Europa e mondo

Arriva il report «Europe at a glance 2014»: più longevi ma più diseguali. E la spesa sanitaria cala o rallenta

di Barbara Gobbi

Cresce l'aspettativa di vita ma i gap tra i Paesi non accennano a diminuire. Anzi. A dar conto dello stato di salute complessivo dei Paesi Ocse arriva oggi il report "Health at a Glance: Europe 2014", messo a punto dalla Commissione Ue e dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. In vetrina, i dati più recenti su condizioni di salute, fattori di rischio, accesso a servizi sanitari di qualità sia nei Paesi membri sia tra i "candidati" all'Ue (Albania esclusa, per mancanza di dati), sia tra gli Stati Efta.

A balzare agli occhi, in tempi in cui tanto si parla di disuguaglianze, gli elementi che fotografano le disparità più evidenti: se l'aspettativa di vita (tanto per considerare uno tra gli indicatori più considerati dalle classifiche internazionali) cresce di oltre 5 anni tra il 1990 e il 2012 fino a posizionarsi sui 79,2 anni, il gap tra i paesi più longevi - Spagna, Italia e Francia - e quelli in cui è minore - Lituania, Lettonia, Bulgaria e Romania - non accenna a decrescere. Ancora, l'aspettativa di vita a 65 anni, anch'essa in aumento, mostra un gap di 5 anni rispetto ai paesi del secondo gruppo. Ma più in generale persistono nella popolazione dei paesi considerati disuguaglianze correlate a gruppi socio-economici: ad alti livelli di istruzione e di reddito si accompagnano sempre condizioni di vita migliori. Basta guardare i Paesi dell'Europa centrale e dell'est: chi "sta meglio", a 65 anni compiuti può aspettarsi di vivere sette anni di più rispetto a chi possiede un minore livello di istruzione.
C'è poi la differenza di genere. Ma se una donna può aspettarsi di vivere sei anni più di un uomo, il vantaggio scende ad appena un anno quando si considera l'aspettativa di vita in buona salute.

L'impatto della crisi. Si arresta l'impennata di suicidi registrata nei primi anni della crisi economica che ha colpito i paesi Ocse come il resto del mondo: oggi gli indicatori sono tornati agli anni precedenti il 2008. Il disagio economico sembra invece avere un effetto immediato sugli stili di vita come la cattiva alimentazione, che ha tra le sue conseguenze l'aumento dell'obesità. Si è passati dal dato di un uomo su otto con problemi di obesità nel 2002 a uno su sei del 2012. In generale, il fenomeno è trasversale alle classi sociali e il rischio riguarda tutte le persone che attraversano rovesci finanziari.

La spesa sanitaria è calata o ha rallentato in seguito alla crisi. Tra il 2009 e il 2012 la spesa per la salute in termini reali (corretta per l'inflazione) è diminuita in metà dei Paesi Ue e ha significativamnete rallentato nei restanti stati. In media, la spesa per la salute è calata dello 0,6% ogni anno, a fronte di una crescita annua del 4,7% tra 2000 e 2009. Un effetto dovuto ai tagli sulla forza lavoro e sui salari, alla riduzione nelle fee corrisposte ai produttori di salute, all'abbassamento del prezzo dei farmaci e all'aumento del copayment in capo ai pazienti. La spesa cresce a ritmo modesto nel 2012 in paesi come Austria, Germania e Polonia ma continua a decrescere in Grecia, Italia, Portogallo e Spagna, così come nella Repubblica Ceca e in Ungheria.

La copertura sanitaria universale ha protetto l'accesso all'assistenza sanitaria. Molti paesi Ue hanno mantenuto la copertura universale (o quasi universale) per un core-set di servizi sanitari, ad eccezione di Bulgaria, Grecia e Cipro dove una quota significativa della popolazione resta priva di assicurazione. Anche se pure in questi si sta lavorando a misure di tutrela delle persone totalmente scoperte.
La partita dell'accessibilità e disponibilità delle cure si gioca molto sulla disponibilità di personale sanitario. Che salvo rare eccezioni non manca: il numero di medici e infermieri pro capite ha continuato a crescere in quasi tutti i Paesi con un exploit dei camici bianchi registrato in Grecia (soprattutto prima della crisi) e in Gran Bretagna (aumento del 50% tra 2000 e 2012). Il dato secco riferisce di un aumento da 2,9 per mille abitanti nel 2000 a 3,4 nel 2012.
Resta quasi ovunque il nodo delle lunghe liste d'attesa, con un'ampia forbice nei tempi d'attesa per interventi chirurgici programmabili.

Migliora la qualità della vita ma permangono le disparità. Aumentano i tassi di sopravvivenza in caso di trattamenti salva-vita per patologie come attacchi di cuore e infarto: i tassi di mortalità in seguito a ospedalizzazione calano rispettivamente del 40%, del 20%. Anche qui le disuguaglianze pesano: la sopravvivenza in caso di cancro al seno è del 20% più bassa in Polonia che in Svezia. La qualità delle cure primarie è migliorata in molti Paesi ed è dimostrata dalla riduzione delle ammissioni ospedaliere per malattie croniche come asma e diabete. Del resto, un passo decisivo in questo senso è reso necessario dall'invecchiamento della popolazione: la Dg per gli Affari economici e finanziari ha progettato nel 2012 che la spesa per l'assistenza comporterà un incremento tra l'1 e il 2% del Pil in media tra 2010 e 2060 e che un aumento similare concernerà la spesa in long-term care. Secondo gli estensori del repor Oecd la sfida sarà allora preservare l'accesso a un'assistenza di alta qualità a costi accessibili per la popolazione nel suo complesso.