Sentenze

Consulta, Stamina: nelle terapie decide la scienza e non la politica

di Lucilla Vazza

La Corte Costituzionale mette un'altra pietra tombale sulla vicenda Stamina. Con la pronuncia n. 274, depositata oggi, impone di guardare la vicenda da un duplice punto di vista: quello del diritto all'eguaglianza (art. 2 Costituzione), e secondo il principio del primato della scienza. Quando si parla di terapie, la valutazione sulle cure non può essere stabilita dal legislatore senza il supporto tecnico-scientifico degli organi preposti. E dunque, solo la scienza, con le sue prove e la sua indipendenza di giudizio, può indicare la via per le scelte terapeutiche.

Insomma, dopo il blocco della sperimentazione, deciso a novembre dal ministero della Salute in seguito al parere del comitato scientifico chiamato a valutarne l'opportunità, la sentenza della Corte Costituzionale potrebbe mettere definitivamente la parola fine all'utilizzo della controversa terapia di Vannoni nel nostro Paese.

Diritto alla salute.
A sollevare questione di legittimità costituzionale sull'articolo 2 del decreto n. 24 del 2013, il cosiddetto "decreto Balduzzi", era stato il Tribunale di Taranto nell'ambito di una causa intentata da un paziente che chiedeva di vedersi somministrare il trattamento Stamina. La richiesta era successiva all'entrata in vigore del decreto, che ha fatto salve solo situazioni in cui la cura era già iniziata. Un duplice binario che, secondo il Tribunale di Taranto, creava disparità di trattamento tra pazienti e nell'accesso alle cure: di qui il sospetto di violazione degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione sui diritti inviolabili, la pari dignità di tutti i cittadini e il diritto alla salute. Su questa base il tribunale ha chiesto l'applicazione delle cure e ha rimesso la questione di costituzionalità alla Consulta. La Corte costituzionale, nel dichiarare non fondata la questione, torna ad affermare un principio centrale: le «decisioni sul merito delle scelte terapeutiche, in relazione alla loro appropriatezza, non potrebbero nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica del legislatore, bensì dovrebbero prevedere «l'elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi - di norma nazionali e sovranazionali - a ciò deputati, dato l'essenziale rilievo che a questi fini rivestono gli organi tecnico-scientifici».

Diritti tutelati. E dunque Sul caso Stamina, «per i giudici della Consulta i diritti costituzionali non sono stati violati». Fermo restando questo quadro di riferimento, il decreto Balduzzi è intervenuto in un «contesto anomalo», una «particolare situazione fattuale» nella quale erano già stati «avviati trattamenti con cellule staminali per iniziativa di vari giudici» in via cautelare. In questa situazione, la norma, «ha parzialmente derogato ai principi di cui sopra» e ha privilegiato «principi di continuità terapeutica ed esigenze di non interferenza con provvedimenti dell'autorità giudiziaria», consentendo per questo «la prosecuzione dei trattamenti con cellule staminali già avviati o già ordinati da singoli giudici». Ma estendere questa deroga sarebbe «irragionevole», tanto più alla luce del blocco della sperimentazione del metodo Stamina decisa dal ministero della Salute. Le circostanze particolari in cui è stato varato il decreto Balduzzi non ricorrono più nei confronti dei pazienti che abbiano chiesto il trattamento dopo l'entrata in vigore della norma: per loro quindi «non trova giustificazione una deroga al principio di doverosa cautela nella validazione e somministrazione di nuovi farmaci».

Le reazioni istituzionali.
Non sono tardate le reazioni istituzionale a commento della decisione della Consulta. Il ministro Lorenzin si è detta «assolutamente d'accordo» con i giudici «penso che la sentenza della Consulta abbia messo ulteriore tassello ad un vicenda che credo debba solo finire. Non è stata una vicenda bella per la sanità italiana, soprattutto non lo è stata per la scienza e ancora di meno per tutte le famiglie che hanno pensato di avere una cura miracolosa che non c'è».
La sentenza della Corte ha dunque il merito di ripartire da un punto fermo e cioè dal principio della fondatezza scientifica che il legislatore dovrebbe tenere sempre bene a mente e che i cittadini dovrebbero considerare quale presupposto imprescindibile a salvaguardia della tutela della salute pubblica. Anche l'Agenzia Italiana del Farmaco in una nota ha commentato positivamente la sentenza su metodo Stamina. «Con la sua insindacabile decisione la Corte ha infatti ribadito quanto aveva già espresso sin dal tempo della questione Di Bella e successivamente ripetuto in ordine. «Si tratta di principi, che in questi ultimi due anni e mezzo dopo l'Ordinanza dell'Aifa del maggio 2012, sembrava fossero stati dimenticati dai molti magistrati che hanno ordinato agli Spedali di Brescia di attivare dei trattamenti basati su un sedicente e segreto metodo Stamina». La Consulta quindi ha riconosciuto in modo inequivoco «l'essenzialità del ruolo delle istituzioni e degli organismi deputati allo svolgimento dei compiti istituzionali di carattere tecnico scientifico, tra cui l'Aifa e l'Iss».
Inoltre, specifica ancora l'Aifa «la promozione di una sperimentazione clinica per testare l'efficacia, ed escludere collaterali effetti nocivi, di un nuovo farmaco non consente, di regola, di porre anticipatamente a carico di strutture pubbliche la somministrazione del farmaco medesimo; ciò per evidenti motivi di tutela della salute, oltre che per esigenze di corretta utilizzazione e destinazione dei fondi e delle risorse a disposizione del Ssn».