Imprese e mercato

Quelle biotech da valorizzare

di Rosanna Magnano

L'Italia ha le competenze e i numeri per vincere la sfida delle biotech farmaceutiche anche a livello mondiale, ma serve un «ecosistema» favorevole fatto da stabilità del quadro normativo e riconoscimento dell'innovazione. Per valorizzare i risultati ottenuti e ridurre i ritardi nell'accesso alle nuove terapie. È questa la strada delineata al convegno «Biotecnologie: nuovi scenari in medicina e industria della salute», che si è svolto a Roma il 6 ottobre scorso.

L'eccellenza del biotech made in Italy è dimostrata dai dati: l'analisi del Comitato nazionale per la biosicurezza e le biotecnologie dimostra che l'Italia è tra i primi 10 Paesi per produzione scientifica, nel 2012 è seconda solo all'Australia. Il settore prevalente è quello del farmaco. Secondo il rapporto Farmindustria 2014 sono 176 le imprese, oltre 4.658 gli addetti in R&S con un business di circa 6 mld. I farmaci biotech in commercio in Italia sono 110, impiegati per la cura di patologie in 12 differenti aree terapeutiche e i prodotti in fase di sviluppo sono 403, 44 in più del 2013.

Le sfide al tavolo Ssn sono molte e l'impatto è di rilievo: dall'Alzheimer, che ha un costo annuo di circa 60.905 euro a paziente (stime Censis), alle malattie rare che secondo recenti studi avrebbero un impatto di 5.123 euro di costi diretti (ospedale, farmaci e specialistica), più una spesa mensile tra 500-1.000 euro a carico delle famiglie. «Per questo gli importanti contributi delle biotecnologie per fronteggiare le nuove sfide - spiega Massimo Sargiacomo (Università G. d'Annunzio di Chieti-Pescara) - vanno anche colti in relazione al loro effetto su queste componenti di costo».

I pazienti chiedono una migliore qualità dei servizi con costi sostenibili per il sistema ("fare meglio con meno", rispetto al rischio di "meno salute per tutti"): «All'industria biotech - spiega Marco Frey (Cittadinanzattiva) - i cittadini chiedono soprattutto responsabilità: attenzione alla sostenibilità e all'equità, etica nelle scelte strategiche e tecnologiche, capacità di rispondere ai bisogni reali, accountability».

I problemi non mancano. In primis le autorizzazioni-lumaca (oltre 2 anni) per l'accesso a un nuovo farmaco: dal sì dell'Ue passano 12-15 mesi per il via libera nazionale, altri 12 per l'inserimento nei prontuari regionali e ancora 2 mesi per arrivare in corsia. Questo si traduce in un gap del -40% tra Italia e Big Ue delle vendite pro capite di nuovi medicinali autorizzati Ema tra il 2008 e il 2013.

La ricetta di Farmindustria per superare lo stallo: «Patto di stabilità di tre anni per il settore - spiega Eugenio Aringhieri (presidente gruppo Biotecnologie Farmindustria) - per avere un quadro normativo stabile e non penalizzare gli investimenti. Riequilibrio di competenze tra Stato e Regioni per superare la frammentazione di 21 sistemi diversi. Rafforzare la partnership pubblico-privato per valorizzare le competenze dei centri clinici e delle aziende che possono essere un volano per gli investimenti».

Il momento insomma è cruciale. «Questo Paese deve decidere una volta per tutte - sottolinea Riccardo Palmisano (vice presidente Assobiotec) - se la biotecnologia è un settore strategico o meno per l'Italia. E poi agire di conseguenza. Se è vero che la produttività dei ricercatori italiani è elevata, è altresì vero che questa qualità si traduce in un limitato numero di brevetti e in minore industrializzazione, lasciando il Paese ai margini del mondo Biotech». Gli ostacoli non sono solo di natura politica e organizzativa.

A frenare lo sviluppo c'è anche la dimensione "piccola" delle imprese nostrane. «Anche gli straordinari casi di alcune aziende - rileva Palmisano - quali Eos, Gentium, Intercept, Okairos e Silicon Biosystems, che hanno meritato la ribalta mediatica perché grandi protagoniste sui mercati, possono essere letti in due modi opposti: da un lato confermano l'eccellenza italiana, dall'altro ci dicono che le migliori idee hanno bisogno di capitali stranieri».

Fare rete è quindi una via obbligata, e su questo fronte il progetto Sniba -Strategic Networks for Italian Biotech Advancement, il cui obiettivo è la realizzazione di reti strategiche a livello nazionale finalizzate al potenziamento delle Biotegnologie - si propone di giocare un ruolo di raccordo tra le varie iniziative a livello nazionale: «A tale proposito - sottolinea Marco Macchia, presidente del corso di laurea in Chimica e tecnologie farmaceutiche dell'Università di Pisa - le reti regionali come il Distretto toscano delle scienze della vita, il cluster della Regione Toscana che abbraccia e collega in rete imprese e istituzioni, possono dare il loro fattivo contributo a Sniba, diventando lo snodo per collegare la rete con significative realtà regionali come quella toscana, rappresentata da circa 320 imprese life sciences».

LEGGI IL SERVIZIO COMPLETO SU IL SOLE 24 ORE SANITA' N. 36/2014