Imprese e mercato

Farmacieunite: «Ricetta per far uscire i presidi italiani dal girone infernale in cui si trovano»

di Franco Gariboldi Muschietti (presidente Farmacieunite)

C’è voluto Sanità24 per accendere (meritoriamente) un riflettore su una questione che, per quanto giunta solo ora ad avere pubblica evidenza, in realtà è in piedi da tempo: la crisi di rappresentanza della farmacia italiana, problema “silenziato” per anni dalla stampa di categoria, in prevalenza controllata più o meno direttamente dalle grandi sigle sindacali e professionali di farmacie e farmacisti.
Tutti hanno così potuto finalmente rendersi conto che mentre il settore delle farmacie vive la crisi più lunga e drammatica delle sua storia e sta per essere investita dalla svolta epocale dell'ingresso del capitale, la prima se non sola preoccupazione del principale sindacato delle farmacie private sembra essere quella di combattere una guerra intestina per conservare il potere (chi ce l'ha) o per conquistarlo (chi aspira ad averlo).
Parlare delle vicende che avvengono in casa altrui, però, non è mai elegante e lo è ancor meno se in quella casa si è vissuto a lungo prima di essere costretti, per l'impossibilità di adeguarla ai tempi e alle necessità e di renderla più solida in previsione degli uragani che già si profilavano all'orizzonte, ad abbandonarla per costruirne una nuova. A proposito: ora le ragioni della scelta che ha portato alcune centinaia di farmacie a uscire da Federfarma per dare vita a Farmacieunite saranno finalmente più chiare a tutti.
Eviterò quindi di impicciarmi dello scontro interno a Federfarma - tanto a giudicarlo saranno, più opportunamente, i titolari che pagano le quote a quel sindacato - per concentrare l'attenzione sul contesto nel quale esso si svolge.
Provo schematicamente a ricordarlo:
• la farmacia italiana ha subito un'erosione così rilevante della sua redditività, anche a causa della colpevole inerzia di chi doveva tutelarla, da vedere ormai seriamente pregiudicata la sua stessa sostenibilità economico-finanziaria;
• come presidio di salute, ha perso la sua centralità nell'assistenza farmaceutica, in quasi tutta Italia oggi largamente e saldamente nelle mani delle strutture sanitarie pubbliche per volere delle Regioni, che rivendicano apertamente il diritto di avvalersi il più possibile della distribuzione diretta (lo hanno fatto anche nei giorni scorsi, chiedendo al Governo di apportare correttivi in questo senso alla manovra di bilancio 2017) e che sempre secondo necessità e convenienza (proprie) aprono il rubinetto della distribuzione per conto;
• da ormai quasi un ventennio non viene rinnovata la convenzione farmaceutica, ovvero il “contratto di lavoro” della farmacia con lo Stato e le sue articolazioni, ai quali va naturalmente benissimo il vecchio accordo in essere, risalente a un'altra era geologica (la legge 405/2001 era ancora di là da venire, per dire) e dunque poco o per nulla interessati a discuterne uno nuovo. Anche se c'è chi racconta altre storie, di genere fantasy, che parlano di nuova convenzione in dirittura d'arrivo;
• della riforma del modello di remunerazione, presentata per anni come la panacea di gran parte dei mali della farmacia, nemmeno si parla più, nonostante gli attuali meccanismi di retribuzione del servizio farmaceutico convenzionato siano drammaticamente inadeguati, come testimonia il numero crescente di farmacie che falliscono e il fatto che la farmacia ha smesso di essere un'attività economicamente appetibile: è notizia dell'altra settimana che in Friuli Venezia Giulia, su 45 vincitori delle nuove farmacie assegnate a seguito del concorso straordinario voluto nel 2012 dal governo Monti, ben 18 hanno rinunciato ad aprirle;
• la “farmacia dei servizi”, pur oggetto di diversi provvedimenti normativi, è lontana anni luce dalla dimensione della concretezza, anche e soprattutto sotto il profilo delle prospettive economiche;
• il mercato della farmacia, da dieci anni a questa parte, ha assistito a una straordinaria proliferazione di competitori: a partire dalle istituzioni, che riservano a se stesse la distribuzione dei farmaci di maggiore rilievo terapeutico, le farmacie territoriali devono fare i conti con circa 5000 parafarmacie e corner farmaceutici , che contendono spazi commerciali vitali, soprattutto nelle difficoltà di oggi, e dovranno presto reggere l'urto delle circa 1500 farmacie che apriranno a seguito del già ricordato Concorso Monti e quello, ancora più possente, delle farmacie del capitale, che si organizzeranno inevitabilmente in catene.

La via d’uscita. Questo il “girone infernale” nel quale la farmacia è precipitata, per una serie di concause alle quali non sono estranee precise responsabilità della categoria, che non ha saputo opporre azioni di difesa, tutela e contrasto efficaci né imboccare linee evolutive credibili e convincenti almeno per far uscire la farmacia privata dal frusto cliché della “casta” conservatrice, preoccupata solo di salvaguardare rendite di posizione.
Se ne può uscire? Per Farmacieunite la risposta è sì, a patto di cambiare non solo passo ma anche registro, uscendo dall'illusione che il futuro ci sarà regalato da qualcuno. Dovremo guadagnarcelo, invece, lavorando duramente. E per farlo la prima cosa da fare è chiudere il libro dei sogni e aprire quello della realtà: basta, in primo luogo, con le illusorie velleità di restaurazione del buon tempo andato, con il fantasmatico ritorno di un servizio farmaceutico restituito tutto alla potestà dello Stato e da questo riaffidato in toto alle farmacie territoriali, magari con colpo di spugna alla legge 405.
Coloro che stoltamente continuano a ritenerlo un obiettivo praticabile o non leggono i giornali o, se li leggono, non li capiscono. Altrimenti avrebbero chiaro il senso delle già ricordate correzioni sulla Manovra 2017 chieste dalle Regioni al Governo (on le quali, tra l'altro, i governatori dichiarano apertamente la loro preferenza per la distribuzione diretta) e avrebbero anche compreso che, se mai dovesse andare il porto la riforma costituzionale e con essa la riforma del Titolo V, la potestà di organizzare i servizi sanitari resterà comunque nelle mani delle Regioni.
Bisogna invece concentrare tutte le energie a disposizione per esplorare ogni opzione possibile (e sono molte) per offrire al Ssn nuove proposte, nell'ottica della sostenibilità complessiva del sistema, per capitalizzare al massimo le potenzialità offerte da una rete di presidi di salute, le farmacie, capillarmente diffuse ne territorio, che possono davvero essere uno dei principali vettori di ottimizzazione e di efficientamento della sanità pubblica, nella sola prospettiva possibile, che è quella del corretto impiego delle risorse, della riduzione degli sprechi e della conseguente realizzazione di risparmi.
Pharmaceutical care, aderenza terapeutica, presa in carico e monitoraggio dei pazienti nella fascia sempre più rilevante e decisiva delle cronicità, sviluppo dell'informatizzazione (partendo dal FSE e dalla prescrizione elettronica) per garantire efficienza, trasparenza, funzionalità e intracomunicazione dentro un servizio sanitario costruito sempre più come rete integrata, dove tutti gli “ingranaggi” - a partire dai professionisti di salute di riferimento, il MMG e il farmacista di comunità – devono lavorare in condivisione salvaguardando la centralità del paziente, che non può più continuare a essere (come oggi ancora è) la pallina impazzita di un flipper costretta a sbattere da una parte all'altra del sistema.

I valori da scoprire e da riscoprire. Questo è lo scenario, certo più complicato di quanto sia mai stato prima, al quale dobbiamo guardare e nel quale dovremo competere. Ed è uno scenario dove gli spazi per la farmacia non mancano, ma sono anzi importanti, perché sono - potrebbero essere - spazi di sistema, anche se ovviamente dovremo rinegoziare con gli interlocutori istituzionali - con intelligenza e soprattutto senza arroganti rigidità - ruolo, funzioni e condizioni del nostro servizio, che dovrà necessariamente essere in parte reinventato (ma farlo è possibile e sarà stimolante) per stressarne la componente sanitaria e sociale.
In questo senso, mi piace ricordare - perché è significativa e indicativa delle direzioni verso le quali muovere - l'alleanza “politica” ma soprattutto valoriale tra Farmacieunite e Assofarm, l'associazione delle farmacie pubbliche, alleanza che persegue appunto l'obiettivo prioritario di esaltare il ruolo sociale della farmacia, attraverso percorsi condivisi sul terreno della proposta e dell'interlocuzione con le istituzioni.
Insomma, si può “rimettere la farmacia al centro del villaggio”, solo che si abbia visione, convinzione, dedizione e fede profonda nell'identità e nelle mille potenzialità di un presidio di salute che può ancora dire e fare molto per la salute del Paese. Ma bisogna suonare la sveglia e stare sul pezzo, pensando solo ed esclusivamente (sempre che gli ego decisamente sovrappeso di molti degli attuali dirigenti di categoria lo consentano) alle sorti della farmacia, anziché a quelle del sindacato e di chi deve gestirlo. E bisogna riscoprire anche e finalmente i valori di serietà, rispetto e sobrietà che sono l'abc di un sindacato degno di questo nome, valori che certamente non albergano in quelle sigle dove il compenso percepito da molti dirigenti in gettoni di presenza e rimborsi spese è superiore al bilancio annuale complessivo di non poche delle associazioni sindacali territoriali aderenti.
Farmacieunite (che, giorno dopo giorno, lentamente ma con costanza, guadagna sempre nuovi iscritti) garantisce ai farmacisti associati tutti i servizi necessari alle loro attività, e del miglior livello, a costi molto più bassi di quelli sostenuti nella “vecchia casa”. Perché (è bene ricordarlo, ogni tanto) si può fare molto anche con poco, se si sa cosa fare e come farlo e – soprattutto – se si vuole fortemente farlo, sostenuti dalla visione di un possibile futuro nel quale credere e per il quale vale la pena di lottare.


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