Europa e mondo

Cure di fine vita, la guida «moderata» del Consiglio d'Europa

di Manuela Perrone

Autonomia, beneficenza, non maleficenza e giustizia. Sono questi i quattro princìpi base che, secondo la commissione di bioetica del Consiglio d'Europa, devono ispirare i trattamenti medici di fine vita perché sia rispettata in ciascuno dei 47 Paesi membri la Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina.

Autonomia sì, ma non illimitata
Nella guida ad hoc pubblicata oggi , il Consiglio d'Europa ricorda che i quattro princìpi sono strettamente correlati. Tutto parte dall'autonomia del singolo, che in base all'articolo 9 della Convenzione ha la facoltà di esprimere in anticipo i propri desideri sulla fine della propria vita. Una possibilità che deve essere rafforzata e sostenuta perché è uno degli assi portanti del processo decisionale sui trattamenti futuri.
«L'autonomia - precisa però il documento - non implica il diritto del paziente a ricevere qualsiasi trattamento abbia richiesto, in particolare quando è considerato inappropriato. In realtà le decisioni sull'assistenza sono il risultato di una riconciliazione tra la volontà del paziente e la valutazione della situazione da parte di un esperto, che è tenuto al rispetto dei suoi doveri professionali e in particolare a quelli derivanti dai princìpi di beneficenza e non maleficenza, così come alla giustizia.

Fare del bene, non fare del male
Beneficenza e non maleficenza sono i due obblighi cardine del medico per massimizzare il beneficio potenziale derivante dalla sua condotta professionale e limitare al massimo i danni che potrebbero derivarne. Applicati ai momenti finali della vita di un paziente si traducono nel dovere, per il camice bianco, di non praticare alcun intervento inutile o sproporzionato e di prendersi sempre cura del malato, alleviando la sua sofferenza.

"Cura" non è soltanto terapia
Prendersi cura di una persona resa fragile dalla malattia non significa soltanto somministrarle una terapia. La guida del Consiglio d'Europa ricorda che il concetto di cura include la risposta ai bisogni dei pazienti anche dal punto di vista del confort e dell'igiene. Per i malati terminali l'obiettivo prioritario del trattamento deve essere quello della qualità della vita. La questione dell'alimentazione e dell'idratazione artificiale è segnalata come «materia di discussione». Ma - avverte la guida - la sete e la fame sono bisogni primari che vanno sempre soddisfatti, a meno che il paziente non rifiuti acqua e cibo.

Giustizia è accesso alle cure palliative
Il diritto di accesso a cure appropriate è tutelato dall'articolo 3 della Convenzione. Alla fine della vita il concetto di giustizia si traduce nel diritto a ricevere cure palliative, che va allargato il più possibile. E che va letto anche come diritto a scegliere dove riceverle, se a casa o in una struttura specializzata.

Il valore delle direttive a nticipate
Se il paziente è capace di prendere parte al processo decisionale - si legge nel documento del Consiglio d'Europa - può disegnare un piano di cura con il medico e lo staff. Nessun intervento può essere effettuato senza il consenso del malato.
Più difficili ovviamente i casi in cui i pazienti non sono più nel pieno delle loro capacità cognitive. In queste situazioni assumono valore i desideri espressi in precedenza. Quando esistono in forma scritta e opportunamente autenticate, le direttive anticipate «devono avere la precedenza rispetto a ogni altra opinione non medica espressa durante il processo decisionale (da parte di persone di fiducia, di familiari, di amici stretti ecc.)». E devono essere considerate come uno strumento di dialogo tra il paziente e l'équipe ma non come un vincolo assoluto per il medico. «È largamente accettato - dice la guida - che esistono alcune ragioni che autorizzano i medici a non seguire le direttive dei pazienti. Per esempio, quando sono state formulate troppi anni prima l'arrivo dell'incapacità o quando ci siano stati significativi progressi medici dalla data in cui erano state scritte, progressi che hanno un impatto significativo sul loro contenuto».

Il ruolo dei medici
Centrale, se non primario, il ruolo riconosciuto ai curanti. Perché spetta ai medici informare correttamente i pazienti in ogni fase della malattia. Perché possono aiutare i malati a prendere le decisioni giuste. Perché devono tener conto delle volontà dei pazienti, anche di quelli espressi in precedenza. Perché devono evitare ogni trattamento inutile o sproporzionato.

Una decisione, tre fasi
Il processo decisionale per le cure di fine vita è definito «collettivo» e consta di tre fasi. Una individuale, in cui ogni persona coinvolta forma la propria opinione in base alle informazioni sul paziente e sulla malattia. Subentra poi uno stadio collettivo in cui i familiari, gli amici e gli operatori sanitari scambiano opinioni e discutono. Soltanto dopo, nella fase conclusiva, si prende la decisione. Il malato o il suo rappresentante devono sempre poter accedere alle informazioni che lo riguardano. Problematico resta il caso della sedazione profonda spesso indotta per alleviare o rimuovere una situazione di sofferenza fisica o psicologica intollerabile: poiché può portare alla totale perdita di coscienza o accelerare il decesso, resta una questione controversa.

Più formazione per i medici
La guida sottolinea la necessità di un training specifico per i medici dedicato ai problemi legati alle fasi terminali dell'esistenza. Per imparare a discutere collettivamente e ad affrontare la complessità. Ma anche per prendere decisioni