Imprese e mercato

Medicina di laboratorio: con l’innovazione più benefici che costi

di Ernesto Diffidenti

Innovazione, questa sconosciuta. Snobbata dai capitolati pubblici e guardata con diffidenza per gli elevati costi che in realtà elevati non sono in rapporto ai benefici, la tecnologia stenta a trovare nuovi spazi nei laboratori di analisi. Finora, è emerso nel corso del terzo tavolo di incontro riunito da Il Sole 24 Ore-Sanità “La medicina di laboratorio: un valore per la salute italiana”, il sistema ha retto in virtù di economie di scala. È stata la leva dell’aggregazione, dunque, a consentire ai laboratori italiani di ristrutturarsi e rimanere al passo con i tempi continuando a investire nelle tecnologie più moderne. Ma ora in un’epoca di asfissiante spending review e disattenzione politica - hanno sostenuto i partecipanti al tavolo di Assodiagnostici-Assobiomedica, Fismelab, Fare, Tribunale per i diritti del malato, Aiic e Snamid - è tempo di decidere se l’Italia sia in grado o meno di restare tra i Paesi più avanzati e gestire con successo le opportunità, soprattutto per i pazienti, che derivano dalla medicina personalizzata.

Insomma, gli stakeholder sono in attesa di «scelte strategiche» e «finanziamenti» in grado di assicurare una crescita stabile e duratura all’intero sistema che già oggi incomincia a scricchiolare: gli esami di laboratorio negli ultimi 12 mesi, infatti, hanno viaggiato in controtendenza rispetto agli altri comparti della salute. Eppure, gli esami clinici sono fondamentali per il medico. Pesano poco sulle casse del Ssn (non arrivano al 2% della spesa complessiva) ma rappresentano la base di circa il 70% delle diagnosi.

Insomma, l’industria della diagnostica in vitro ha dato un contributo importante allo sviluppo e alla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale. «Un significativo risparmio - spiega Massimiliano Boggetti, presidente di Assodiagnostici di Assobiomedica - è stato reso possibile grazie allo sviluppo di sistemi analitici con un elevato livello di automazione, che hanno sostenuto il processo di riduzione dei laboratori di analisi pubblici avvenuto negli anni scorsi». L’accorpamento dei laboratori ha così generato una riduzione dei costi e una velocizzazione dei dati e dei relativi risultati. «Il risparmio ottenuto da queste economie di scala - ha aggiunto Boggetti - ha garantito inoltre l’introduzione di nuove tecnologie e test che hanno migliorato la salute dei cittadini e consentito ulteriori risparmi grazie a processi di cura più efficaci». Il fenomeno degli accorpamenti delle reti territoriali dei laboratori, tuttavia, ora è in una fase conclusiva e non sarà in grado di sostenere, come in passato, l’aggiornamento tecnologico necessario. Cosa fare per restare al passo con lo sviluppo tecnologico? «Il definanziamento della spesa in Ivd degli ultimi anni - ha sottolineato il presidente di Assodiagnostici - se continuerà, comporterà un mancato accesso all’innovazione in un campo che oggi sta vivendo una rivoluzione tecnologica rilevante: l’ingresso delle quattro P nella medicina, ovvero personalizzata, preventiva, predittiva e partecipativa. L’Italia deve trovare delle modalità per reinvestire nel sistema e non restare indietro rispetto ai Paesi più avanzati, continuando a mantenere alto il livello dell’offerta di salute nell’ambito della diagnostica in vitro». L’augurio di Boggetti è che con il nuovo Codice degli appalti «venga tenuta in maggiore considerazione la norma che introduce il criterio della valutazione degli investimenti in innovazione, considerando l’impatto generale che questi possono avere sul sistema salute nel medio periodo anziché stimarli solo come costi a breve termine relativi al singolo prodotto».

Secondo Claudio Amoroso, componente del direttivo della Federazione delle associaizoni regionali economi e provveditori alla sanità (Fare), nel nuovo Codice appalti esistono gli strumenti per valutare correttamente il “valore” della tecnologia.

«La direttiva europea sugli appalti n. 24/2104 richiama l’attenzione delle autorità pubbliche affinché utilizzino gli appalti strategicamente per stimolare nel miglior modo possibile l’innovazione - ha spiegato -. Su questa linea la stessa direttiva valorizza il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa per orientarla verso la qualità gli appalti. Il legislatore nazionale ha confermato tale indirizzo, ampliando con il correttivo al Codice il parametro qualitativo, che non può essere inferiore a 70 punti su cento, e relegando il peso del prezzo a un massimo di 30 punti. Questo cambiamento di rotta, se utilizzato correttamente, può effettivamente dare maggiore spazio all’innovazione».

Per Amoroso, ovviamente, l’innovazione tecnologica in qualunque campo, ma in particolare in quello della medicina personalizzata di laboratorio, comporta necessariamente, in prima battuta, costi aggiuntivi, «ma è necessario valutare anche i benefici diretti e indiretti sanitari e sociali che ne derivano». Pertanto, in un arco temporale sufficiente e utilizzando processi di Health technology assessment (Hta), «andrebbero effettuate a consuntivo delle verifiche con indicatori specifici di predittività della risposta. In tal caso si potrebbe valutare anche l’inserimento di garanzie contrattuali, quali il payments by results. Quindi occorre costruire capitolati tecnici che puntino sulla funzionalità dei servizi da espletare - conclude Amoroso - e che prevedano, nella declinazione dei parametri valutativi, una scala semantica in grado di valorizzare e differenziare ciò che effettivamente innova, mediante l’apporto di soluzioni risolutive rispetto alle finalità poste, da ciò che può rappresentare un semplice “restyle” di sistemi già in uso».

La posta in gioco è alta. «L’innovazione tecnologica per la medicina di laboratorio - ha confermato Pierangelo Clerici, presidente Fismelab - non può che essere orientata verso un modello di appropriatezza secondo criteri che soddisfino da una parte l’Health technology assessment e dall’altra il bisogno di possibilità diagnostiche mirate alla medicina personalizzata». In questa direzione «solo il costante confronto tra gli attori del sistema salute (professionisti della medicina di laboratorio, medici di medicina generale e specialisti, ingegneri clinici, provveditori, associazione dei malati e aziende del diagnostico) può sviluppare quelle sinergie che consentano un’innovazione tecnologica che sia espressione dell’innovazione culturale, di quella scientifica e di quella organizzativa supplendo a quella che manca ovvero l’innovazione burocratica che rallenta e spesso frena lo sviluppo di nuove tecnologie e la loro applicazione». I decisori politici, dal canto loro, dovrebbero tener conto, nell’elaborazione di modelli organizzativi, di quanto l’innovazione tecnologica e la professionalità degli operatori possano essere d’ausilio per trovare le soluzioni migliori al fine di garantire un corretto uso delle tecnologie presenti a cui venga attribuito un giusto prezzo che includa anche il valore dell’outcome clinico. «Se la medicina personalizzata rappresenta l’ineludibile futuro dei professionisti della Sanità e dei pazienti - ha aggiunto Clerici - non possiamo ostacolare l’innovazione in tutte le sue espressioni considerandola e valutandola anche in maniera critica, ove necessario, ma convinti che l’innovare porta a produrre costantemente prevenzione, buone cure e salute».

Non ha dubbi neanche Roberto Stella, presidente Snamid: «Se supportata da evidenze e libera da condizionamenti o interessi di parte, l’innovazione giova alla comunità e ai singoli pazienti». Ne sono un esempio esami che hanno cambiato l’approccio e la storia di molte patologie (tumore mammario, infarto, malattia celiaca, etc). «Non esiste tuttavia attualmente un vero processo di Hta per valutare le tecnologie innovative - ha ricordato Stella - è, dunque, necessaria una governance del sistema così come una valutazione attenta delle ricadute delle indagini diagnostiche sui percorsi diagnostico terapeutici». Il faro deve essere sempre scegliere per il bene del paziente e non sulla base di mere valutazioni economiche anche perché «non è la tecnologia responsabile unica dell’aumento della spesa, ma un suo utilizzo inappropriato». Per Stella i servizi di diagnostica di laboratorio sono «essenziali», tra tutti i servizi sanitari, in base ai benefici di salute ottenuti. Le parole d’ordine, secondo il presidente Snamid, quindi, devono essere: governance, appropriatezza, formazione e aggiornamento professionale interdisciplinare. «Serve una forte sinergia e un gioco di squadra tra i diversi attori del sistema - ha sottolineato Stella -. L’innovazione è fondamentale se intelligente e appropriata».

Tuttavia, mette in guardia Liliana De Vivo dell’Associazione italiana ingegneri clinici (Aiic), «limitare la definizione di medicina personalizzata alla prescrizione di farmaci basata sulla individualità definita dalle informazioni della farmacogenetica e della farmacogenomica è sicuramente riduttivo». Una visione più ampia presuppone un «approccio globale» alla prevenzione, diagnosi, cura e monitoraggio che sia costruito sulle caratteristiche genetiche del singolo individuo.

«Il principio che una buona terapia si fonda su una buona diagnostica - ha spiegato De Vivo - implica, anche nell’ambito della medicina personalizzata, un ruolo fondamentale per la medicina di laboratorio. Ciò sicuramente in relazione alle innovazioni diagnostiche indotte dalle “omics”, e alle conseguenti innovazioni tecnologiche che stanno palesando una sfida entusiasmante nel passaggio da “ricerca personalizzata” a “medicina personalizzata”». È un’epoca di cambiamenti importanti, destinati a rendere fruibili nella routine diagnostica esami fino a ora circoscritti all’ambito della ricerca, nella quale l’ingegnere clinico è sicuramente chiamato a fornire il proprio contributo professionale. Sullo sfondo, ha avvertito Aiic, c’è un panorama normativo in evoluzione che vede la nascita del nuovo Regolamento Ue 2017/746 che abroga la Direttiva 98/79 e introduce diverse novità, non ultima la definizione stessa di dispositivo medico-diagnostici in Vitro. «Alto è il rischio di creare disparità sul territorio nazionale - ha sottolineato De Vivo - con l’adozione di tecnologie innovative “a macchia di leopardo”, con importanti risvolti non solo clinici ma anche etici, sociali e civili. Si pone quindi il problema fondamentale di una reale governance, sia politica sia professionale, che può sicuramente trovare nell’Health technology assessment uno strumento efficace quando applicato coerentemente con i suoi principi. A livello macro (nazionale e regionale), infatti, l’Hta consente di formulare politiche sanitarie coerenti con la dislocazione delle risorse (distribuzione ottimale sul territorio) mentre a livello “Hospital based” può supportare l’adozione delle tecnologie più appropriate alla singola realtà in una logica di contesto che garantisca efficacia ed efficienza organizzativa».

«La medicina di laboratorio rappresenta un valore per la salute della collettività e per il Servizio sanitario nazionale (Ssn) - ha sottolineato Tonino Aceti, coordinatore nazionale Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva -. Attraverso alcuni esami/analisi/test di laboratorio, si ha la possibilità di accedere per esempio a una diagnosi tempestiva, alla terapia farmacologica più innovativa, più appropriata e personalizzata, quindi più efficace su se stesso».

In oncologia, ha ricordato Aceti, si sono affermati test predittivi, «che possono consentire di evitare il modello prescrittivo “trial-and-error”, vale a dire “proviamo e vediamo come va”, con un dispendio di risorse per il Ssn e un costo in termini di tossicità da farmaci per i cittadini». La medicina di laboratorio, quindi, è anche “al servizio” della sostenibilità economica dell’innovazione tecnologica in altre aree di assistenza e di spesa del Ssn, a partire da quella dei farmaci innovativi. «Per riconoscere concretamente questo valore e continuare a investirci - ha aggiunto Aceti - c’è bisogno da parte delle Istituzioni di superare il modello dei “silos” e affermare il concetto di “programmazione integrata della spesa pubblica”».

In altre parole, per il Tribunale per i diritti del malato, occorre «innovare l’attuale modello di contabilità dello Stato nella direzione di una maggiore capacità/elasticità di valutare e riconoscere dinamicamente gli effetti positivi e negativi di una determinata spesa su altri capitoli di spesa pubblica. È necessario migliorare l’accesso alle informazioni da parte dei cittadini sulle opportunità che offrono alcuni esami per accedere alla diagnosi precoce e alle terapie più appropriate e innovative».

Quindi serve più trasparenza da parte del Ssn. Aceti ha riportato anche l’esempio delle liste di attesa per la medicina di laboratorio che raddoppiano da un anno all’altro: «Rimane un campo sul quale lavorare molto».

I superticket, altra nota dolente. «Sullo sfondo di tutta la medicina di laboratorio del Ssn - ha concluso Aceti - resta purtroppo quel super-ticket sulla ricetta che per una serie di prestazioni, quelle più a basso costo, rende il ricorso al Ssn più costoso rispetto al canale privato. È un evidente squilibrio che fa male alla salute e alle tasche dei cittadini, alle casse del Ssn e che di certo non aiuta il rilancio della rete dei laboratori analisi pubblici».

Il tavolo di incontro promosso da Il Sole 24 Ore-Sanità sulla “Medicina di laboratorio: un valore per la salute umana” si è riunito per la terza volta, il 28 giugno scorso. Il focus si è concentrato sull’innovazione tecnologica e la medicina personalizzata. I primi due appuntamenti si sono svolti a Roma nel settembre 2016 (si veda Sanità n. 35/2016) e nel gennaio 2017 (si veda Sanità n. 4/2017). Archivio Il Sole 24 Ore-Sanità


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