quello al rispetto della vita privata. Inoltre, per il ricorrente, la sentenza italiana è stata discriminatoria, perché in altri casi simili a quello di sua figlia i tribunali hanno autorizzato l'uso del metodo.

I giudici di Strasburgo non sono d'accordo. A loro avviso, non è stato leso alcun diritto della donna: nel rifiutare l'accesso al metodo Stamina il tribunale di Udine ha «dato ragioni sufficienti» pervenendo a una Decisione nient'affatto arbitraria. L'alt è stato imposto sulla base del decreto legge 24/2013, che regola l'accesso al metodo Stamina e Stabilisce che al metodo possono avere accesso soltanto i pazienti che hanno iniziato la cura prima dell'entrata in vigore della nuova legge.
«A oggi - sottolinea la Corte europea - il valore terapeutico del metodo Stamina non è stato provato scientificamente». E il decreto legge «persegue il giusto obiettivo di proteggere la salute dei cittadini».

La sentenza arriva proprio mentre il tribunale di Ragusa ha imposto il metodo Stamina nei confronti di una bambina di Modica di due anni e otto mesi, affetta dal morbo di Niemann Pick. Il giudice del lavoro Gaetano Di Martino ha accolto il ricorso dei genitori e dato cinque giorni di tempo agli Spedali Civili di Brescia per trovare un medico che possa applicare alla piccola la cura Vannoni.

De Biasi (Senato): il ministero blocchi le infusioni
Immediato il commento della presidente della commissione Sanità del Senato, Emilia Grazia De Biasi, che oggi ha audito il Comitato nazionale di bioetica proprio nell'ambito dell'indagine conoscitiva su Stamina: «La sentenza di Strasburgo ci aiuta a fare chiarezza perché finalmente si scinde l'inevitabilità della cura dalla richiesta del paziente. Rimane, inoltre, un precedente importante nella valutazione complessiva dell'operato di alcuni magistrati, che audiremo prossimamente». De Biasi ha annunciato che l'indagine si chiuderà entro l'estate. E ha sollecitato «un atto ufficiale del ministero della Salute che sospenda le infusioni fino alla conclusione del lavoro del secondo comitato scientifico».

A chiedere con forza «un'ordinanza di blocco che metta fine al far west giuridico» è anche l'associazione Luca Coscioni: per il segretario Filomena Gallo e il consigliere generale Gilberto Corbellini, storico della medicina e docente di bioetica alla Sapienza, il dicastero deve tenere in considerazione le motivazioni «di grande valore» fornite dalla Corte di Strasburgo.

Il Cnb: quadro normativo ambiguo crea vuoti di tutela
Salvatore Amato, ordinario di filosofia del diritto all'Università di Catania e membro del Comitato nazionale di bioetica, ha comunicato ai senatori che il Cnb sta scrivendo un documento sulle cure compassionevoli. Sulla vicenda in senso stretto ha evidenziato un problema di «governance delle situazioni critiche». «Purtroppo - ha osservato - nel nostro Paese non abbiamo un quadro normativo chiaro ma abbiamo una legislazione che deriva da una sovrapposizione che deriva da fonti eterogenee, che determina vuoti sia di tutela del cittadino che di regolamentazione».

E ancora: «Un ordinamento giuridico che vuole tutelare la speranza deve controllare a chi e come un soggetto si affida per le proprie cure. Questo è purtroppo quello che è venuto meno nel caso Stamina». Con l'intervento di soggetti diversi (Aifa, ministero della Salute, singolo magistrato), «ognuno dal proprio punto di vista, mentre sarebbe necessaria una visione generale e complessiva in un quadro normativo chiaro». In questa situazione, già complessa, «intervengono i giudici che guardano al fenomeno da un'ottica particolare e tendono a privilegiare il diritto soggettivo in nome del diritto alla speranza, non potendo da soli valutare in che modo equilibrare il diritto del singolo con le esigenze del Ssn».
L'emanazione dell'autorizzazione alla sperimentazione del metodo da parte del ministero della Salute, inoltre, «ha permesso ai giudici di aggirare il problema della scientificità del metodo perché si sono appellati
all'autorizzazione ministeriale».