Imprese e mercato

Elezioni Federfarma, i contenuti non mancano ma per il confronto bisogna essere almeno in due

di Augusto Luciani (presidente di Federfarma Umbria)

L'ampio resoconto sulla “disfida” che sarebbe in corso in Federfarma in vista delle elezioni per il rinnovo delle cariche di vertice nella prossima settimana, pubblicato lo scorso 27 ottobre a firma di Carlino Marrone su questo giornale, per quanto in tutta evidenza basato su informazioni di prima mano, sfocia in un giudizio che, personalmente, ritengo non del tutto rispettoso della verità dei fatti e delle situazioni in essere.

Mi riferisco, in particolare, al passaggio in cui Marrone riduce il “dibattito sindacale” in corso dentro Federfarma alla stregua di una mera lotta di potere per il controllo del sindacato, apparentandolo ai malvezzi della politica nazionale: «né l'una né l'altra parte in lizza per il controllo di Federfarma sembrano infatti interessate a interrogarsi su quello che pure è (o dovrebbe essere) il core business del sindacato, ovvero la tutela delle farmacie private italiane», scrive il giornalista.

Incorrendo, mi corre l'obbligo di dirlo, in un giudizio che - prima ancora che severo e ingeneroso - non è del tutto rispettoso della verità dei fatti.

Una delle parti in lizza in quella che Marrone chiama la “disfida”, infatti, è scesa in campo proprio perché, negli ultimi anni, ha registrato un grave deficit di elaborazione e di azione degli attuali vertici sindacali su questioni assolutamente vitali per la sopravvivenza e lo sviluppo delle farmacie. Quelle questioni, per intenderci, che lo stesso giornalista si preoccupa poi di elencare con precisione.

È proprio perché sono rimasti irrisolti nodi “intricati e pesanti” come il costante calo della redditività, la mancata riforma della remunerazione, il rinnovo della convenzione, la “farmacia dei servizi” rimasta al palo, le differenze profonde in materia di distribuzione del farmaco (che diventano vere e proprio sperequazioni a danno dei cittadini, prima e più ancora che dei farmacisti) tra Regione e Regione - solo per ricordarne qualcuno tra quelli elencati da Marrone - che un gruppo consistente di Unioni regionali e associazioni provinciali del sindacato, in ogni parte del Paese, ha deciso di rompere gli indugi e di scendere in campo nel tentativo di indurre Federfarma a un indispensabile cambio di passo.

Una decisione, peraltro - è il caso di precisarlo - che si è resa necessaria solo dopo aver constatato e verificato per anni l'impossibilità di arrivare a una svolta attraverso quei processi di dialettica interna che dovrebbero essere la vita stessa del sindacato e la garanzia della sua capacità di rappresentare le istanze e gli interessi degli iscritti.

I tentativi di discutere idee e proposte in grado di innervare e fecondare l'azione sindacale, per una serie di ragioni che molto hanno a che fare con le modalità di gestione degli organi collegiali adottate dagli attuali vertici, sono stati letteralmente e regolarmente respinti da un muro di gomma fatto di rinvii e dilazioni, eccezioni procedurali, ingessature regolamentari, giochini delle tre carte nella conduzione delle assemblee collegiali, annunci e promesse rimasti poi tali.

Il sindacato, in assenza di un confronto autentico e reale, ha finito per diventare una sorta di palude di acque ferme: unica circolazione consentita, peraltro debolissima, quella del “pensiero unico” dei vertici, generato e imposto meccanicamente dalla legge dei gravi, per caduta dall'alto.

Gli esiti fallimentari di queste dinamiche gestionali, che ben conoscono tutti i dirigenti delle organizzazioni territoriali di Federfarma, solo che abbiano partecipato anche soltanto a una delle assemblee nazionali degli ultimi anni, sono davanti agli occhi di tutti e sono del resto ben descritte dall'articolo di Marrone.

Quel che Marrone non racconta, però, è appunto lo sforzo che una buona parte del sindacato - prima di arrivare alla “disfida” - ha messo in opera per indurre Federfarma a cercare e trovare soluzioni efficaci per fare fronte alle criticità, sollecitando un approccio strategico a problemi che, in tutta evidenza, superano largamente la dimensione del contingente (che va comunque aggredita) per sostanziare trasformazioni che sono invece di sistema.
Emblematica, a questo proposito, è quella che, sia pure usando una definizione abusata, potremmo definire “la madre di tutte le questioni”, ovvero l'ormai prossimo ingresso delle società di capitale nella proprietà delle farmacie.

Un tema sul quale, in prima persona, all'interno del sindacato ho vanamente sollecitato per anni e anni un confronto concreto per elaborare una strategia condivisa, in grado di tracciare con la necessaria tempestività il percorso che le farmacie indipendenti dovranno seguire e le scelte che dovranno fare per operare con successo e con possibilità di sviluppo impregiudicate in uno scenario inevitabilmente destinato a cambiare molto per la compresenza di nuovi competitori.

Proponevo, ritenendolo fondamentale (come peraltro sono ancora convinto che sia) un rafforzamento delle nostre strutture della distribuzione intermedia e auspicavo, allo scopo, la costituzione di una task force/gruppo di studio per elaborare percorsi alternativi che, mettendo le farmacia al centro, consentissero di “governare” o quanto meno avere un ruolo attivo nel cambiamento che poteva e doveva quindi essere “gestito” e non subito. E questo partendo dal dato di fatto che dovremo sempre più prendere in considerazione il fatto che le farmacie, o le catene di farmacie, non saranno più tutte uguali e che le modalità di gestione ed erogazione dei servizi potranno differire, così come le priorità.

Il confronto su questi temi e proposte, però, ha subito finito per impantanarsi nelle “logiche della palude”, con il risultato che finiremo (forse) per occuparci della questione in modo serio e approfondito - sempre che vada bene - soltanto ora, pressati dall'urgenza, che non è mai una buona consigliera.

Tutto questo per dire che, contrariamente a quanto scrive Marrone nel suo articolo di qualche giorno fa, il dibattito elettorale non è una lotta priva di contenuti e di argomenti tra due contendenti preoccupati solo di conservare o prendere il potere. O meglio, non è così almeno per la parte che aspira a esprimere nuovi vertici sindacali, visti i risultati deficitari dei vertici attuali, intenzionati a restare comunque incollati alle loro poltrone.
Quella parte, nella quale milito da tempo e con convinzione, ha dato prova, non da oggi, di avere contenuti, argomenti, idee e programmi combien il faut, anche se va riconosciuto che non sempre è riuscita ad esprimerli con la dovuta chiarezza ed efficacia. E anche se ciò è in buona parte dipeso dalle oggettive difficoltà a esprimersi in un contesto ostile qual è la palude, un mea culpa al riguardo dobbiamo certamente recitarlo anche noi.

Ciò non di meno, su quei contenuti, argomenti, idee e programmi avremmo voluto e vorremmo ancora confrontarci, a tutela dell'unico interesse che conta, che è quello delle farmacie. E siamo assolutamente convinti che la grande maggioranza dei colleghi che ogni giorno aprono la loro farmacia, tra mille preoccupazioni e non di rado a prezzo di sacrifici mal ripagati, vuole la stessa identica cosa, non fosse altro che per sapere, capire e affrontare con la necessaria consapevolezza le sfide e i tempi molto complicati che verranno.

Ma per confrontarsi bisogna essere almeno in due. E per quanto è dato vedere, chi ha scelto e vuole la palude non sembra davvero intenzionato a partecipare al confronto, probabilmente proprio perché - giusto per chiarire - “troppo assorbiti dalla lotta per conservare il potere”, come scrive Marrone. Che certamente non ce ne vorrà per questa precisazione che riteniamo assolutamente necessaria, prima ancora che opportuna.


© RIPRODUZIONE RISERVATA