Imprese e mercato

Biotech farmaceutiche, Deloitte: «Il ritorno degli investimenti in R&S al livello più basso dal 2010»

di Rosanna Magnano

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Il ritorno sugli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore delle biotech farmaceutiche - concentrate più che in passato sull'oncologia, con il 39% delle pipeline dedicate rispetto al 18% del 2010 - ha toccato nel 2018 il livello più basso dal 2010, crollando all’1,9% dal 10,1% segnato nel 2010. A incidere sul trend soprattutto la crescita record dei costi che l'impresa deve sostenere per immettere il prodotto sul mercato, che sono raddoppiati da 1,18 miliardi di dollari nel 2010 agli attuali 2,17 miliardi. Accanto all'aumento dei costi, sono anche scesi - dimezzandosi - i picchi di vendita, passati da 816 milioni di dollari nel 2010 a 407 milioni nell'ultimo anno. Una tendenza che non ha riguardato solo i big, ma anche le società le società più piccole e ultraspecializzate, che hanno registrato quest'anno un calo dei rendimenti, dal 12,5% nel 2017 al 9,3% nel 2018. Sono questi i principali dati fotografati dal Report Deloitte 2018, «Unlocking R&D productivity», che misura il ritorno dell'innovazione farmaceutica.

«La riduzione dei ritorni è molto evidente - spiega Valeria Brambilla, partner di Deloitte per il settore Pharma - ed è stata osservata sia sui big sia sulle aziende di media dimensione. Il ritorno d'altra parte è una frazione tra costi e ricavi. La farmaceutica sta creando prodotti sempre più mirati e questo riduce la platea di pazienti. D'altro canto c'è un aumento dei costi, dovuto ai fallimenti più ricorrenti, soprattutto in fase finale delle sperimentazioni, e a un allungamento dei processi di sviluppo e autorizzazione del farmaco, soprattutto in oncologia, l'area terapeutica d'elezione delle più grandi aziende del settore. Questo è il quadro che emerge dalla survey internazionale che conduciamo a cadenza annuale»

Per invertire la rotta dei rendimenti delle industrie, si legge nel Report, serve una trasformazione, in parte già in atto, rispetto ai modi di lavorare tradizionali. E su questo fronte le tecnologie possono fare da catalizzatore per buona parte di questo cambiamento. In prima linea tecnologie di intelligenza artificiale, come l'automazione del processo robotico, e altre tecnologie, come l'apprendimento automatico, che può essere usato per supportare e migliorare il processo decisionale in R&S, per la progettazione di studi clinici e lo sviluppo del business. Ma il fattore umano continuerà a contare, anzi le competenze necessarie si approfondiscono: l'implementazione di queste tecnologie richiede infatti nuove abilità e nuovi talenti. «I punti chiave - continua Brambilla - sono riconosciuti dal settore, in primis l'automazione. Ovvero la possibilità di raccogliere una maggiore quantità di dati e utilizzarli meglio, con l'aiuto dell'intelligenza artificiale. La tecnologia futura lo consentirà riducendo tempi e costi di produzione di questi prodotti».

Un altro step del cambiamento è la creazione di partnership e collaborazioni. Per allargare l'accesso alle terapie, rafforzare la reputazione ed estendere la rete di ricerca.
«Già ora le industrie stringono partnership - conclude Brambilla - con chi gestisce i dati riguardanti farmaci e pazienti, che sono la base della ricerca. Parliamo soprattutto delle strutture erogatrici di assistenza. Ma si può fare di più. La necessità prioritaria è di creare un ecosistema per avere i dati migliori nei tempi migliori. Significa quindi portare a bordo le agenzie regolatorie e i soggetti istituzionali, per operare in concerto. E poi va diffusa una cultura dell'attendibilità e del valore del dato nel paziente e nella comunità. Ad agevolare il processo da un lato le tecnologie, dall'altro l'interesse comune per la sostenibilità del sistema. È la sfida del futuro».


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