Imprese e mercato

Universalismo e sostenibilità: la sfida è ridurre le diseguaglianze

di Carla Collicelli

Che nell’ambito del famoso e consolidato Forum sul Risk Management si sia dato spazio ai temi dell’universalismo e della sostenibilità in sanità è sicuramente molto positivo, ed è quanto avvenuto a Firenze lo scorso 30 novembre in due dei tanti convegni previsti alla Fortezza da Basso, e dedicati alla gestione sanitaria l'uno, ed al mondo della sanità integrativa l'altro. Il contributo portato dal punto di vista della sociologia della salute e della sanità, e sulla scorta degli studi in corso presso Itb-Cnr, ha inteso sottolineare i rischi di un approccio meramente economico e di breve durata ai temi posti. Purtroppo lo stupore emergenziale con cui si guarda alle difficoltà mano a mano che si presentano, senza sollevare lo sguardo verso prospettive più ampie, e la mancanza di una strategia intersettoriale a cavallo con altri comparti delle politiche, determinano una situazione di stallo.

In realtà i problemi posti non possono essere confinati nel recinto delle questioni di tipo fiscale e gestionale, e vanno inquadrati sullo sfondo della crisi dei moderni stati sociali, che è principalmente crisi di direzione e di strategia. E ciò è evidente dal punto di vista epidemiologico, sociale e dell'offerta. La modernità ci presenta un quadro epidemiologico che va trasformandosi rapidamente, e non solo per l'allungamento della vita, di cui tutti parlano, ma anche per l'incidenza crescente delle patologie croniche in età adulta (secondo Istat il 60% delle persone tra 55 e 74 anni soffre di più di una patologia cronica), per l'aumento dei disagio psichico (2,6 milioni di persone in cura per depressione) e per il peggioramento di alcuni stili di vita, di cui pochi parlano. Dal punto di vista sociale, le diseguaglianze nelle condizioni di salute e soprattutto nelle possibilità di cura sono in evidente aumento, come certificato anche dall'importante rapporto Inmp-Agenas-Iss presentato il primo dicembre di questo anno.

La spesa privata dei cittadini per la salute ha superato i 37 miliardi di euro annui e per molti aspetti la sua utilizzazione sfugge a qualsiasi regola di trasparenza e qualità, in quanto gestita senza intermediazione e legata alle capacità di discernimento e orientamento nel mercato privato da parte delle famiglie. Anche l'indubbia qualità dell'offerta sanitaria italiana, per quanto riguarda le cure ospedaliere, la diagnostica, la chirurgia, ecc., è messa in crisi dalle difficoltà gestionali per quanto riguarda le liste di attesa, le cure domiciliari a lungo termine per cronici e non autosufficienti, le differenze territoriali di offerta ed investimento tecnologico, la debolezza di molti interventi pur definiti come essenziali, quali la medicina di iniziativa, le prestazioni previste dal Piano nazionale per la non autosufficienza, la presa in carico, la riabilitazione e la prevenzione. La considerazione di tutti questi fattori suggerisce che è ormai indispensabile uscire dall'ambito economico e gestionale in senso stretto per affrontare in termini sociali ed etici le questioni dell'universalismo e della sostenibilità.

Universalismo non può essere solo sulla carta o solo relativamente alle patologie acute, ma deve abbracciare tutta la gamma dei bisogni, e sostenibilità non può essere solo sostenibilità finanziaria a breve, ma deve essere considerata come sostenibilità olistica (in tutti gli ambiti che influiscono in qualche modo sulla salute) ed a lungo termine (e cioè in vista della salute e del benessere delle generazioni future). E' quanto sta cercando di far passare nell'opinione pubblica e tra gli addetti ai lavori l'Asvis (Alleanza Italiana Sviluppo Sostenibile), con il suo Rapporto sulla attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile al 2030 dell'Onu, tra i quali l'obiettivo 3 (Salute e benessere per tutti a tutte le età), l'obiettivo 1 (sconfiggere la povertà), il 10 (ridurre le disuguaglianze), il 5 (parità di genere), il 12 (consumo responsabile), e tutti gli altri per quanto riguarda la prevenzione (inquinamento, acqua, condizioni di lavoro, ecc.). Bisogna allora, accanto all'etica professionale e alla bioetica, oggi abbastanza diffuse e praticate, insistere perché si sviluppi la riflessione sull'etica pubblica, che sta alla base di ogni possibile strategia di sostenibilità olistica e di universalismo. In altre parole, in sanità come altrove, occorre ripensare gli obiettivi e le strategie alla luce della situazione attuale, secondo una logica di adeguamento dei meccanismi democratici alla modernità. Il che prefigura una serie di necessarie innovazioni e riforme, di cui poco si parla.

Al primo posto sta la gestione strategica di tutte le risorse in campo, dalla spesa privata di tasca propria delle famiglie, al contributo dei diversi stakeholder della sanità integrativa, del terzo settore e del volontariato, buona parte delle quali sfuggono alla programmazione, con evidenti sprechi, duplicazioni ed inappropriatezze. Al secondo posto sta la “salute in tutte le politiche”, di vecchia memoria ma ancora da realizzare, con particolare attenzione per l'ambiente, il lavoro, gli stili di vita, le risorse spontanee della comunità e della famiglia, la prevenzione primaria. In terzo luogo c'è la tecnologia, specie informatica, con le sue potenzialità in Italia sfruttate ancora in maniera insufficiente, e che potrebbero liberare risorse e produrre maggiore qualità. Ma le resistenze sono ancora forti rispetto a questo cambiamento di mentalità ed al prevalere di chiusure e gelosie istituzionali e settoriali e forme di conflittualità ingiustificate.


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