Imprese e mercato

Scaccabarozzi confermato alla guida di Farmindustria: «Puntiamo a una governance equa»

di Rosanna Magnano

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24 Esclusivo per Sanità24

Dopo tre mandati e mezzo da presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi - classe 1960, laureato in farmacia, sposato con due figli e una grande passione per il rock – è stato confermato dall’Assemblea privata che si è svolta oggi alla guida dell’associazione delle imprese del Farmaco aderente a Confindustria per il biennio 2018-20. L’Assemblea privata di Farmindustria - l'assemblea pubblica sarà l’11 luglio a Roma - ha anche confermato la leadership dell’attuale Comitato di Presidenza. La decisione è stata presa all’unanimità «con l’obiettivo prioritario di dialogare con le Istituzioni per una nuova governance farmaceutica basata sull’equità e sulla stabilità delle regole». «Sono davvero onorato – commenta Scaccabarozzi – per la scelta delle aziende associate. Punterò, insieme ai colleghi del Comitato di Presidenza e della Giunta, a fare il meglio per rispondere alle molte sfide di cambiamento, velocissimo e profondo, nella Salute che in questi anni il settore delle Life Sciences è chiamato ad affrontare».

Presidente Scaccabarozzi, qual è il bilancio di questi sette anni?
Sono stati anni di grande passaggio, che hanno portato un importante settore manifatturiero dall’instabilità di un’Italia in piena pre-crisi a una svolta segnata da investimenti certi e traguardi che migliorano di anno in anno, con impatti positivi sull’occupazione e soprattutto sull’export. Quando ho iniziato non si era ancora compreso il valore dell’industria farmaceutica, perché si pensava a fare cassa, tagliando la spesa farmaceutica - considerata solo come un costo - e intervenendo con 44 manovre di contenimento in 10 anni. In un contesto così è facile capire che non è possibile fare dei piani industriali, perché ogni quattro mesi si cambiavano le regole del gioco.

Poi cosa è cambiato?
C’è stata la crisi, il comparto era in ginocchio, migliaia di lavoratori sono usciti dal settore e si poneva un problema di sostenibilità dell’industria. Poi negli ultimi anni, forse perché abbiamo comunicato meglio, le istituzioni hanno capito che le entrate vengono dalle tasse ma anche dal Pil e su entrambi i fronti Banca d’Italia e Istat hanno chiarito quale fosse il nostro contributo. Un settore che produce ed esporta, ma soprattutto che dà un rilevante contributo alla ricchezza del Paese. Questo ha generato maggiore stabilità, una migliore programmazione e l’Italia è stata vista come un Paese in cui investire. Quindi l’occupazione è ripartita, abbiamo assunto 6mila persone all’anno, la metà sotto i 30 anni. E’ ripartita la produzione, con il 50% di prodotti nuovi o precedentemente dislocati all’estero. Questo vuol dire che le imprese hanno creduto nel Paese e a fronte di un settore manifatturiero che dal 2010 al 2017 ha fatto -1% noi abbiamo fatto +20 per cento.

E l’export ha seguito a ruota?
Certamente. Ed è importante sottolineare che la produzione è cresciuta non perché è esplosa la domanda interna, come qualcuno ha insinuato in passato, ma perché è tutto export, aumentato del 77%. Nessun settore in Europa ha registrato un aumento dell’export di queste dimensioni. Quindi siamo riusciti a spiegare bene che siamo sì il settore che produce innovazione, vita e salute, ma anche e soprattutto un settore manifatturiero che dà un contributo importante al Pil del Paese. Oltre agli investimenti diretti, di 2,8 miliardi in ricerca e innovazione, sia negli stabilimenti che in ricerca pura, cui si aggiungono 700 milioni in studi clinici (il 20% del totale Ue, era il 18% nel 2012) che sono un finanziamento diretto al Servizio sanitario nazionale. Perché non solo si forniscono farmaci ma si sostengono tutte le spese dei pazienti che rientrano nel progetto di ricerca. Gli altri due valori aggiunti è che i pazienti hanno un accesso precoce al farmaco e per la classe medica c’è una possibilità di formazione in più su farmaci che poi nel giro di due anni vengono erogati normalmente.

I dati sul 2018 sono ancora in crescita?
Si, c’è un aumento del 7,4% della produzione nel periodo gennaio-aprile del 6,3% dell’export, dell’1% dell’occupazione. Il valore della produzione è a 31 miliardi e siamo sempre più vicini ai livelli tedeschi e nel giro di un anno li supereremo. Molte delle nostre fabbriche sono 4.0 da qualche anno, con una capacità produttiva superiore a quella attuale e molti prodotti nuovi vengono portati qui in Italia, anche gli innovativi. Gli investitori internazionali sono certi che trovano qualità della produzione e delle persone. Anche l’occupazione cresce, tra l’altro aumenta di più nell’area della produzione. L’innovazione tecnologica non sottrae lavoro ma cambia i profili richiesti e le competenze. Ci sono circa un centinaio di professioni nuove che nei prossimi cinque anni saranno richieste dal settore.

Cosa consiglierebbe a un giovane attratto dalla farmaceutica?
E’ un settore che offre spazi trasversali a 360 gradi. Ricerca, sviluppo, clinica sono importanti. Biologia e biotecnologia continueranno a essere importanti, ci sono le figure economiche, di economia sanitaria che avrà sempre più peso per un paese come il nostro che avrà una sanità sempre più universalistica, come mi auguro che accada. E poi c’è tutto il mondo dei big data, che ha cambiato il modo di fare ricerca e quindi abbiamo bisogno di nuove iper-specializzazioni anche su questo fronte. Noi come Farmindustria siamo sensibili e abbiamo aperto collaborazioni con il Miur sul progetto di alternanza scuola-lavoro, con il ministero del Lavoro su Garanzia Giovani, con alcune università sul territorio, per esempio con l’università telematica, che prepari i ragazzi che escono dagli istituti tecnici al ruolo del digital manager. Quindi il nostro è un mondo che offre ai giovani volenterosi tante possibilità.

Tra i problemi aperti - che affronterà a breve - c’è la nuova governance e proprio oggi la ministra della Salute Giulia Grillo ha incontrato le regioni per un primo confronto.
Mi auguro che saremo coinvolti, non per dettare le regole, ma semplicemente per essere ascoltati, perché abbiamo delle verità da dire. Noi ogni anno con i managed entry agreement e il payback restituiamo allo Stato qualche miliardo. Qualcuno sostiene che le industrie non hanno pagato. Ma in realtà hanno pagato, a volte quello che ritenevano giusto. Ci sono ormai due miliardi che giacciono lì, alcuni sono andati direttamente alle regioni altri sono bloccati al Mef, perché la normativa era contorta e ci sono state delle contestazioni. Sul payback 2013-15 che rappresenta una cifra importante, è lì, bisogna solo sbloccarla. Per il resto ci sono stati dei ricorsi, perché alcune aziende sono chiamate a ripianare cifre ingenti e crediamo che si debba pagare il giusto. È chiaro che il sistema andrebbe rivisto, non è possibile che la spesa farmaceutica sfori continuamente di miliardi. Il meccanismo del payback è troppo complesso e dà adito errori e su queste cose bisogna essere precisi. E poi le risorse della farmaceutica non utilizzate dovrebbero essere riallocate tutte nel settore. Queste cose vanno spiegate al ministro. La volontà delle imprese è di chiudere la pagina del payback 2013-15 e risolvere anche il 2016.

L’esperienza dei fondi per gli innovativi è stata positiva?
Credo sia stata grandiosa perché ha consentito un accesso alle innovazioni al di fuori dell’ordinario. Perché la spesa farmaceutica ospedaliera nasce già sfondata. È un peccato che non siano stati utilizzati tutti. Sarebbe giusto utilizzare gli avanzi nel settore stesso.
La governance non può essere un palliativo, deve essere risolutiva. Nell’ultima legge di bilancio si è previsto un progetto ad hoc per l’oncologia e la direzione per la programmazione del ministero sta occupandosi del progetto pilota, con l’obiettivo di superare la logica dei silos di spesa. Nel senso di considerare l’intero pacchetto di spesa destinato al malato per capire come allocare le risorse. Si dice che i farmaci oncologici costano tanto, ma rispetto a cosa? È vero che costano più di prima, la spesa farmaceutica onocologica è molto cresciuta negli ultimi anni però la spesa per la cura dei malati oncologici guarda caso è scesa di 250 milioni l’anno. Quindi se restiamo con i silos di spesa separati avremo 250 milioni di risparmi che non sappiamo che fine fanno, mentre con una corretta programmazione potremo decidere se impiegarli sulla farmaceutica se serve o su altre aree. Anche perché se vediamo l’incidenza della spesa sui farmaci rispetto a quella sanitaria in oncologia la quota è del 25%. Sulle spese generali la quota per le terapie si abbassa al 4 per cento. Questo è un nuovo schema di programmazione che certo non si può implementare in pochi giorni ma intanto basterebbero tre cose: che le risorse allocate nella farmaceutica restino nel settore, compensando i tetti di spesa. E con una distribuzione più equa e semplificata del payback.

E sui vaccini?
L'industria deve occuparsi di fare ricerca e di fornire i vaccini, le istituzioni devono fare in modo che queste soluzioni arrivino ai pazienti. Riguardo lo strumento dell'obbligo vaccinale per l'iscrizione a scuola dei bambini da zero a 16 anni, reintrodotto dalla ex ministra Beatrice Lorenzin, ritengo che ci sono momenti storici in cui si devono prendere delle decisioni. Il Governo precedente ha deciso di introdurre l'obbligo vaccinale perché eravamo arrivati a un momento di emergenza molto importante e credo che il risultato, faticosamente, ci sia e stiamo tornando ai livelli di copertura indispensabili per proteggere i più deboli. Quindi ora credo che sia nell'interesse di tutti, anche di questo Governo, mantenere le giuste coperture. Poi le metodologie possono essere diverse a seconda del momento storico in cui di vive. Quindi siamo aperti al dialogo su soluzioni alternative, purché ci sia una programmazione coerente della politica vaccinale, anche perché la produzione dei vaccini richiede tempi lunghi fino a 24 mesi, e si salvaguardino le coperture necessarie a garantire il cosiddetto effetto gregge.

Che cosa può fare l’Italia, che vanta già grandi eccellenze, per continuare ad attrarre ricerca, investimenti e innovazione?
Innanzitutto non essere penalizzante, credere in un settore. Se andiamo a guardare le terapie avanzate approvate in Europa, tre su sei sono di origine italiana. Ci sono 282 farmaci biotecnologici in fase di sviluppo in Italia, e quindi le bioteconologie farmaceutiche stanno diventando un’area di specializzazione del nostro Paese. Ci sono nel mondo 15mila farmaci in via di sviluppo di cui la metà in fase già clinica e soprattutto il settore dell’Healthcare è il primo settore per investimenti nel mondo. Ci sono mille miliardi pronti per essere investiti nei prossimi cinque anni. Io credo che noi abbiamo i numeri giusti e tutti insieme - istituzioni, imprese pazienti - dobbiamo lavorare per portare una parte di questi investimenti nel nostro paese. Le imprese hanno fatto la loro parte e sono una fonte di finanziamento non solo di spesa.

In che posizione si trova l'Italia sul mercato mondiale?
L’Italia si trova in una situazione molto positiva. Ci simo fatti in questi anni ambasciatori della nostra realtà produttiva, con il 60% di aziende a capitale estero e la particolarità di un 40% a capitale italiano. E mentre le aziende a capitale straniero sono polo di attrazione per investimenti in Italia, quelle a capitale italiano si stanno internazionalizzando. Quindi questo mix sta portando a livelli di produzione e di export straordinari per l’economia del paese. Sulla base di questo vogliamo portare nel mondo l’immagine di un’Italia che mette la salute al primo posto e si conferma pro innovation.


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