Imprese e mercato

Ddl Concorrenza, Parafarmacie: «Testo da migliorare: trasformare i punti vendita in presidi sanitari»

di Federazione nazionale parafarmacie italiane

Il disegno di “Legge annuale per il mercato e la concorrenza” (AC. 3012) approvato dal Consiglio dei Ministri il 20 febbraio 2015, contiene, come si legge nella relazione introduttiva, disposizioni che, conformemente alle segnalazioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, provvedono a rimuovere alcuni ostacoli regolatori – di carattere normativo o amministrativo – all'apertura dei mercati, a promuovere lo sviluppo della concorrenza e a garantire la tutela dei consumatori.

Dall'emanazione della legge 23 luglio 2009, n. 99 («Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia»), che ha previsto lo strumento della legge annuale per il mercato e la concorrenza al fine di rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo o amministrativo, all'apertura dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza e di garantire la tutela dei consumatori, è la prima volta che il Governo presenta al Parlamento questa tipologia di provvedimento.

Sicuramente il provvedimento rappresenta un importante passo in avanti per rinnovare e rafforzare l'economia italiana, soprattutto in questa delicata congiuntura economica dell'Europa, ma per potenziare i suoi benefici e non trasformarsi in “un'occasione mancata”, il testo dev'essere necessariamente migliorato nella parte relativa alle “Misure per incrementare la concorrenza nella distribuzione farmaceutica”.

La riforma della distribuzione al dettaglio dei farmaci costituisce, infatti, una riforma a costo zero per lo Stato in grado di ridurre i prezzi, dare pluralità all'offerta, stimolare la diversificazione dei prodotti e l'innovazione, perfettamente in linea con gli obiettivi della Legge annuale per la concorrenza.

È oramai noto l'ampio dibattito che si è sviluppato nel nostro Paese dopo che, nel 2006, per la prima volta il farmaco è uscito dalla «roccaforte» della farmacia per approdare tra gli scaffali di esercizi di tipo commerciale, seguendo modelli ben più evidenti nel mondo anglosassone. In particolare, dal 2006 la «garanzia» della dispensazione del prodotto farmaceutico non è più rappresentata dalle «mura» di un edificio nel quale è presente un farmacista, ma esclusivamente dalla «professionalità» del farmacista.

Il decreto Bersani ha offerto la possibilità di dispensare i cosiddetti farmaci da banco, oltre che nelle farmacie, anche negli esercizi di vicinato e nei corner della grande distribuzione, sempre comunque alla presenza di un farmacista.

Appare ad oggi necessario proseguire nel processo di liberalizzazione del settore, bilanciandolo sempre con il diritto alla tutela alla salute, considerando che, dall'entrata in vigore del cd. Decreto Bersani, il numero di parafarmacie è costantemente aumentato e tuttavia, nonostante l'aumento del numero di punti vendita, il mercato dei farmaci senza obbligo di prescrizione, valutato nel 2013 in 2,4 miliardi di euro, continua a rimanere presidiato dalle farmacie tradizionali, attraverso cui transita il 92,5 per cento delle vendite (la quota di mercato dei punti vendita della grande distribuzione è del 2,6 per cento e quella delle parafarmacie del 4,9 per cento).

La Federazione Nazionale Parafarmacie Italiane auspica, quindi, che la Legge annuale per la concorrenza possa proseguire nel processo di liberalizzazioni consentendo alla cd. Riforma Bersani di raggiungere il suo naturale compimento consentendo alle parafarmacie, di proprietà di un farmacista, di dispensare i farmaci a carico del cittadino.

Analizzando i dati del settore emergono infatti dati da non sottovalutare: i farmacisti iscritti negli ordini provinciali sono 72.854 e di questi i farmacisti titolari sono 16.112, pari al 22 per cento degli iscritti; i direttori di farmacie comunali sono 1.412, pari a poco meno del 2 per cento degli iscritti, mentre i restanti 55.330 sono non titolari di farmacia e sono ben il 76 per cento degli iscritti. Quindi solo un farmacista su cinque è titolare di farmacia.

Tra i farmacisti non titolari si stima che un cinque per cento svolga un'attività esterna alla farmacia, quali quella dell'informatore scientifico, l'insegnamento, attività di gerente di sanitarie ed erboristerie. Alla luce di tali dati risulta che il 24 per cento dei farmacisti titolari ha, di fatto, il monopolio del sistema della distribuzione del farmaco. Per contro il restante 76 per cento dei farmacisti è costretto a svolgere un lavoro subordinato, con retribuzioni che risentono di un rapporto di forza, tra domanda ed offerta, troppo a favore dei titolari di farmacia.

Tutto questo mette in evidenza una situazione ancor più paradossale: in Italia non è riconosciuta la libertà professionale del «farmacista», al quale, rispetto a tutte le altre professioni, non è concesso di esercitare privatamente e liberamente ciò per cui ha conseguito una laurea e sostenuto un esame di stato.
Le farmacie convenzionate in Italia sono 18.039, e di queste 1.614 sono farmacie comunali, pari al 9 per cento, mentre circa 6.000 sono farmacie rurali, pari al 33 per cento del totale delle farmacie.
In questa situazione di mercato, l'opportunità offerta al 76 per cento dei farmacisti non titolari ha indotto in molti di loro ad aprire una parafarmacia, che a fine giugno risultano essere 4.746.

L'80 per cento dei comuni italiani, pari al 27 per cento della popolazione ha a disposizione una sola farmacia e bisogna evidenziare che tra i comuni che hanno una sola farmacia figurano anche località con una popolazione di 8.000, 9.000, 10.000 abitanti.

Oltre a ciò va detto ci sono il 37 per cento dei comuni italiani con popolazione fino a 2.000 abitanti che non hanno una farmacia. Quanto poi ai comuni che hanno una popolazione oltre i 5.000 abitanti (nei quali convivono complessivamente 48.317.509 abitanti, pari all'83 per cento della popolazione nazionale) si ha mediamente una farmacia ogni 3.950 abitanti.
Anche in ciò siamo ben diversi da altre realtà europee (come Germania, Francia, Spagna, Belgio), dove lo stesso rapporto assume il valore di 2.770 abitanti per farmacia.

Aprire alla liberalizzazione della vendita di tutti i farmaci a carico del cittadino anche all'interno delle parafarmacie di proprietà di un farmacista porterebbe ad: avviare la concorrenza, strumento attraverso il quale si otterrebbe un miglioramento dell'offerta, migliorare l'organizzazione distributiva, rafforzare il dimostrato vantaggio economico dalla legge Bersani tutto a favore dei cittadini; nessun costo a carico dello Stato italiano né tantomeno al SSN, ma di contro comporterebbe un buon ritorno fiscale per i nuovi impulsi economici derivanti; nessun pericolo per la salute pubblica o di abuso di farmaci, in quanto i farmaci di fascia C vengono prescritti dal medico e dispensati dal farmacista.

Il Parlamento deve quindi intervenire e migliorare il provvedimento riportando al centro del sistema farmaceutico il paziente/consumatore, vero ed unico motivo dell'esistenza della farmacia, avendo cura di coniugare la maggiore capillarità delle farmacie con la professionalità di farmacisti esperti e con strutture logistiche idonee e controllate. Bisogna quindi pensare di trasformare le parafarmacie esistenti, proprietà di farmacisti, in presidi sanitari che, armonicamente inseriti nell'ambito di un Sistema sanitario nazionale, siano in grado di erogare sul territorio, con professionalità, quei servizi di assistenza che il cittadino/paziente sempre più richiederà ad un sistema di welfare evoluto.
La riforma auspicata, sollecitata più volte dall'Antitrust e da esperti del settore, oltre ad essere in linea con quanto già applicato nei maggiori Paesi europei come Regno Unito e Germania, introdurrebbe nel sistema modalità gestionali in grado di influenzare positivamente il mercato del farmaco, con ripercussioni benefiche anche sul versante della spesa sanitaria.

L'unico vincolo assoluto che il Parlamento deve mantenere è quello della presenza di farmacista abilitato, e anzi rafforzare tale concetto, il solo che, in scienza e coscienza, è titolato a ricevere i pazienti/clienti e a distribuire il farmaco al pubblico.

Appare necessario aggiungere che il ddl concorrenza presentato in Parlamento produce un duplice effetto: da un lato nega al farmacista titolare di parafarmacia di dispensare il farmaco di fascia C, umiliandolo professionalmente, mentre dall'altro lato permette al non farmacista, che possiede i capitali, di diventare titolare di farmacia.

Noi non siamo a priori contro l'ingresso del capitale nella distribuzione farmaceutica, come previsto dall'articolo 32 del ddl caratterizzato da tre aspetti:
•ereditarieta' di una concessione statale vinta per concorso, per cui viene trasferito da padre in figlio l'accesso alla professione,
•contingentamento del numero di farmacie ad un massimo di farmacie per abitanti (e non stabilendo al contrario un numero minimo di farmacie per abitanti),
•la possibilità di assumere un farmacista dipendente in farmacia con un contratto assimilabile a quello del commercio (7,2 euro all'ora) e non con la qualifica di operatore sanitario.

Alla luce di queste considerazione, siamo convinti che la possibilità di accedere alla proprietà delle farmacie da parte dei non farmacisti non sia una liberalizzazione, ma anzi è la strada che porta alla creazione di nuovi oligopoli.

Oltretutto, si creerebbe un sistema per cui per avere una farmacia non servirebbe una laurea o dei titoli di studio, ma basterebbe essere figli di farmacisti titolari o avere disponibilità economiche.

Chiediamo, quindi, che venga valorizzata l'esperienza dei farmacisti che hanno aperto una parafarmacia, a fronte di un sistema di accesso alla professione basata su questioni di ereditarietà e censo, investendo sulla propria professionalità e creando dei punti della salute sul territorio, riconosciuti dai cittadini e che hanno generato posti di lavoro a costo zero per lo Stato.

Chiediamo che la parafarmacia, che ad oggi riconosciamo avere tante contraddizioni che andrebbero risolte (la possibilità che il responsabile della tracciabilità del farmaco non sia un farmacista, i farmaci uguali classificati in modo diverso, la denominazione “Parafarmacia” che apparentemente sminuisce i professionisti che ci lavorano), sia invece guardata come quel bell'esempio che è, ossia una realtà che in un contesto di chiusura della professione, ha permesso a tanti laureati e specializzati di investire sulla propria professione, creando dei punti della salute sul territorio Italiano (spesso distanti dalle farmacie gia' esistenti) che oggi dopo 8 anni sono ampiamente riconosciuti dai cittadini.


© RIPRODUZIONE RISERVATA