Sentenze

Cassazione, foto anatomiche e limiti d'uso

di Paola Ferrari

Il medico che ha ricevuto dal paziente un consenso all'uso scientifico di fotografie anatomiche non può farne altro uso. Nemmeno per difendersi in un giudizio se non risultano pertinenti per il decidere. L'articolo 26 del Dlgs 196/2003 (Codice privacy) stabilisce al comma 4, punto c) che i dati sensibili possono essere oggetto di trattamento quando, tra l'altro, «è necessario (...) per far valere o difendere in sede giudiziaria un diritto, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento». Al di fuori da quello stretto ambito non è ammessa la pubblicazione o diffusione, anche se la parte anatomica non permette di riconoscere la persona, e una produzione non coerente legittima il paziente a chiedere il risarcimento del danno. Questa è l'opinione della terza sezione della Cassazione che, con sentenza 19172/2014 depositata il 15 settembre, ha confermato la condanna al risarcimento del danno nei confronti del medico e del suo avvocato.

Il fatto. Nella fattispecie, la paziente, sempre rivolgendosi allo stesso sanitario, si sottopose in un primo tempo a intervento di mastoplastica additiva e successivamente a un intervento di addominoplastica al quale seguì un'azione per risarcimento del danno da responsabilità medica. Il medico e il suo avvocato produssero le fotografie a seno nudo della paziente, scattate anteriormente al primo intervento, rispetto alle quali la paziente aveva autorizzato la pubblicazione ai soli fini scientifici. Il giudice ritenne irrilevanti queste foto e ne ordinò lo stralcio, ma la paziente non si accontentò e propose azione per il risarcimento di danni non patrimoniali.
Secondo i professionisti, la produzione in un giudizio costituiva la scriminante individuata dal Dlgs 196/2003, art. 8, comma 2, lett. e), per cui la produzione in atti processuali delle fotografie in questione non poteva essere considerata una pubblicazione, siccome avvenuta nel ristretto ambito processuale, rispetto al quale il diritto costituzionale di agire e difendersi in giudizio derogherebbe alla tutela della riservatezza dei dati personali avendo lo scopo di illustrare quanto riportato nella cartella clinica, al fine di consentire al magistrato una visione completa di tutti gli elementi idonei alla conoscenza reale delle circostanze di causa e, peraltro, l'informazione era destinata a soggetti obbligati al segreto d'ufficio.

E' vero, afferma la sentenza, che nel caso in questione non si tratta di diffusione ma di comunicazione idonea a «dare conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti determinati diversi dall'interessato» (art. 4 lett. l) Dlgs 196/2003), tuttavia è indiscusso che il consenso era stato fornito dall'interessata per fini scientifici e, dunque, del tutto estranei al trattamento realizzato. La causa scaturiva da un fatto clinico diverso da quello che aveva dato origine alla foto della parte anatomica e, conseguentemente, ciò legittima il risarcimento il danno non patrimoniale se ritenuto dimostrato dal giudice.


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