Europa e mondo

Cure transfrontaliere «gelate» dalla Corte di giustizia europea: in caso di problemi «strutturali» lo Stato membro non è obbligato ad autorizzare la prestazione in un altro Stato

Cala il gelo sulla «Schengen sanitaria», introdotta dalla direttiva 24/2011/UE: una pronuncia della Corte di Giustizia europea riconosce infatti che uno Stato membro è obbligato ad autorizzare la prestazione sanitaria in un altro Stato dell'Unione quando non può garantirla sul proprio territorio per una «carenza di carattere contingente e transitorio», ma sottolinea altresì che «in caso di problemi di carattere strutturale, lo Stato membro non è obbligato ad autorizzare la prestazione di tale servizio in un altro Stato». In pratica, si cerca di evitare l'emigrazione di massa pazienti da uno Stato con un servizio sanitario che non ha i mezzi e le competenze per assicurare prestazioni complesse ai propri cittadini. Se infatti questo Stato dovesse poi rimborsare le spese per gli interventi effettuati in altri Paesi dell'Ue, rischierebbe la bancarotta. O, comunque, andrebbe in tilt il sistema del welfare.

Da qui la decisione dell'avvocato generale Cruz Villalón, che si è pronunciato sul caso di una cittadina rumena, colpita da una grave patologia. La donna era stata ricoverata in un istituto specializzato a Timisoara, aveva bisogno di un intervento chirurgico urgente, ma la struttura non poteva effettuarlo. La paziente ha chiesto allora l'autorizzazione a essere operata in Germania: autorizzazione negata. Nonostante il no, la signora Petru ha deciso comunque di partire e operarsi, pagando 18 mila euro, di cui chiede ora il conto alla Romania. Il Tribunale di Sibiu, chiamato a decidere sulla controversia, ha chiesto lumi alla Corte di giustizia europea.

E' la prima volta, sottolinea la Corte, in cui la necessità di ricevere assistenza medica in un altro Stato membro trova giustificazione nella carenza di mezzi dello Stato di residenza. Ebbene, secondo l'avvocato, «laddove la carenza di mezzi materiali necessari ai fini dell'effettuazione della prestazione sanitaria dipenda da una mancanza strutturale, lo Stato membro non è obbligato ad autorizzare la prestazione, in un altro Stato dell'Unione, di un servizio compreso nelle prestazioni coperte dal proprio sistema di previdenza sociale, sebbene ciò possa comportare che determinate prestazioni sanitarie non possano essere effettivamente praticate. Tale obbligo sussisterà solamente qualora l'autorizzazione non metta in pericolo la sostenibilità economica del suo sistema di previdenza sociale».
L'avvocato generale fa infatti presente che «lo Stato membro che si trovi in tale situazione di carenza strutturale non potrebbe far fronte agli oneri economici derivanti da un'emigrazione sanitaria di massa degli iscritti al proprio sistema di previdenza sociale». E sottolinea che «uno dei limiti all'esercizio della libera prestazione dei servizi sanitari consiste proprio nel non mettere in pericolo né la prestazione stessa né tutti gli sforzi di pianificazione e di razionalizzazione effettuati in tale settore vitale nello Stato di residenza del paziente».