Imprese e mercato

La chanche dei fondi Ue per l’e-Health

di Veronica Vecchi e Niccolò Cusumano (Cergas Bocconi)

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24 Esclusivo per Sanità24

Alcuni fenomeni tendono ad assumere caratteristiche mitologiche o puramente aneddotiche. In campo sanitario sono state numerose le grandi rivoluzioni annunciate, ma mai avverate, di cui tutti condividono i benefici e la portata innovativa ma che poi stentano a decollare al di fuori di piccole sperimentazioni o singole eccellenze. La telemedicina è uno di questi esempi, se ne parla ormai da tempo - il primo Piano d’azione per la Sanità elettronica dell’Unione europea risale al 2004, poi aggiornato nel 2012 e inserito nella strategia Europa 2020 - eppure non sembra si sia ancora riusciti a trovare la chiave per un effettivo deployment su larga scala di queste soluzioni tecnologiche.

La telemedicina da più parti viene giudicata come una delle chiavi per dare risposta ai fenomeni che stanno mettendo sotto pressione il sistema salute: l’aumento della domanda di servizi sociosanitari, dovuto all’invecchiamento della popolazione (l’Italia è il terzo paese più vecchio del mondo) e la crescita delle cronicità (in una Regione come la Lombardia il 30% dei pazienti, cronici e fragili, assorbe il 70% delle risorse del Ssr); costi di erogazione delle prestazioni sanitarie in continua crescita; le dinamiche occupazionali dei professionisti clinici.

Le soluzioni tecnologiche a detta di tutti sono già presenti. Dopo anni di ritardi nell’ultimo anno, il Governo, ministero della Salute e Agenzia per l’Italia digitale hanno compiuto notevoli sforzi per recepire le indicazioni europee. All’interno del “Patto della Salute” è stato così inserito il Patto per la Sanità digitale e le relative linee di indirizzo nazionali per la telemedicina.

Nel 2014 la spesa per la digitalizzazione della Sanità italiana ha ripreso a crescere, mostrando un +17% rispetto all’anno precedente, raggiungendo quota 1,37 miliardi di euro, tornando a un livello di spesa analogo al 2010, ma che risulta comunque limitato: l’1,3% della spesa sanitaria pubblica, circa a 23 euro per ciascun abitante.

Cosa impedisce alla telemedicina di decollare? L’assenza di risorse finanziarie per investimenti? La mancanza di Lea specifici e conseguenti Drg/Tariffe ambulatoriali? La scarsa penetrazione di banda larga e ultra-larga soprattutto nelle zone più periferiche dove la telemedicina sarebbe più efficace? O si tratta di fattori culturali e resistenza al cambiamento da parte degli operatori del sistema e dei pazienti?

La chance dei fondi strutturali Ue. Sda Bocconi P&PFactory e Impact Investing Lab, con il supporto di Philips, ha compiuto una ricognizione per identificare dei modelli contrattuali e di finanziamento che vedano lavorare insieme pubblico e privato per integrare la telemedicina nel Ssn anche alla luce delle opportunità offerte dalla programmazione comunitaria 2014-2020. La ricerca ha visti coinvolti, in un focus group svoltosi a luglio, i rappresentanti del ministero della Salute, e le regioni Lombardia e Basilicata e Network Italia Longeva. Regione Basilicata che si è dimostrata particolarmente attiva con l’avvio di un progetto, in collaborazione tra Asp Potenza e il Network Italia Longeva, di teleassistenza che ha visto l’acquisto di 200 kit di assistenza grazie ai fondi comunitari.

Il protocollo di intesa per la sanità digitale trasmessa dal Governo alla Conferenza Stato-Regioni il 10 giugno 2015 identifica, infatti, il Ppp come principale modalità per finanziare gli investimenti previsti dal piano straordinario di sanità elettronica. Per far leva sui capitali privati è previsto il ricorso a:

1. Fondi strutturali, con particolare riferimento alle regioni meno sviluppate e in transizione, nel quadro dell’Agenda digitale e del pre-commercial procurement;

2. Fondi ad hoc statali o europei sotto forma di prestiti garantiti (es. Bei) o di finanziamento in equity.

Per quel che riguarda i fondi strutturali, essi possono essere utilizzati per finanziare investimenti in telemedicina volti a connettere le reti territoriali di cura che stanno emergendo dalla riorganizzazione dei sistemi sanitari regionali.

In particolare i fondi comunitari possono finanziare la telemedicina indirettamente attraverso interventi tesi a realizzare un’ampiezza di banda sufficiente per svolgere quei servizi (rientranti nel cosiddetto Obiettivo tematico 2), oppure direttamente investimenti tecnologici nelle aree interne delle regioni più sviluppate (Centro Nord) o nell’intero territorio regionale nelle Regioni meno sviluppate (che hanno attivato perciò Obiettivo tematico 9 e il Risultato atteso 9.3.8.).

Da un’analisi dei Piani operativi risulta che solo la Lombardia tra le Regioni cosiddette “più sviluppate” abbia attivato il l’Ot 9. Al Sud tale obiettivo è stato adottato da Sardegna, Sicilia e Basilicata con uno stanziamento complessivo di circa 60 milioni di euro.

I modelli giuridici riconducibili al Ppp applicabile ai servizi di telemedicina sono l’appalto e la concessione di servizi. Contratti in cui a prevalere è l’aspetto gestionale per cui l’operatore economico è chiamato a organizzare e svolgere un servizio, di cui la componente tecnologica di fornitura è una parte rilevante, ma non assoluta. In un modello Ppp il privato si porrebbe come “integratore di sistema”, non limitandosi a fornire kit tecnologici, ma soluzioni integrate lungo la filiera di cura.

Nel caso in cui non siano disponibili fondi strutturali e non siano disponibili risorse interne alla pubblica amministrazione è possibile, mantenendo la titolarità del servizio in capo alle Asl al privato viene può essere chiesto di finanziare l’investimento iniziale che verrà remunerato durante la gestione. A questo proposito si distinguono due tipologie di Ppp:

a) Dbfm (design, build, finance maintain): in cui la gestione del servizio core resta in capo all’Asl mentre il privato fornisce e gestisce la tecnologia in tutti gli aspetti non clinici dietro il pagamento di un canone di servizio/tariffa di servizio. Il contratto potrà essere o una concessione di servizi o un appalto a seconda che si voglia trasferire al privato il rischio operativo oppure un semplice rischio di corretta esecuzione.

b) Dbfom (design, build, finance, operate, maintain): in questo secondo caso il privato è chiamato a gestire anche il servizio core, la remunerazione potrebbe corrispondere al Drg/tariffa ambulatoriale per lo specifico servizio, oppure una forma di quota capitaria per paziente.

Al momento non esistono Drg o tariffe specifiche dedicate a servizi erogati in telemedicina. Se si ritiene che il contenuto del servizio sia identico e la telemedicina sia solo il “medium” si potrebbe ipotizzare anche una mera applicazione dei tariffari esistenti, ipotizzando che gli investimenti si auto-remunerino grazie a risparmi di gestione generati.

Un ragionamento in termini di costo-efficacia potrebbe essere però più opportuno, considerando che la telemedicina di fatto dovrebbe permettere l’erogazione di servizi innovativi o di ripensare i modi con cui si hanno in cura i pazienti, anziché una semplice digitalizzazione dell’esistente. In questo senso diventerebbe anche difficile individuare i valori di riferimento con cui contabilizzare risparmi finanziari.

A queste domande, purtroppo non si è ancora giunti a una conclusione univoca, tuttavia non crediamo debbano rappresentare un ostacolo o una scusa per l’inazione. Il Ppp rappresenta sicuramente una opportunità di sviluppo non soltanto in ottica “finanziaria”, ma come modo per far leva su competenze anche esterne all’Amministrazione. Questo tipo di forme contrattuali, spingendo verso un approccio integrato performance-based, permettono di far emergere i rischi e i costi associati a un progetto. L’adozione di logiche più partenariali anziché strettamente transazionali e la condivisione del rischio sono fondamentali, infine in un’ottica di procurement for innovation, in cui pubblico e privato collaborano per introdurre l’innovazione nell’erogazione dei servizi.


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