Imprese e mercato

Biotech motore della ricerca farmaceutica: fatturato a +7% e investimenti da 700 mln. Il report Farmindustria-E&Y

di Rosanna Magnano

Con un fatturato di 8,4 miliardi, in crescita del 7%, le 209 aziende del biotech italiano fanno aumentare di un punto l’incidenza del nostro Paese sul fatturato globale dei medicinali biotecnologici, arrivando a quota 5 per cento. Anche grazie a investimenti in ricerca e sviluppo - pari a 697 milioni di euro - che crescono ogni anno. Con un primato anche sui biosimilari, che vantano una quota di mercato del 27%, al top nell'Ue. È questa la fotografia che emerge dal «Rapporto sulle biotecnologie del settore farmaceutico in Italia 2017», presentato da Farmindustria ed E&Y.

Un’industria che taglia importanti traguardi economici e che produce medicinali in grado di cambiare radicalmente le prospettive di vita dei malati. Dalle «smart pills» che rilasciano il principio attivo solo in un contesto particolare o in un preciso momento a vettori con funzione di “postini” indirizzati verso tessuti specifici, dall’intelligenza artificiale alle nanotecnologie.

Sono attualmente 233 i farmaci biotecnologici disponibili in Italia per rispondere a diversi bisogni terapeutici: oltre l’80% è dedicato a malattie infettive, neoplasie, malattie autoimmuni e patologie ematiche.

«La parola d’ordine dell’innovazione farmaceutica è “convergenza” tra pharma e Information and Communications Technology - sottolinea Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria - puntando sulle persone e trasformando le aziende in solution companies. Imprese che offrono soluzioni integrate».

E non si tratta di una prospettiva futuribile. «Già oggi infatti la R&S internazionale - continua Scaccabarozzi - ha una pipeline di oltre 14.000 prodotti in sviluppo, di cui 7.000 in fase clinica. In uno scenario farmaceutico che, proprio grazie alla grande innovazione, cambia rapidamente. E a ritmi vertiginosi. Tra pochi anni gli investimenti a livello mondiale in Ricerca e Sviluppo raggiungeranno i 180 miliardi di dollari». La sfida è quindi quella di «potenziare il magnete» per attirarli. E l’Italia è sulla buona strada: «Ci sono industrie americane - spiega Scaccabarozzi - che chiudono le fabbriche in America e rafforzano i poli produttivi italiani, con una delocalizzazione verso il nostro Paese».

I progetti sono sempre più complessi e costosi e richiedono un approccio di rete. L’80% degli investimenti dell’industria globale è in partnership con soggetti esterni. «Perché oggi la R&S si svolge in un network internazionale - conclude il presidente di Farmindustria - seguendo un modello di Open Innovation, che vede coinvolti diversi Paesi, enti di ricerca, attori pubblici e privati, imprese».

Technology transfer : troppa frammentazione, serve hub nazionale
In questo contesto, le biotecnologie sono l’esempio concreto di innovazione trasversale. Che spesso passa dalle piccole e medie realtà. «Sono queste le imprese - spiega Eugenio Aringhieri, pesidente Gruppo Biotecnologie di Farmindustria - che riescono ad adattarsi più rapidamente e a cogliere l’opportunità del nuovo. Perché sono dotate di una struttura snella, competenze e una forte attitudine all’innovazione».

Quindi nel settore delle biotech a fare la differenza non sono le dimensioni aziendali, conclude Aringhieri, ma «la capacità di innovare, saper fare meglio degli altri e portare la creatività dove c’è bisogno di risultati. E il settore biofarmaceutico in Italia è solido e continua a espandersi. Le 209 aziende presenti sul territorio che investono 697 milioni di euro in R&S di farmaci biotecnologici rappresentano un driver di crescita per l’intero Paese. Quello che va rafforzato è il technology transfer, avvicinando ricerca accademica e impresa. Ora c’è troppa frammentazione. Serve un hub di competenza nazionale per fare massa critica. Ci sono già eccellenze che devono fare da modello. Il vero luogo dell’innovazione non è l’impresa ma l’università, dove la ricerca è più disobbediente».

Una pipeline di 282 progetti
L’Italia vanta già una pipeline di 282 progetti innovativi. Oltre il 59% si trova nelle fasi più avanzate della ricerca, le sperimentazioni cliniche di Fase II e III. Al primo posto oncologia e sistema immunitario, seguiti da malattie infettive, sistema gastrointestinale e sistema nervoso. Tra le linee di ricerca più promettenti, un anticorpo monoclonale che ha mostrato risultati incoraggianti nel combattere la malattia di Alzheimer nello stadio precoce. Una terapia genica innovativa - messa a punto grazie a una collaborazione tra istituti scientifici e centri di ricerca italiani - che, sfruttando le capacità del virus dell’Hiv di “trasportare“ il gene terapeutico nelle cellule, ha permesso a nove bambini, affetti in fase asintomatica da leucodistrofia metacromatica (una malattia neurodegenerativa che causa la perdita delle capacità motorie e neurocognitive) di non sviluppare la malattia a tre anni dal trattamento. E infine un anticorpo monoclonale - designato farmaco orfano dall’Agenzia europea dei medicinali - diventato l’unica terapia possibile per il carcinoma a cellule di Merkel, una rara forma di tumore della pelle. Tutte terapie in cui l’innovazione si è trasformata in una speranza concreta per i pazienti.

Le chance del nuovo Regolamento Ue
Il recepimento del Regolamento europeo sulla sperimentazione clinica (il 536 /2014 che entrerà in vigore a ottobre 2018) rappresenta un’opportunità ulteriore. «La centralizzazione delle procedure di valutazione a livello europeo - spiega Mario Melazzini, dg dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) in un’intervista pubblicata all’interno del report - comporterà probabilmente una migrazione delle risorse verso alcuni hub europei della ricerca clinica. L’Italia si candida a essere uno di questi, grazie alle sue eccellenze scientifiche e alla competenza e affidabilità riconosciute all’Aifa nella valutazione degli studi clinici. E questo è un ulteriore punto di forza per la candidatura di Milano come prossima sede dell’Ema».

L’obiettivo è di ottenere sperimentazioni piu veloci e sicure. «Da un’azione sinergica di ministero della Salute e Anac è nato il progetto “Fast track” - ricorda Melazzini - per velocizzare la valutazione dei test clinici, anche grazie a processi più snelli e schemi contrattuali standard messi a disposizione di Istituzioni e imprese».

La mappa delle biotecnologie made in Italy
La rete dei centri di ricerca e produzione è diffusa in tutto il Paese, con 35 centri di ricerca, 52 impianti di produzione e 166 sedi legali e amministrative, distribuiti in 17 Regioni. La Lombardia si conferma il principale polo di ricerca del settore con 13 centri; mentre il Lazio, con 15 impianti di produzione, è la prima Regione per presenza di stabilimenti produttivi. Insieme a Lombardia e Lazio, la Toscana è la terza Regione dove il settore del Farmaco biotech è una realtà ormai consolidata.

L’oncologia è l’area terapeutica con il maggior numero di nuove terapie ogni anno: oltre il 28% dei nuovi farmaci negli Stati Uniti tra il 2011 e il 2015 è oncologico. Aumenta, inoltre, l’attenzione alla prevenzione delle malattie infettive con i consumi mondiali di vaccini che crescono ogni anno dell’8 per cento. È, infine, in sviluppo una nuova classe di antibiotici, pronta a combattere le infezioni batteriche resistenti ai farmaci oggi disponibili.

Anche le malattie rare trovano una crescente risposta grazie all’innovazione: si stima che, a livello globale, i farmaci orfani contribuiranno per il 32% della crescita attesa a valore dei farmaci etici (farmaci che necessitano di prescrizione medica) nel 2022. Negli Stati Uniti, i farmaci orfani hanno rappresentato tra il 2011 e il 2015 il 42% dei nuovi farmaci resi disponibili per i pazienti, quota raddoppiata rispetto al 21% del periodo 1996-20001. E in Italia su questo frOnte sono state autorizzate otre 160 sperimentazioni cliniche nel 2016 (rispetto a 66 nel 2010).

La ricetta per l’ultimo miglio
Una sfida globale, quella dell’innovazione, con forti competitor internazionali. L’Italia, secondo Farmindustria, ha tutte le carte in regola per affrontare questa sfida. Ma per vincere ci sono alcuni punti sui quali intervenire. «Adeguare i percorsi formativi ai nuovi bisogni delle imprese; aumentare il dialogo tra Università e imprese; investire nei numerosi luoghi dell’innovazione presenti in Italia, quali hub di eccellenza per sostenere lo sviluppo e attrarre talenti; adeguare le regole di accesso e i meccanismi di rimborso al nuovo contesto con soluzioni dedicate, capaci di ridurre la burocrazia e velocizzare il time to market; sviluppare un piano strategico per il Paese; modificare la governance, con regole più moderne e attente all’innovazione».


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