Imprese e mercato

La farmaceutica riprende a investire in R&S

di Roberto Turno (da Il Sole 24 Ore del 2 giugno)

I primati dell'export e della produzione che viaggiano a doppia cifra. Ma non solo. C'è un altro record meno conosciuto, ma sempre più solido, nella farmaceutica made in Italy: la ripresa degli investimenti in R&S che ormai da tre anni ha ripreso vigore, a dispetto della mala burocrazia all'italiana e di tutti gli handicap che frenano la voglia di innovazione delle imprese. Ma i risultati parlano chiaro: a fronte di una crescita dell'1% l'anno in tutto il mondo, in Italia la crescita è stata cinque volte superiore, dopo anni di freno tirato. Insomma la voglia e la capacità di investire in R&S dell'universo del pharma in Italia c'è, ma le imprese farebbero anche di più. Se ne avessero le chance.
Arriva da Bain&Company, tra le prime società di consulenza strategica al mondo, una ricerca sul campo commissionata da Farmindustria sul grado di ricerca e sviluppo dell'industria farmaceutica in Italia. Una foto scattata con l'analisi i 25 imprese nazionali e straniere, che insieme sommano il 60% dell'intera spesa in R&S nel nostro Paese, corredata da tutti i fondamentali di settore internazionali. Il risultato è quello di un settore in forte effervescenza, anche se rispetto ai dati complessivi internazionali non occupa certo i primi posti in classifica. Rispetto ai 107 mld di euro spesi globalmente in ricerca e sviluppo nel farmaceutico, l'Italia sta a quota 1,4 mld, l'1,4% circa della spesa globale in R&S e comunque ben superiore alla media (1%) del resto dell'industria. Ma quel che comincia a fare la differenza è la crescita in percentuale tra le imprese made in Italy e il resto del mondo del pharma, per un valore percentuale cinque volte superiore. Segno di una forte propensione ad investire in R&S «con prospettive di ulteriore sviluppo per il futuro», prevede Bain. Nel 2015 del resto, secondo gli ultimissimi dati di Farmindustria, la spesa è ancora cresciuta, con un aumento del 15% dal 2013. Spalmata per il 50% negli studi clinici, per il 30% nel personale di ricerca e per il 20% negli studi pre-clinici
«Gli investimenti in R&S per noi sono fondamentali, sono il nostro dna, e ci stiamo preparando per il regolamento Ue che arriva tra tre anni. Vogliamo essere pronti prima», afferma Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria. «Abbiamo invertito la tendenza e continuiamo a investire. In tre-quattro anni - aggiunge Scaccabarozzi - potremmo raddoppiare gli investimenti ben sopra i 2 mld. Se il Paese dimostra di credere in noi, anche con una nuova governance, che si pagherebbe da sola».
I limiti del sistema-Italia, del resto, sono evidenti. La burocrazia soffocante, che rallenta la progettualità, resta un macigno ingombrante per gli investitori. Così come il gap nell'accesso ai finanziamenti, tra iniziative pubbliche «frammentate e slegate da una visione strategica» e il modesto sviluppo del venture capital. Ma in Italia pesa anche la modesta «business attitude» degli interlocutori. E se non bastasse, ecco ancora il sistema di incentivi «poco premiante» a rallentare la corsa di chi vorrebbe investire di più e meglio in R&S nel nostro Paese. Purché «il Paese ci creda», appunto.


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